Uno dei suoi pregi è lo stile. Mi sono
formato con Giovani Paolo II. La mia mamma diceva: “Paolo VI lo
capivo meglio”. Infatti Paolo VI scriveva in modo semplice anche se con un
vocabolario eletto. Giovanni Paolo II era un po’ più difficile. Quando
divenne papa Benedetto XVI mio fratello prete mi disse: “per noi francesi,
Benedetto è più chiaro di Giovanni Paolo II”. Con “Deus Charitas est” di
papa Benedetto ho pensato che se mi avessero spiegato le cose in quel modo al
liceo avrei colto subito il punto. Ma comunque i testi di questi tre papi
dovevano in qualche modo essere “mediati” per portarli alla gente. Sembra che il livello scolastico necessario per comprendere papa Francesco si
abbassa ancora, ma sopratutto egli fa sentire il Vangelo e
l’insegnamento della Chiesa maggiormente vicini alla vita concreta, egli necessita ancora
meno di “mediazione”. Ed è stupendo. Gesù si è fatto capire direttamente dalla
gente, gli Apostoli, nel loro greco imparato per strada, hanno conquistato i
cuori e le anime senza nessuno addetto a tradurre in linguaggio popolare e in esempi
i loro documenti.
Riporto quindi direttamente un paragrafo
di AL per chiarire un problema molto presente nella vita del credente e di cui
ho parlato ieri: il valore dei sentimenti, del gusto interiore, nel cammino di
fede.
AMORIS LAETITIA 145. Provare un’emozione
non è qualcosa di moralmente buono o cattivo per sé stesso. Incominciare
a provare desiderio o rifiuto non è peccaminoso né riprovevole. Quello che è
bene o male è l’atto che uno compie spinto o accompagnato da una passione. Ma
se i sentimenti sono alimentati, ricercati e a causa di essi commettiamo
cattive azioni, il male sta nella decisione di alimentarli e negli atti cattivi
che ne conseguono. Sulla stessa linea, provare piacere per qualcuno non è di
per sé un bene. Se con tale piacere io faccio in modo che quella persona
diventi mia schiava, il sentimento sarà al servizio del mio egoismo. Credere che siamo buoni solo perché
“proviamo dei sentimenti” è un tremendo inganno. Ci sono persone che si
sentono capaci di un grande amore solo perché hanno una grande necessità di
affetto, però non sono in grado di lottare per la felicità degli altri e vivono
rinchiusi nei propri desideri. In tal caso i sentimenti distolgono dai grandi
valori e nascondono un egocentrismo che non rende possibile coltivare una vita
in famiglia sana e felice.
Allo stesso modo, credere
che siamo cattivi solo perché “non proviamo dei sentimenti” è un tremendo
inganno. Che io stesso o qualcun altro giudichi il mio cammino di fede a seconda
delle sensazioni, delle emozioni che si provano è sbagliato. Conta la volontà o
meno di amare, che spinge sempre alla concretezza delle azioni. Conta la misura
in cui cerco di fare la volontà di Dio, anche quando non ci provo gusto e quando
devo rinunciare ad un’altra cosa che mi sembrava più gradevole.
Scambiare i sentimenti, le emozioni, per dei valori è uno dei grossi problemi
di oggi. Ricordo un questionario rivolto ai giovani di una parrocchia prima di
un’esperienza di ritiro. Lessi solo un foglio. Alla domanda: “cosa ti aspetti
da questo ritiro”, era scritto: “provare emozioni nuove”. Mi sembra molto caratteristico
della mentalità attuale. E se non ti fa sentire bene sul momento, non segui Gesù?
San Giovanni della Croce dice: lasciati guidare solo dalla fede, questo ha
valore anche se tu non dovessi provare emozioni. Anzi, nella misura in cui perseveri
umilmente pur stando nell’aridità, hai più merito.
Ricordo a tutti gli appuntamenti in parrocchia a san Castrese per la presentazione di Amoris Laetitia: 5 - 6 - 7- 8 settembre, ore 20.
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