Papa Francesco ha fatto un intervento di enorme importanza e densità nella sua semplicità lineare ai partecipanti della 68.ma Settimana Liturgica Nazionale ("UNA LITURGIA VIVA PER UNA CHIESA VIVA"). Il titolo del post al suo discorso è mio e non so se sia il migliore. Ma il testo è da leggere, anche le note, da meditare, da usare come scuola di preghiera e come fonte per arricchire e correggere le monizioni e didascalie delle nostre liturgie.
Eleviamo una lode a Dio per la Chiesa Madre e Maestra
che, paziente e accogliente verso chi ha una sensibilità diversa o nostalgica
del passato, chiarisce senza possibilità di dubbio qual è il senso del cammino
e quali sono i punti fermi. La Riforma Liturgica è irreversibile! Dal Cardinale
Sarah e altri, era partita una richiesta di “riforma della Riforma” del
Concilio Vaticano II, cioè di contestazione delle direttive del Concilio e dell'applicazione successiva con Paolo VI. Voleva rimettere Dio al centro delle
Assemblee Liturgiche. Lodevole intento. Per questo egli riteneva necessario che
l’Assemblea si girasse verso Oriente, verso Est (come una Qibla islamica), con il
sacerdote celebrante spalle al popolo, che si ponesse in un luogo centrale un
grande crocifisso... Un diacono amico mio, ad un settimanale cristiano entusiasta
di questa proposta, scrisse: “strano, Cristo è realmente presente nell’Assemblea dei fedeli, nei suoi Ministri, in
particolare il Presidente, nella Parola di Dio e nel Sacramento Eucaristico. Oggi
mi si dice di volgere invece l’attenzione verso dei simboli di Cristo!”. Il Cardinale Sarah fu gentilmente sconfessato
da papa Francesco e da allora aveva cercato un compromesso abbassando le sue
pretese.
Oggi c'è una dichiarazione “con autorità magisteriale” e “con grande sicurezza”
che il nostro modo di
celebrare in parrocchia (grazie a Dio non ci sono tra noi
abusi o idee cervellotiche), frutto del Concilio, è in linea con il volere dello
Spirito Santo e strettamente conforme alla Tradizione “ad normam Sanctorum
Patrum” (secondo la norma dei Santi Padri), come scrisse Giovanni Paolo II nel 25
anniversario della Costituzione Conciliare sulla Liturgia. Di fronte agli errori, le sciatterie, gli abusi, non, quindi, "riforma della riforma" ma applicazione sempre più consapevole e profonda della riforma. Questo intervento
di papa Francesco è importante per tutta la Chiesa ma in particolare per alcune nazioni,
come la Francia, dove i tradizionalisti pensavano sempre di più che il Concilio
sia stato un errore.
Sotto il testo completo del papa:
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA 68.ma SETTIMANA LITURGICA NAZIONALE
AI PARTECIPANTI ALLA 68.ma SETTIMANA LITURGICA NAZIONALE
Aula Paolo VI
Giovedì, 24 agosto 2017
Giovedì, 24 agosto 2017
Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Do il benvenuto a tutti voi e ringrazio il Presidente, Sua Eccellenza Mons.
Claudio Maniago, per le parole con cui ha presentato questa Settimana Liturgica
Nazionale, a 70 anni dalla nascita del Centro di Azione Liturgica.
Questo arco di tempo è un periodo in cui, nella storia della Chiesa e, in
particolare, nella storia della liturgia, sono accaduti eventi sostanziali e
non superficiali. Come non si potrà dimenticare il Concilio Vaticano II, così sarà ricordata la riforma liturgica che ne è
sgorgata.
Sono due eventi direttamente legati, il Concilio e la riforma, non fioriti
improvvisamente ma a lungo preparati. Lo testimonia quello che fu chiamato
movimento liturgico, e le risposte date dai Sommi Pontefici ai disagi percepiti
nella preghiera ecclesiale; quando si avverte un bisogno, anche se non è
immediata la soluzione, c’è la necessità di mettersi in moto.
Penso a san Pio X che dispose un riordino della
musica sacra[1] e
il ripristino celebrativo della domenica,[2] ed
istituì una commissione per la riforma generale della liturgia, consapevole che
ciò avrebbe comportato «un lavoro tanto grande quanto diuturno; e perciò – come
egli stesso riconosceva – è necessario che passino molti anni, prima che
questo, per così dire, edificio liturgico [...] riappaia di
nuovo splendente nella sua dignità e armonia, una volta che sia stato come
ripulito dallo squallore dell’invecchiamento».[3]
Il progetto riformatore fu ripreso da Pio XII con l’Enciclica Mediator Dei[4] e
l’istituzione di una commissione di studio;[5] anch’egli
prese decisioni concrete circa la versione del Salterio,[6] l’attenuazione
del digiuno eucaristico, l’uso della lingua viva nel Rituale, l’importante
riforma della Veglia Pasquale e della Settimana Santa.[7] Da
questo impulso, sull’esempio di altre Nazioni, sorse in Italia il Centro di
Azione Liturgica, guidato da Vescovi solleciti del popolo loro affidato e
animato da studiosi che amavano la Chiesa oltre che la pastorale liturgica.
Il Concilio Vaticano II fece poi maturare, come buon frutto dall’albero
della Chiesa, la Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (SC),
le cui linee di riforma generale rispondevano a bisogni reali e alla concreta
speranza di un rinnovamento: si desiderava una liturgia viva per una Chiesa
tutta vivificata dai misteri celebrati. Si trattava di esprimere in maniera
rinnovata la perenne vitalità della Chiesa in preghiera, avendo premura
«affinché i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo
mistero di fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere,
partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente, attivamente» (SC, 48). Lo
ricordava il Beato Paolo VI nello spiegare i primi passi
della riforma annunciata: «E’ bene che si avverta come sia proprio l’autorità
della Chiesa a volere, a promuovere, ad accendere questa nuova maniera di
pregare, dando così maggiore incremento alla sua missione spirituale […]; e noi
non dobbiamo esitare a farci dapprima discepoli e poi sostenitori della scuola
di preghiera, che sta per cominciare».[8]
La direzione tracciata dal Concilio trovò
forma, secondo il principio del rispetto della sana tradizione e del legittimo progresso
(cfr SC, 23), [9] nei
libri liturgici promulgati dal Beato Paolo VI, ben accolti dagli stessi Vescovi
che furono presenti al Concilio, e ormai da
quasi 50 anni universalmente in uso nel Rito Romano. L’applicazione pratica,
guidata dalle Conferenze Episcopali per i rispettivi Paesi, è ancora in atto,
poiché non basta riformare i libri liturgici per rinnovare la mentalità. I
libri riformati a norma dei decreti del Vaticano II hanno innestato un processo che richiede tempo, ricezione fedele,
obbedienza pratica, sapiente attuazione celebrativa da parte, prima, dei
ministri ordinati, ma anche degli altri ministri, dei cantori e di tutti coloro
che partecipano alla liturgia. In verità, lo sappiamo, l’educazione liturgica di
Pastori e fedeli è una sfida da affrontare sempre di nuovo. Lo stesso Paolo VI, un anno prima della morte, diceva
ai Cardinali riuniti in Concistoro: «E’ venuto il momento, ora, di lasciar
cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un
senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri
ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio».[10]
E oggi c’è ancora da lavorare in questa direzione, in particolare
riscoprendo i motivi delle decisioni compiute con la riforma liturgica,
superando letture infondate e superficiali, ricezioni parziali e prassi che la
sfigurano. Non si tratta di ripensare la riforma rivedendone le scelte, quanto
di conoscerne meglio le ragioni sottese, anche tramite la documentazione storica,
come di interiorizzarne i principi ispiratori e di osservare la disciplina che
la regola. Dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare
con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è
irreversibile.
Il compito di promuovere e custodire la liturgia è affidato dal diritto
alla Sede Apostolica e ai Vescovi diocesani, sulla cui responsabilità e
autorità conto molto nel momento presente; sono coinvolti anche gli organismi
nazionali e diocesani di pastorale liturgica, gli Istituti di formazione e i
Seminari. In questo ambito formativo si è distinto, in Italia, il Centro di
Azione Liturgica con le sue iniziative, tra cui l’annuale Settimana Liturgica.
Dopo aver ripercorso con la memoria questo cammino, vorrei adesso toccare
alcuni aspetti alla luce del tema su cui avete riflettuto in questi giorni,
cioè: “Una Liturgia viva per una Chiesa viva”.
- La liturgia è “viva” in ragione della presenza viva di Colui che «morendo
ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio pasquale
I). Senza la presenza reale del mistero di Cristo, non vi è nessuna vitalità
liturgica. Come senza battito cardiaco non c’è vita umana, così senza il cuore
pulsante di Cristo non esiste azione liturgica. Ciò che definisce la liturgia è
infatti l’attuazione, nei santi segni, del sacerdozio di Gesù Cristo, ossia
l’offerta della sua vita fino a stendere le braccia sulla croce, sacerdozio
reso presente in modo costante attraverso i riti e le preghiere, massimamente
nel suo Corpo e Sangue, ma anche nella persona del sacerdote, nella
proclamazione della Parola di Dio, nell’assemblea radunata in preghiera nel suo
nome (cfr SC, 7). Tra i
segni visibili dell’invisibile Mistero vi è l’altare, segno di Cristo pietra
viva, scartata dagli uomini ma divenuta pietra d’angolo dell’edificio
spirituale in cui viene offerto al Dio vivente il culto in spirito e verità
(cfr 1 Pt 2,4; Ef 2,20). Perciò l’altare,
centro verso cui nelle nostre chiese converge l’attenzione,[11] viene
dedicato, unto con il crisma, incensato, baciato, venerato: verso l’altare si
orienta lo sguardo degli oranti, sacerdote e fedeli, convocati per la santa
assemblea intorno ad esso;[12] sopra
l’altare viene posta l’offerta della Chiesa che lo Spirito consacra sacramento
del sacrificio di Cristo; dall’altare ci sono elargiti il pane della vita e il
calice della salvezza «perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo
spirito» (Preghiera eucaristica III).
- La liturgia è vita per l’intero popolo della Chiesa.[13] Per
sua natura la liturgia è infatti “popolare” e non clericale, essendo – come
insegna l’etimologia – un’azione per il popolo, ma anche del popolo.
Come ricordano tante preghiere liturgiche, è l’azione che Dio stesso compie in
favore del suo popolo, ma anche l’azione del popolo che ascolta Dio che parla e
reagisce lodandolo, invocandolo, accogliendo l’inesauribile sorgente di vita e
di misericordia che fluisce dai santi segni. La Chiesa in preghiera raccoglie
tutti coloro che hanno il cuore in ascolto del Vangelo, senza scartare nessuno:
sono convocati piccoli e grandi, ricchi e poveri, fanciulli e anziani, sani e
malati, giusti e peccatori. Ad immagine della “moltitudine immensa” che celebra
la liturgia nel santuario del cielo (cfr Ap 7,9), l’assemblea
liturgica supera, in Cristo, ogni confine di età, razza, lingua e nazione. La
portata “popolare” della liturgia ci ricorda che essa è inclusiva e non
esclusiva, fautrice di comunione con tutti senza tuttavia omologare, poiché
chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a contribuire
nell’edificare il corpo di Cristo: «L’Eucaristia non è un sacramento “per me”,
è il sacramento di molti che formano un solo corpo, il santo popolo fedele di
Dio».[14] Non
dobbiamo dimenticare, dunque, che è anzitutto la liturgia ad esprimere la pietas di
tutto il popolo di Dio, prolungata poi da pii esercizi e devozioni che
conosciamo con il nome di pietà popolare, da valorizzare e incoraggiare in
armonia con la liturgia.[15]
- La liturgia è vita e non un’idea da capire. Porta infatti a vivere
un’esperienza iniziatica, ossia trasformativa del modo di pensare e di
comportarsi, e non ad arricchire il proprio bagaglio di idee su Dio. Il culto
liturgico «non è anzitutto una dottrina da comprendere, o un rito da compiere;
è naturalmente anche questo ma in un’altra maniera, è essenzialmente diverso: è
una sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede».[16] Le
riflessioni spirituali sono una cosa diversa dalla liturgia, la quale «è
proprio entrare nel mistero di Dio; lasciarsi portare al mistero ed essere nel
mistero».[17] C’è
una bella differenza tra dire che esiste Dio e sentire che Dio ci ama, così
come siamo, adesso e qui. Nella preghiera liturgica sperimentiamo la comunione
significata non da un pensiero astratto ma da un’azione che ha per agenti Dio e
noi, Cristo e la Chiesa.[18] I
riti e le preghiere (cfr SC, 48), per
quello che sono e non per le spiegazioni che ne diamo, diventano pertanto una
scuola di vita cristiana, aperta a quanti hanno orecchi, occhi e cuore
dischiusi ad apprendere la vocazione e la missione dei discepoli di Gesù. Ciò è
in linea con la catechesi mistagogica praticata dai Padri, ripresa anche
dal Catechismo della Chiesa Cattolica che tratta della liturgia,
dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti alla luce dei testi e dei riti degli
odierni libri liturgici.
La Chiesa è davvero viva se, formando un solo essere vivente con Cristo, è
portatrice di vita, è materna, è missionaria, esce incontro al prossimo,
sollecita di servire senza inseguire poteri mondani che la rendono sterile.
Perciò, celebrando i santi misteri ricorda Maria, la Vergine del Magnificat,
contemplando in lei «come in un’immagine purissima, ciò che essa tutta desidera
e spera di essere» (SC, 103).
Infine, non possiamo dimenticare che la ricchezza della Chiesa in preghiera
in quanto “cattolica” va oltre il Rito Romano, che, pur essendo il più esteso,
non è il solo. L’armonia delle tradizioni rituali, d’Oriente e d’Occidente, per
il soffio del medesimo Spirito dà voce all’unica Chiesa orante per Cristo, con
Cristo e in Cristo, a gloria del Padre e per la salvezza del mondo.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra visita e incoraggio i
responsabili del Centro di Azione Liturgica a proseguire tenendo fede all’ispirazione
originale, quella di servire la preghiera del popolo santo di Dio. Infatti, il
Centro di Azione Liturgica si è sempre distinto per la cura prestata alla
pastorale liturgica, nella fedeltà alle indicazioni della Sede Apostolica come
dei Vescovi e godendo del loro supporto. La lunga esperienza delle Settimane
Liturgiche, tenutesi in numerose diocesi d’Italia, insieme alla rivista
“Liturgia”, ha aiutato a calare il rinnovamento liturgico nella vita delle
parrocchie, dei seminari e delle comunità religiose. La fatica non è mancata,
ma neppure la gioia! E’ ancora questo l’impegno che vi chiedo oggi: aiutare i
ministri ordinati, come gli altri ministri, i cantori, gli artisti, i
musicisti, a cooperare affinché la liturgia sia “fonte e culmine della vitalità
della Chiesa” (cfr SC, 10). Vi
chiedo per favore di pregare per me e vi imparto di cuore la Benedizione
Apostolica
[7] Cfr Sacrae Congr. Rituum,
Decretum Dominicae Resurrectionis, 9 febbraio
1951: AAS 43 (1951) 128-129; Id., Decretum Maxima Redemptionis,
16 novembre 1955: AAS 47 (1955) 838-841.
[9] «La riforma dei riti e dei
libri liturgici fu intrapresa quasi immediatamente dopo la promulgazione della
costituzione Sacrosanctum Concilium e fu
attuata in pochi anni grazie al considerevole e disinteressato lavoro di un
grande numero di esperti e di pastori di tutte le parti del mondo (cfr Sacrosanctum Concilium, 25). Questo
lavoro è stato fatto sotto la guida del principio conciliare: fedeltà alla
Tradizione e apertura al legittimo progresso (cfr ibid., 23);
perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale “ad
normam Sanctorum Patrum” (cfr ibid., 50; Institutio
generalis Missalis Romani, Prooemium, 6)» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4).
[10] «Un punto particolare della
vita della Chiesa attira oggi di nuovo l’attenzione del Papa: i frutti indiscutibilmente
benèfici della riforma liturgica. Dalla promulgazione della Costituzione
conciliare Sacrosanctum Concilium è avvenuto
un grande progresso, che risponde alle premesse poste dal movimento liturgico
dello scorcio finale del sec. XIX, e ne ha adempiute le aspirazioni profonde,
per cui tanti uomini di Chiesa e studiosi hanno lavorato e pregato. Il nuovo Rito
della Messa, da noi promulgato dopo lunga e responsabile preparazione degli
organi competenti, e nel quale sono stati introdotti, accanto al Canone Romano,
rimasto sostanzialmente immutato, altre eulogie eucaristiche, ha portato frutti
benedetti: maggiore partecipazione all’azione liturgica; più viva
consapevolezza dell’azione sacra; maggiore e più ampia conoscenza dei tesori
inesauribili della Sacra Scrittura; incremento del senso comunitario nella
Chiesa. Il corso di questi anni dimostra che siamo nella via giusta. Ma vi sono
stati, purtroppo - pur nella grandissima maggioranza delle forze sane e buone
del clero e dei fedeli - abusi e libertà nell’applicazione. È venuto il
momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente
perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi
giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti
del Concilio» (Alloc. Gratias ex animo, 27 giugno 1977: Insegnamenti
di Paolo VI, XV [1977], 655-656, in italiano 662-663).
[11] Cfr Ordinamento generale del Messale Romano, n. 299; Rito della dedicazione di
un altare, Premesse, nn. 155, 159
[12] «Intorno a quest’altare ci
nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio per formare la tua Chiesa una e
santa» (Rito della dedicazione di un altare, n. 213, Prefazio).
[13] «Le azioni liturgiche non sono
azioni private ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento dell’unità”,
cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò
appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano» (SC, 23).
[14] Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore
Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8.
[15] Cfr SC, 13; Esort.
ap. Evangelii gaudium,
24 novembre 2013, 122-126: AAS 105 (2013),
1071-1073.
[16] Omelia nella S. Messa della III Domenica di Quaresima, Parrocchia romana di Ognissanti, 7
marzo 2015.
[18] «Ecco perché ci fa tanto bene
il memoriale eucaristico: non è una memoria astratta, fredda, nozionistica, ma
la memoria vivente e consolante dell’amore di Dio. […] Nell’Eucaristia c’è
tutto il gusto delle parole e dei gesti di Gesù, il sapore della sua Pasqua, la
fragranza del suo Spirito. Ricevendola, si imprime nel nostro cuore la certezza
di essere amati da Lui» (Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore
Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8).
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