Parrocchia di San Vitale Fuorigrotta - Napoli |
Dal blog di Costanza Miriano
DI AUTORI VARI
Mi ha toccato tanto questa testimonianza e ho voluto farla conoscere:
"Da un paio di mesi ho cambiato lavoro. E come sempre, all’inizio, ci si
muove un po’ a tentoni, cercando di capire in fretta ma sbagliando mille volte.
E quando tutto sembra andare storto prevale una gran fatica. Così a volte uno
si abbatte, inutile negarlo, e la sera torna a casa col muso. O con la testa
altrove. Al termine di una di queste giornate di fuoco mi sono rimesso al
computer per rispondere ad alcune mail. Nella posta in arrivo mi cade l’occhio
su un messaggio che mi era sfuggito. Racconta di una persona in un paese vicino
al mio, che non conoscevo direttamente, pur avendo in mente la sua vicenda. Una
mamma a cui era morto un figlio in un incidente stradale, circa un anno fa. Era
uno dei suoi quattro figli, trentenne, investito mentre stava rientrando a casa
in moto.
La mail parlava del rapporto di questa madre con il signore che guidava la
macchina. Non un rapporto di strazio e disperazione, come ci si aspetterebbe e
come sarebbe anche comprensibile secondo la mentalità dominante. No, niente di
tutto ciò. Quella donna, passati dodici mesi dalla morte del figlio, si è
presentata a casa dell’uomo che gliel’aveva portato via con un regalo. Dodici
pasticcini. Da tanto tempo voleva incontrarlo, dopo aver conosciuto la moglie a
la figlia al funerale. Non avendo preavvisato non lo trova neanche in casa.
Allora aspetta, con pazienza. D’un tratto scorge una sagoma entrare nell’atrio
e ritirare la posta. Era lui. “Scusi, le ho portato i pasticcini, sono la mamma
di Andrea”. A momenti l’uomo sviene. Resta lì, impietrito, a fissarla per
qualche secondo. “Prego per lui tutti i giorni”, le dice, prima di
abbracciarla. Poi aggiunge: “Non so se potrete perdonarmi”. “Non c’è niente da
perdonare. Quello era un appuntamento”, risponde lei. E si riabbracciano. Il
Signore ha dato la Grazia a questa mamma di non provare un briciolo di rancore
verso chi ha ucciso suo figlio. Così, condensata in poche righe, si stava
dipanando davanti a me una storia intessuta di misericordia.
Quella sera, colpito dalla vicenda (tra l’altro il funerale era stato
celebrato da un mio amico sacerdote), vado a cercare informazioni
sull’incidente, che non ricordavo con precisione, e soprattutto sulla famiglia
di Andrea, di cui avevo sentito dire un gran bene. Scopro che ha una sorella e
due fratelli, entrambi affetti da distrofia muscolare. In un articolo vedo
finalmente la foto di tutti i componenti della famiglia. Li guardo, uno per
uno, e all’improvviso mi si stringe il cuore: uno dei due ragazzi è un mio
collega. Arriva tutti i pomeriggi nel mio ufficio, dove lavora part-time, con
la sua carrozzina elettrica. Il giorno seguente aspetto con ansia il suo
arrivo, pochi minuti dopo le 14. Tendo l’orecchio e mi giro sentendo il ronzio
della carrozzina. Ci saluta sorridente, come sempre.
Mai avrei immaginato che
fosse stato segnato da un dramma del genere. Poco più tardi gli racconto ciò
che mi era successo il giorno prima e gli parlo del miracolo così imponente e
discreto che è la sua famiglia. Diventiamo amici. Alle 18, per la prima volta
viene a prenderlo sua mamma, e non il papà. Sento che confabulano un po’, lei
si avvicina e ci presentiamo. La ringrazio e le racconto della commozione nel
sentirmi continuamente riacciuffato da Dio, attraverso persone e fatti che non
ti aspetti: dall’incertezza sul lavoro a una storia di santità a un metro e
mezzo dalla mia scrivania. Parliamo pochi minuti e mi sembra di conoscerla da
una vita.
Sono tornato a casa lieto, con negli occhi quella vicenda di misericordia
che sembra una pagina del Vangelo. Certo di un Bene più grande che ci sorprende
sempre. Certo di un’ultima tenace nota di letizia che, grazie a Dio, cambia le
nostre giornate. Facendo passare in secondo piano i calcoli, la paura e la
fatica. E illuminando la strada, metro dopo metro, attraverso il susseguirsi di
incontri eccezionali e inaspettati."
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