Sento necessario mettere ancora
una volta in guardia tutti dal danno che si può generare con le notizie false e
gli insegnamenti falsi, particolarmente in questo periodo. La riflessione cristiana
su questo punto è da sempre molto ricca e profonda e oltre il Catechismo della Chiesa
Cattolica, nel magistero recente troviamo molti insegnamenti di papa Francesco.
Riprendo questo suo messaggio dal Sito dell’Ordine dei Giornalisti:
IL
MESSAGGIO DEL PAPA SU VERITÀ, FAKE NEWS E GIORNALISMO DI PACE
Gen 24, 2018 |
Riportiamo il Messaggio del Papa per la
“52ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali” sul tema "La
verità vi farà liberi (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace" che
sarà celebrata domenica 13 maggio 2018. Il testo è stato diffuso oggi 24
gennaio, per la festività di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.
Cari fratelli e sorelle,
Cari fratelli e sorelle,
nel progetto di Dio, la comunicazione umana è una modalità essenziale per
vivere la comunione. L’essere umano, immagine e somiglianza del Creatore, è
capace di esprimere e condividere il vero, il buono, il bello. E’ capace di
raccontare la propria esperienza e il mondo, e di costruire così la memoria e
la comprensione degli eventi. Ma l’uomo, se segue il proprio orgoglioso
egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare, come
mostrano fin dall’inizio gli episodi biblici di Caino e Abele e della Torre di
Babele (cfr Gen 4,1-16; 11,1-9). L’alterazione della verità è il sintomo tipico
di tale distorsione, sia sul piano individuale che su quello collettivo. Al
contrario, nella fedeltà alla logica di Dio la comunicazione diventa luogo per
esprimere la propria responsabilità nella ricerca della verità e nella
costruzione del bene. Oggi, in un contesto di comunicazione sempre più veloce e
all’interno di un sistema digitale, assistiamo al fenomeno delle “notizie
false”, le cosiddette fake news: esso ci invita a riflettere e mi ha suggerito
di dedicare questo messaggio al tema della verità, come già hanno fatto più
volte i miei predecessori a partire da Paolo VI (cfr Messaggio 1972: Le
comunicazioni sociali al servizio della verità). Vorrei così offrire un
contributo al comune impegno per prevenire la diffusione delle notizie false e
per riscoprire il valore della professione giornalistica e la responsabilità
personale di ciascuno nella comunicazione della verità.
1. Che cosa c’è di falso nelle “notizie false”?
L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura
mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste
notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a
catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi
diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e
immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la
frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social
network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i
contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino
le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni.
La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto
che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e
impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica
della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di
informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i
pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare
involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della
disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico,
fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false
rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e
ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di
dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità.
2. Come possiamo riconoscerle?
Nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabilità di contrastare queste
falsità. Non è impresa facile, perché la disinformazione si basa spesso su
discorsi variegati, volutamente evasivi e sottilmente ingannevoli, e si avvale
talvolta di meccanismi raffinati. Sono perciò lodevoli le iniziative educative
che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto comunicativo,
insegnando a non essere divulgatori inconsapevoli di disinformazione, ma attori
del suo svelamento. Sono altrettanto lodevoli le iniziative istituzionali e
giuridiche impegnate nel definire normative volte ad arginare il fenomeno, come
anche quelle, intraprese dalle tech e media company, atte a definire nuovi
criteri per la verifica delle identità personali che si nascondono dietro ai
milioni di profili digitali.
Ma la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione
richiedono anche un profondo e attento discernimento. Da smascherare c’è
infatti quella che si potrebbe definire come “logica del serpente”, capace
ovunque di camuffarsi e di mordere. Si tratta della strategia utilizzata dal
«serpente astuto», di cui parla il Libro della Genesi, il quale, ai primordi
dell’umanità, si rese artefice della prima “fake news” (cfr Gen 3,1-15), che
portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo
fratricidio (cfr Gen 4) e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il
prossimo, la società e il creato. La strategia di questo abile «padre della menzogna»
(Gv 8,44) è proprio la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si fa
strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti. Nel racconto
del peccato originale il tentatore, infatti, si avvicina alla donna facendo
finta di esserle amico, di interessarsi al suo bene, e inizia il discorso con
un’affermazione vera ma solo in parte: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete
mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). Ciò che Dio aveva detto ad
Adamo non era in realtà di non mangiare di alcun albero, ma solo di un albero:
«Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen
2,17). La donna, rispondendo, lo spiega al serpente, ma si fa attrarre dalla
sua provocazione: «Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha
detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”»
(Gen 3,2). Questa risposta sa di legalistico e di pessimistico: avendo dato
credibilità al falsario, lasciandosi attirare dalla sua impostazione dei fatti,
la donna si fa sviare. Così, dapprima presta attenzione alla sua
rassicurazione: «Non morirete affatto» (v. 4). Poi la decostruzione del
tentatore assume una parvenza credibile : «Dio sa che il giorno in cui voi ne
mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene
e il male» (v. 5). Infine, si giunge a screditare la raccomandazione paterna di
Dio, che era volta al bene, per seguire l’allettamento seducente del nemico:
«La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e
desiderabile» (v. 6). Questo episodio biblico rivela dunque un fatto essenziale
per il nostro discorso: nessuna disinformazione è innocua; anzi, fidarsi di ciò
che è falso, produce conseguenze nefaste. Anche una distorsione della verità in
apparenza lieve può avere effetti pericolosi.
In gioco, infatti, c’è la nostra bramosia. Le fake news diventano spesso
virali, ovvero si diffondono in modo veloce e difficilmente arginabile, non a
causa della logica di condivisione che caratterizza i social media, quanto
piuttosto per la loro presa sulla bramosia insaziabile che facilmente si
accende nell’essere umano. Le stesse motivazioni economiche e opportunistiche
della disinformazione hanno la loro radice nella sete di potere, avere e
godere, che in ultima analisi ci rende vittime di un imbroglio molto più
tragico di ogni sua singola manifestazione: quello del male, che si muove di
falsità in falsità per rubarci la libertà del cuore. Ecco perché educare alla
verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le
inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene
“abboccando” ad ogni tentazione.
3. «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32)
La continua contaminazione con un linguaggio ingannevole finisce infatti
per offuscare l’interiorità della persona. Dostoevskij scrisse qualcosa di
notevole in tal senso: «Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne
arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né
intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli
altri. Poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e
allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si
abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa
come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé
stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2).
Come dunque difenderci? Il più radicale antidoto al virus della falsità è
lasciarsi purificare dalla verità. Nella visione cristiana la verità non è solo
una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o
false. La verità non è soltanto il portare alla luce cose oscure, “svelare la
realtà”, come l’antico termine greco che la designa, aletheia (da a-lethès, “non
nascosto”), porta a pensare. La verità ha a che fare con la vita intera. Nella
Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a
intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La
verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso
relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può
contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono
la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la
sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo
libera l’uomo: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
Liberazione dalla falsità e ricerca della relazione: ecco i due ingredienti
che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti siano veri,
autentici, affidabili. Per discernere la verità occorre vagliare ciò che
asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario, tende a
isolare, dividere e contrapporre. La verità, dunque, non si guadagna veramente
quando è imposta come qualcosa di estrinseco e impersonale; sgorga invece da
relazioni libere tra le persone, nell’ascolto reciproco. Inoltre, non si smette
mai di ricercare la verità, perché qualcosa di falso può sempre insinuarsi,
anche nel dire cose vere. Un’argomentazione impeccabile può infatti poggiare su
fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro e per screditarlo agli
occhi degli altri, per quanto giusta appaia, non è abitata dalla verità. Dai
frutti possiamo distinguere la verità degli enunciati: se suscitano polemica,
fomentano divisioni, infondono rassegnazione o se, invece, conducono ad una
riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, a un’operosità
proficua.
4. La pace è la vera notizia
Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone:
persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la
fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte
dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via d’uscita dal
dilagare della disinformazione è la responsabilità, particolarmente coinvolto è
chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile nell’informare, ovvero il
giornalista, custode delle notizie. Egli, nel mondo contemporaneo, non svolge
solo un mestiere, ma una vera e propria missione. Ha il compito, nella frenesia
delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della
notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le
persone. Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone. Per
questo l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e
propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di
comunione e di pace.
Desidero perciò rivolgere un invito a promuovere un giornalismo di pace,
non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”, che neghi
l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al contrario,
un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a
dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che
si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al
mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le
notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per
favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento
di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative
alle escalation del clamore e della violenza verbale.
Per questo, ispirandoci a una preghiera francescana, potremmo così
rivolgerci alla Verità in persona:
Signore, fa’ di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ che poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.
Francesco
Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ che poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.
Francesco
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