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giovedì 17 ottobre 2019

L'UOMO DEVE DOMINARE SUL CREATO COME DICE GENESI 1,26?


Tintoretto - Creazione degli animali.
 Il libro della Genesi dice chiaramente che l’uomo deve dominare sulla Creazione e in particolare sugli esseri viventi. Sappiamo che questo verbo è stato usato da molti per giustificare un vero sfruttamento della Terra e degli esseri viventi fino alla distruzione da parte dell’uomo. Qualcuno cerca di tradurre “dominare” con “custodire” ma non si può e non è il caso di farlo. La Bibbia introduce abbondantemente il concetto di custodia e di rispetto del Creato come ci spiega il Papa. Quando è stato scritto il libro della Genesi, questa frase è stata una reazione al contesto politeista degli altri popoli. L’uomo adorava il Sole, la Luna e le Stelle, ma anche molti animali, come dèi e sentiva la sua debolezza di fronte alla loro forza e ferocia. Ma lo Spirito Santo conferma all’uomo la sua qualità e il suo posto particolare nel Creato, lo incoraggia e quindi può e deve dominare sugli animali e non scambiarli per divinità. Questo non significa distruggere o non rispettare il Creato. Rubo dall’Osservatore Romano – per la buona causa – stralci di «Una grande speranza», il saggio inedito di Papa Francesco che conclude il libro «Nostra Madre Terra. Una lettura cristiana della sfida dell’ambiente» che uscirà il 24 ottobre (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, euro 15). «Nostra Madre Terra» raccoglie frasi, testi, discorsi e omelie di Papa Bergoglio sul tema della custodia del creato e della promozione di una vita degna per ogni uomo. Introduce il libro una prefazione del patriarca ecumenico Bartolomeo, che sottolinea l’intesa tra ortodossi e cattolici nella tutela — alla luce della fede in Cristo — del dono della creazione e della vita umana.

(Papa Francesco) La Sacra Scrittura ci insegna che Dio ha creato il mondo. La liturgia della Chiesa poi ci confida che egli lo ha fatto «per effondere il suo amore» (Messale romano. Prefazio della Preghiera eucaristica IV) su tutto ciò che dal nulla veniva alla vita. Quanto esiste porta dunque con sé un’impronta, una traccia, una memoria — oserei quasi dire genetica — che rinvia al Padre. Ciò significa che, in tutto quanto esiste, il Padre si dona, e dunque lo possiamo incontrare, possiamo avere una qualche esperienza del suo amore, percepire una scintilla della sua paternità. Non esiste niente di così piccolo o povero che non porti in sé questa origine o che la possa perdere del tutto. Possiamo così prendere a prestito le parole dell’autore del Libro della Sapienza, che si rivolge a Dio, dicendo: «Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita (Sapienza 11, 24-26)».
Esiste, dunque, un collegamento continuo, radicale tra tutto ciò che esiste: il mondo proviene da un Dio amore che nel mondo si dona e ci chiama a condividere questo suo modo di esistenza. La creazione tuttavia non è, come spesso si pensa, semplicemente natura e ambiente.
Noi siamo creature, anche il tempo che passa è creatura. Ciò vuol dire che non esiste nessuna situazione, nessuna prova o crisi, nessuna gioia o successo, in cui non si possa fare esperienza del Signore, compiere un passo verso di Lui per crescere nell’amicizia con Lui e per poter a nostra volta amare, in quanto follemente amati.
Tutto ciò che esiste, esiste dunque per poter “vivere” come Dio, cioè come dono, come amore accolto e consegnato. Ma la creazione può vivere questo solo tramite l’uomo. Solo nell’uomo, microcosmo che condensa in sé l’universo, ma che vive del soffio che il Dio personale ha direttamente insufflato sul suo volto, il mondo può corrispondere alla sua segreta sacramentalità, cioè essere visto come dono. Un dono è sempre una realtà personale: in qualche modo contiene chi lo ha donato e chiede a colui a cui viene offerto proprio di vederlo così, come una realtà trasparente del volto del donatore, un dono fatto per conoscere chi si ama e fare della vita dell’altro una comunione con sé. È compito dell’uomo decifrare in modo libero e creatore la rivelazione di questo dono. Ed è altrettanto compito dell’uomo prendere il mondo nella sua comunione con Dio. La creazione è dunque un luogo in cui siamo invitati a scoprire una presenza. Ma ciò significa che è la capacità di comunione dell’uomo a condizionare lo stato della creazione. Questa è la nostra grande responsabilità. Quando non riusciamo a decifrare la presenza che abita le cose, tutto diventa banale e opaco, smette di essere un mezzo di comunione e diventa un’occasione di tentazione e di inciampo. Tutto questo comincia nel cuore di ciascuno di noi e si diffonde attraverso pensieri, intenzioni, comportamenti, abitudini, sia a livello di singoli che di gruppi sociali. Per essere parte di questa catena che banalizza o deturpa il dono della creazione non è necessario allora essere dei criminali: è “sufficiente” non riconoscere il dono che l’altro — chiunque altro — è, dal familiare al vicino di casa, dal collega di lavoro al povero che incontro per strada, dall’amico al migrante che cerca lavoro o un appartamento dove vivere... Ciò che accade nel cuore dell’uomo ha un significato universale e si imprime sul mondo. È dunque il destino dell’uomo a determinare il destino dell’universo.

Proprio perché tutto è connesso (cfr. Laudato si’ 42; 56) nel bene, nell’amore, proprio per questo ogni mancanza di amore ha ripercussione su tutto. La crisi ecologica che stiamo vivendo è così anzitutto uno degli effetti di questo sguardo malato su di noi, sugli altri, sul mondo, sul tempo che scorre; uno sguardo malato che non ci fa percepire tutto come un dono offerto per scoprirci amati. È questo amore autentico, che a volte ci raggiunge in maniera inimmaginabile e inaspettata, che ci chiede di rivedere i nostri stili di vita, i nostri criteri di giudizio, i valori su cui fondiamo le nostre scelte. In effetti, è ormai noto che inquinamento, cambiamenti climatici, desertificazione, migrazioni ambientali, consumo insostenibile delle risorse del pianeta, acidificazione degli oceani, riduzione della biodiversità sono aspetti inseparabili dall’inequità sociale (cfr. Evangelii gaudium 52-53; 59-60; 202): della crescente concentrazione del potere e della ricchezza nelle mani di pochissimi e delle cosiddette società del benessere, delle folli spese militari, della cultura dello scarto e di una mancata considerazione del mondo dal punto di vista delle periferie, della mancata tutela dei bambini e dei minori, degli anziani vulnerabili, dei bambini non ancora nati (...) L’ecologia è ecologia dell’uomo e della creazione tutta intera, non solo di una parte. Come in una grave malattia non basta la sola medicina, ma occorre guardare al malato e capire le cause che hanno portato all’insorgere del male, così analogamente la crisi del nostro tempo va affrontata nelle sue radici. Il cammino proposto consiste allora nel ripensare il nostro futuro a partire dalle relazioni: gli uomini e le donne del nostro tempo hanno tanta sete di autenticità, di rivedere sinceramente i criteri della vita, di ripuntare su ciò che vale, ristrutturando l’esistenza e la cultura.
Al di là dell’impegno personale e comunitario nella conversione della mentalità — prima ancora che dei comportamenti — un contributo che possiamo offrire come credenti è allora proprio quello della visione. E questa visione la possiamo imparare giorno dopo giorno dalla liturgia, che è l’esperienza quotidiana di trovarci al cospetto del Signore risorto e vittorioso, per partecipare con Lui alla salvezza della creazione tutta intera. Questo è particolarmente evidente proprio nella Messa, che è il ringraziamento a Dio per eccellenza: in essa noi offriamo al Padre ciò che viene da Lui (il grano e l’uva) trasformati dalla sapiente opera dell’uomo per essere il nostro cibo, la nostra bevanda, cioè quegli elementi di cui ci nutriamo per vivere e vivere al meglio delle nostre capacità. Da un lato, infatti, noi tutti lavoriamo per poter mangiare e il nostro cibo è ciò che ci permette di condurre la nostra esistenza quotidiana, di immergerci nelle relazioni importanti, di lottare per le cose che contano, di dare il nostro piccolo o grande contributo alla vita del mondo. Pane e vino sono proprio due simboli per eccellenza, perché mostrano l’unità tra il dono di Dio e il nostro impegno, tra il nostro lavoro e quello altrui, tra la fatica quotidiana e la gioia delle relazioni e della festa. Ora nella Messa noi offriamo al Padre tutto il nostro lavoro e la nostra fatica e tutta la nostra speranza e la nostra gioia; glieli offriamo non perché Lui ne abbia bisogno o li pretenda da noi, ma perché chi ama dona, anzi si dona. Facendo questa offerta, ammettiamo che le cose, trattate semplicemente come tali, sono un mondo che muore e la comunione con questo mondo non ci salva.
Solo collegandole a Dio riceviamo da Lui il dono della vita. E infatti, cosa avviene nella Messa? Noi offriamo tutto e mentre offriamo supplichiamo il Padre che mandi lo Spirito Santo, affinché unisca la nostra povertà all’offerta di Cristo, il Suo Figlio, che è venuto affinché ciascuno di noi, in Lui, divenga figlio del Padre. In questo modo il nostro pane e il nostro vino diventano Cristo, il dono per eccellenza del Padre, il nostro vero fratello, nel quale tutti finalmente siamo e ci scopriamo fratelli. Noi crediamo che il mondo è per l’uomo, perché è dono di colui che ci ama ed è a servizio della vita dei figli di Dio, così come ciascuno di noi è a servizio degli altri. E come nell’Eucaristia il pane e il vino diventano Cristo perché sono bagnati dallo Spirito, l’amore personale del Padre, così la creazione tutta (persone, cose, animali, piante, tempo e spazio) diventa una parola personale di Dio quando è usata per amore, per il bene dell’altro, soprattutto di chi ne ha bisogno. Dono, pentimento, offerta, fraternità. Ecco quattro parole che dicono una visione della realtà, della creazione, ma che indicano anche un cammino di guarigione dal bisogno del possesso, del potere, dell’abuso verso la condivisione, la collaborazione e il rispetto. Verso una fraternità universale — come quella che ci ha mostrato san Francesco d’Assisi — patrono di chi lavora per l’ecologia, vera ecologia umana, perché ha il sapore del modo in cui Dio salva il mondo. Ecco la mia grande speranza per il nostro tempo.


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