Ieri scrivendo nel post: “Infatti molti tenteranno di riformare il progetto del Maestro sulla base di una religione più comprensibile, più ragionevole.“ pensavo alla Leggenda del Grande Inquisitore, una parabola straordinaria che si trova nel romanzo di Dostoevskij “I fratelli Karamazov”. Vale la pena leggere il testo intero. Sotto la penna di Dostoevskij è un atto di accusa contro la Chiesa cattolica romana mentre l’Ortodossia sarebbe esente di infedeltà al Vangelo. Comunque all'autore interessa esporre le ragioni del Nemico più che quelle di Gesù, in particolare riguardo alla grazia. Ma non importa. Questo testo ammirabile ci interroga e conta per ciascuno di noi esaminarsi, esaminare l’impostazione del proprio gruppo. Nel libro è Ivan Karamazov che racconta questo episodio di fantasia al fratello Aljòsa. (F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Garzanti, Milano, 1979, vol. I, pagg. 263 e 282)
Diceva Ivan: La mia azione si svolge in Spagna, a Siviglia, al tempo piú pauroso dell’inquisizione quando ogni giorno nel paese ardevano i roghi per la gloria di Dio e con grandiosi autodafé si bruciavano gli eretici.
Oh, certo, non è cosí che Egli scenderà, secondo la Sua promessa, alla fine dei tempi, in tutta la gloria celeste, improvviso “come folgore che splende dall’Oriente all’Occidente”. No, Egli volle almeno per un istante visitare i Suoi figli proprio là dove avevano cominciato a crepitar i roghi degli eretici. Nell’immensa Sua misericordia, Egli passa ancora una volta fra gli uomini in quel medesimo aspetto umano col quale era passato per tre anni in mezzo agli uomini quindici secoli addietro. Egli scende verso le “vie roventi” della città meridionale, in cui appunto la vigilia soltanto, in un “grandioso autodafé”, alla presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei cardinali e delle piú leggiadre dame di corte, davanti a tutto il popolo di Siviglia, il cardinale grande inquisitore aveva fatto bruciare in una volta, ad majorem Dei gloriam, quasi un centinaio di eretici. Egli è comparso in silenzio, inavvertitamente, ma ecco – cosa strana – tutti Lo riconoscono. Spiegare perché Lo riconoscano, potrebbe esser questo uno dei piú bei passi del poema. Il popolo è attratto verso di Lui da una forza irresistibile, Lo circonda, Gli cresce intorno, Lo segue. Egli passa in mezzo a loro silenzioso, con un dolce sorriso d’infinita compassione. Il sole dell’amore arde nel Suo cuore, i raggi della Luce, del Sapere e della Forza si sprigionano dai Suoi occhi e, inondando gli uomini, ne fanno tremare i cuori in una rispondenza d’amore. Egli tende loro le braccia, li benedice e dal contatto di Lui, e perfino dalle Sue vesti, emana una forza salutare. Ecco che un vecchio, cieco dall’infanzia, grida dalla folla: “Signore, risanami, e io Ti vedrò”, ed ecco che cade dai suoi occhi come una scaglia, e il cieco Lo vede. Il popolo piange e bacia la terra dove Egli passa. I bambini gettano fiori dinanzi a Lui, cantano e Lo acclamano: “Osanna!”. “E’ Lui, è Lui”, ripetono tutti, “dev’essere Lui, non può esser che Lui”.
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