Da quanto detto finora in questa lettera
si comprende che sia necessaria una seria e profonda formazione liturgica del popolo
di Dio e non solo dei preti o dei ministri della Liturgia. C'è ancora chi
considera sacrilegio la comunione sulla mano, chi preferisce
il latino che nessuno capisce perché trasmette un “grande senso del mistero”, e
possiamo dire che c'è la maggior parte del popolo di Dio che partecipa alla Liturgia in
modo individualistico e non comunitario, senza comprendere la dinamica che lega
le varie parti della celebrazione o fissando l’attenzione solo su qualche parte.
Diamo veramente valore a quanto leggeremo nei prossimi post:
La necessità di una seria e vitale formazione liturgica
27. La questione fondamentale è, dunque, questa:
come recuperare la capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica? La
riforma del Concilio ha questo come obiettivo. La sfida è molto impegnativa perché
l’uomo moderno – non in tutte le culture allo stesso modo – ha perso la
capacità di confrontarsi con l’agire simbolico che è tratto essenziale
dell’atto liturgico.
28. La post-modernità – nella quale l’uomo si
sente ancor più smarrito, senza riferimenti di nessun tipo, privo di valori
perché divenuti indifferenti, orfano di tutto, in una frammentazione nella
quale sembra impossibile un orizzonte di senso – è ancora gravata dalla pesante
eredità che l’epoca precedente ci ha lasciato, fatta di individualismo e
soggettivismo (che ancora una volta richiamano pelagianesimo e gnosticismo)
come pure di uno spiritualismo astratto che contraddice la natura stessa
dell’uomo, spirito incarnato e, quindi, in se stesso capace di azione e di
comprensione simbolica.
29. È con la realtà della modernità che la
Chiesa riunita in Concilio ha
voluto confrontarsi, riaffermando la consapevolezza di essere sacramento di
Cristo, luce delle genti (Lumen
gentium), mettendosi in religioso ascolto della parola di Dio (Dei
Verbum) e riconoscendo come proprie le gioie e le speranze (Gaudium et spes) degli uomini d’oggi. Le
grandi Costituzioni conciliari non sono separabili e non è un caso che
quest’unica grande riflessione del Concilio Ecumenico – la più alta espressione
della sinodalità della Chiesa della cui ricchezza io sono chiamato ad essere,
con tutti voi, custode – abbia preso l’avvio dalla Liturgia (Sacrosanctum Concilium).
30. Chiudendo
la seconda sessione del Concilio (4 dicembre 1963) san Paolo VI così
si esprimeva:
«Del resto, questa discussione appassionata e complessa non è
stata affatto senza un frutto copioso: infatti quel tema che è stato prima di
tutto affrontato, e che in un certo senso nella Chiesa è preminente, tanto per
sua natura che per dignità – vogliamo dire la sacra Liturgia – è arrivato a
felice conclusione, e viene oggi da Noi con solenne rito promulgato. Per questo
motivo il Nostro animo esulta di sincera gioia. In questo fatto ravvisiamo
infatti che è stato rispettato il giusto ordine dei valori e dei doveri: in
questo modo abbiamo riconosciuto che il posto d’onore va riservato a Dio; che
noi come primo dovere siamo tenuti ad innalzare preghiere a Dio; che la sacra
Liturgia è la fonte primaria di quel divino scambio nel quale ci viene
comunicata la vita di Dio, è la prima scuola del nostro animo, è il primo dono
che da noi dev’essere fatto al popolo cristiano, unito a noi nella fede e
nell’assiduità alla preghiera; infine, il primo invito all’umanità a sciogliere
la sua lingua muta in preghiere sante e sincere ed a sentire quell’ineffabile
forza rigeneratrice dell’animo che è insita nel cantare con noi le lodi di Dio
e nella speranza degli uomini, per Gesù Cristo e nello Spirito Santo». [7]
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