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lunedì 9 aprile 2018

QUEL MANIFESTO VERAMENTE PRO CHOICE / ribloggato da Costanza Miriano



Credo che sia veramente necessario ripubblicare questo post che può aprirci gli occhi, evitare , come dice Costanza Miriano che altre donne compiano una scelta senza consapevolezza, di cui soffriranno poi moltissimo (noi sacerdoti ne abbiamo la triste esperienza), e per tutti rafforzarci nel buon senso dell'evidenza. 

Quel manifesto veramente pro choice
di Costanza Miriano
Lo so, arrivo per ultima, ma prima non ho potuto scriverne. A questo punto tutto è stato detto, eppure da donna, da madre, da cristiana e questa volta anche da giornalista sono obbligata a dire anche io qualche parola sull’assurda vicenda di un manifesto con la foto di un bambino a undici settimane, rimosso d’autorità dal comune di Roma per il suo “contenuto lesivo del rispetto di diritti e libertà individuali”.
La vicenda è stranota: Pro Vita chiede l’autorizzazione di appendere un manifesto, pagando regolarmente. C’è solo la foto di un bambino nel grembo materno a undici settimane. Qualcuno si arrabbia, tra questi la Cirinnà che sostiene che il manifesto va contro la legge dello stato. Il manifesto viene come ho detto rimosso dal Comune di Roma.
Innanzitutto la cosa più urgente è ricordare alla senatrice che l’aborto non è un obbligo, ancora, ma  una facoltà (a chi considera i cani almeno al pari dei bambini – salvo che questi possono essere separati dalla madre, i cuccioli no – e che è una sostenitrice dell’utero in affitto è bene ricordarlo: è ancora lecito partorire i propri figli, anche se di razza umana). Pubblicare la foto di un bambino come realmente è, sottolineando che il suo cuore batte praticamente da subito, ben prima del limite entro il quale è legale abortire, non significa negare alle donne che lo vogliono il diritto di interrompere la gravidanza (questo diritto è tutelatissimo e nonostante gli sforzi manco la Cgil è mai riuscita a trovare una donna che avesse voluto abortire e non sia riuscita ampiamente entro i termini). Pubblicare una foto realistica significa però renderle consapevoli di quello che fanno. Quello, alla fine, non era che un manifesto pro choice. Perché se volessimo adottare gli argomenti pro life, allora sarebbe del tutto ininfluente che il cuore batta e che gli organi siano formati: per i pro life anche un farmaco che impedisca l’annidamento è abortivo (così anche per me). Quello era semplicemente un manifesto che diceva la verità, aiutando le donne a scegliere davvero, in base alla verità: puoi abortire, ma sappi che è questo che stai cacciando via dalla tua pancia.
L’ho raccontato all’amico londinese con cui eravamo in questi giorni e lui non riusciva a capire a quale scusa si potesse essere attaccato il Comune di Roma per fare una cosa così dispotica: it’s a fact! ha esclamato. E’ un fatto. Un bambino a undici settimane si presenta così. Gli batte il cuore. E’ un fatto, è scienza, è la realtà. Ma la realtà fa paura a chi la vuole manipolare. E’ lo stesso principio che ha fatto sì che in Francia venisse vietata la trasmissione dello spot che semplicemente mostra persone con sindrome di down che fanno cose normali – andare a scuola, fare alcuni tipi di lavoro – e dicono “mamma, anche io posso essere felice”. Non dicono “madri che avete abortito un bambino down siete assassine, pentitevi”, no, non dice questo. Dice solo che anche una persona down può avere una vita felice. Punto. Ed è ovvio che lo scopo, nel caso dello spot e in quello del manifesto, non è quello di far sentire in colpa chi ha abortito, ma di impedire che qualcun’altra lo faccia senza capire cosa stia facendo.
Ho conosciuto tante donne che sono passate dal dolore dell’aborto, e, forse tranne una il cui figlio era molto malato e pensava di non avere le forze per gestire la cosa, tutte lo hanno fatto senza rendersi conto che stavano uccidendo un bambino e non, invece, rimuovendo un grumo di cellule. A quasi tutte sarebbe servito un abbraccio, un aiuto, un appoggio, sì, ma soprattutto informazione. Credo che a molte di loro quella foto avrebbe salvato la vita, avrebbe risparmiato fiumi di lacrime e anni di rimpianti. E sia chiaro che l’impegno del mondo pro life non è per far sentire in colpa qualcuno che lo ha già fatto, ma per impedire che l’ennesima donna domattina abortisca ancora senza la piena consapevolezza. È proprio questo che fa tanto paura, tanto da indurre addirittura una senatrice ad andare contro un principio stabilito e tutelato dalla Costituzione (Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione).  Tanto più che il manifesto non esprime nemmeno un’opinione, ripetiamo, ma un dato di realtà. E’ la verità che può salvare le mamme dall’abisso di dolore nel quale precipitano uccidendo il loro figlio, ed è la verità di cui hanno paura  i guardiani del pensiero unico. Qualcuno di noi ha mai protestato contro i manifesti del gay pride? Io no di sicuro, e nessuno dei miei amici. Non la Chiesa. Anzi, per me sono una divertente occasione per smascherare con i miei figli la propaganda grossolana che li muove. I manifesti se ne stanno affissi indisturbati: noi non abbiamo paura della propaganda se siamo con i figli ad aiutarli a ragionare (altro è se gliela propinano obbligatoriamente a scuola senza che noi ne siamo informati). A noi la verità comunque non fa mai paura perché sappiamo farne un giudizio.
Invece la propaganda radicale si è basata sulle bugie e sulla disinformazione, a partire dalla storia di Seveso in Italia, e dalle menzogne della sentenza Roe vs Wade in America. Nessuna donna che venisse davvero informata e appoggiata, credo, permetterebbe che un bambino venisse trucidato, fatto a pezzetti nella sua pancia. Lo so, è un’immagine cruda, e infatti ci è stato anche chi ha sollevato la questione della comunicazione dei pro life, non sempre intelligentissima. E’ vero, si potrebbe fare di meglio, comunicare in positivo la bellezza della vita, e questo tutti noi che abbiamo figli e lo raccontiamo (a volte pure troppo), cerchiamo di farlo. Io però ci credo poco, che possa funzionare. L’uomo è un abisso di mistero, e il male esiste. Sarebbe come dire che per la pace in Siria sarebbe più utile affiggere gigantografie di Damasco e Aleppo ancora intatte, coi guardini in fiore e i bambini che giocano per strada.  Rimane il fatto che c’è una guerra.
Rimangono oltre centomila bambini uccisi nel grembo materno in Italia ogni anno nel silenzio generale. Non è che il fatto che la legge sia stata ormai approvata può far archiviare la realtà di centomila cuoricini fermati ogni anno e questo, come dice il mio amico londinese, it’s a fact! Senza contare le decine e decine di migliaia di aborti non conteggiati grazie alla contraccezione del giorno dopo – ormai farmaco da banco – e in molti casi anche in quella preventiva (la pillola può anche non impedire il concepimento).
Di fronte alla paura che può prendere una donna che scopra di essere incinta nel momento più sbagliato della storia dell’intero cosmo (a lei sembra di certo così), la predica sulla bellezza della vita serve veramente a pochissimo. Non è sempre bello avere un figlio. E’ vero. Per mille motivi diversi. Ma è una realtà. Quel figlio E’. E’ lì, vive, il suo cuore batte, succhia il pollice. E’ un fatto e farci i conti piano piano guarirà il cuore terrorizzato o arrabbiato della sua mamma. La vità avrà la forza di farle superare qualsiasi cosa, e, spero, ci sarà una comunità intorno a lei (i Centri Aiuto alla Vita per esempio sono lì per formarne una intorno a chi è sola). Scegliere la morte invece sarà un dolore terribile per la madre, dal quale potrà essere guarita solo se avrà il coraggio di guardare il suo dolore e di chiedere perdono (magari proprio grazie a quel manifesto). Se ci crede, a Dio. Sennò anche solo al suo bambino. Dire a se stessa che ha solo rimosso un grumo di cellule non servirà a farla stare meglio. È per questo che quel manifesto è un grosso regalo anche alle donne che hanno abortito. E noi pretendiamo che venga di nuovo affisso, in nome di quelle mamme e di quei bambini. E se non siete d’accordo, non ce ne frega niente, perché la Costituzione ci dà il diritto di parlare, anche se non diciamo bugie.


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