È stato pubblicato ieri il Messaggio di papa Francesco per la Giornata
mondiale delle Comunicazioni Sociali dal titolo significativo « “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle social
network communities alla comunità umana ».
Vale la pena leggere tutto il testo che aggiungo sotto. Penso però che nella
nostra vita quotidiana normale un punto centrale del messaggio sia questo: il Papa non ci chiede di opporre Internet e i gruppi Social alla Comunità, ma di usare questi mezzi con saggezza e intelligenza per arricchire la Comunità Umana. Scrive il Papa: “La rete è una risorsa del nostro tempo,” “talmente
pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano.” Cioè
non se ne può fare a meno, non ci si può illudere di farne a meno, anzi, “la
Chiesa ha sempre cercato di promuoverne
l’uso” in senso positivo. Anche se nella sua “realtà multiforme” ha degli
aspetti “insidiosi”. Si tratta dunque di imparare a farne buon uso. Non limitarsi
al solo virtuale, né usare questi mezzi meravigliosi per la polemica, la
menzogna, l’inganno, la superficialità. Bisogna passare dal “like” all’”Amen”: “L’immagine
del corpo e delle membra ci ricorda che l’uso del social web è
complementare all’incontro in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il
cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro. Se la rete è usata come
prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce se stessa e
rimane una risorsa per la comunione. Se una famiglia usa la rete per essere più
collegata, per poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una
risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la
rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. Se la rete
è occasione per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza
fisicamente lontane da me, per pregare insieme e insieme cercare il bene nella
riscoperta di ciò che ci unisce, allora è una risorsa.”
“La Chiesa stessa è una rete (un Web!) tessuta
dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like”, ma
sulla verità, sull’“amen”, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo,
accogliendo gli altri.”
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA 53ma GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
« “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25).
Dalle social network communities alla comunità umana »
Dalle social network communities alla comunità umana »
Cari fratelli e sorelle,
da quando internet è stato disponibile,
la Chiesa ha sempre cercato di promuoverne l’uso a servizio dell’incontro tra
le persone e della solidarietà tra tutti. Con questo Messaggio vorrei
invitarvi ancora una volta a riflettere sul fondamento e l’importanza del
nostro essere-in-relazione e a riscoprire, nella vastità delle sfide
dell’attuale contesto comunicativo, il desiderio dell’uomo che non vuole
rimanere nella propria solitudine.
Le metafore della “rete” e della
“comunità”
L’ambiente mediale oggi è talmente
pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano. La
rete è una risorsa del nostro tempo. E’ una fonte di conoscenze e di relazioni
un tempo impensabili. Numerosi esperti però, a proposito delle profonde
trasformazioni impresse dalla tecnologia alle logiche di produzione,
circolazione e fruizione dei contenuti, evidenziano anche i rischi che
minacciano la ricerca e la condivisione di una informazione autentica su scala
globale. Se internet rappresenta una possibilità straordinaria di accesso al
sapere, è vero anche che si è rivelato come uno dei luoghi più esposti alla
disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle
relazioni interpersonali, che spesso assumono la forma del discredito.
Occorre riconoscere che le reti sociali,
se per un verso servono a collegarci di più, a farci ritrovare e aiutare gli
uni gli altri, per l’altro si prestano anche ad un uso manipolatorio dei dati
personali, finalizzato a ottenere vantaggi sul piano politico o economico,
senza il dovuto rispetto della persona e dei suoi diritti. Tra i più giovani le
statistiche rivelano che un ragazzo su quattro è coinvolto in episodi di cyberbullismo.[1]
Nella complessità di questo scenario può
essere utile tornare a riflettere sulla metafora della rete posta
inizialmente a fondamento di internet, per riscoprirne le potenzialità
positive. La figura della rete ci invita a riflettere sulla molteplicità dei
percorsi e dei nodi che ne assicurano la tenuta, in assenza di un centro, di
una struttura di tipo gerarchico, di un’organizzazione di tipo verticale. La
rete funziona grazie alla compartecipazione di tutti gli elementi.
Ricondotta alla dimensione antropologica,
la metafora della rete richiama un’altra figura densa di significati: quella
della comunità. Una comunità è tanto più forte quanto più è coesa e
solidale, animata da sentimenti di fiducia e persegue obiettivi condivisi. La
comunità come rete solidale richiede l’ascolto reciproco e il dialogo, basato
sull’uso responsabile del linguaggio.
È a tutti evidente come, nello scenario
attuale, la social network community non sia
automaticamente sinonimo di comunità. Nei casi migliori le community riescono
a dare prova di coesione e solidarietà, ma spesso rimangono solo aggregati di
individui che si riconoscono intorno a interessi o argomenti caratterizzati da
legami deboli. Inoltre, nel social web troppe volte l’identità
si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al
gruppo: ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che
unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio
(etnico, sessuale, religioso, e altri). Questa tendenza alimenta gruppi che
escludono l’eterogeneità, che alimentano anche nell’ambiente digitale un
individualismo sfrenato, finendo talvolta per fomentare spirali di odio. Quella
che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa così una vetrina in cui
esibire il proprio narcisismo.
La rete è un’occasione per promuovere
l’incontro con gli altri, ma può anche potenziare il nostro autoisolamento,
come una ragnatela capace di intrappolare. Sono i ragazzi ad essere più esposti
all’illusione che il social web possa appagarli totalmente sul
piano relazionale, fino al fenomeno pericoloso dei giovani “eremiti sociali”
che rischiano di estraniarsi completamente dalla società. Questa dinamica
drammatica manifesta un grave strappo nel tessuto relazionale della società,
una lacerazione che non possiamo ignorare.
Questa realtà multiforme e insidiosa pone
diverse questioni di carattere etico, sociale, giuridico, politico, economico,
e interpella anche la Chiesa. Mentre i governi cercano le vie di
regolamentazione legale per salvare la visione originaria di una rete libera,
aperta e sicura, tutti abbiamo la possibilità e la responsabilità di favorirne
un uso positivo.
È chiaro che non basta moltiplicare le
connessioni perché aumenti anche la comprensione reciproca. Come ritrovare,
dunque, la vera identità comunitaria nella consapevolezza della responsabilità
che abbiamo gli uni verso gli altri anche nella rete online?
“Siamo membra gli uni degli altri”
Una possibile risposta può essere
abbozzata a partire da una terza metafora, quella del corpo e delle
membra, che San Paolo usa per parlare della relazione di reciprocità tra le
persone, fondata in un organismo che le unisce. «Perciò, bando alla menzogna e
dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli
altri» (Ef 4,25). L’essere membra gli uni degli altri è
la motivazione profonda, con la quale l’Apostolo esorta a deporre la menzogna e
a dire la verità: l’obbligo a custodire la verità nasce dall’esigenza di non
smentire la reciproca relazione di comunione. La verità infatti si rivela nella
comunione. La menzogna invece è rifiuto egoistico di riconoscere la propria
appartenenza al corpo; è rifiuto di donarsi agli altri, perdendo così l’unica
via per trovare se stessi.
La metafora del corpo e delle membra ci
porta a riflettere sulla nostra identità, che è fondata sulla comunione e
sull’alterità. Come cristiani ci riconosciamo tutti membra
dell’unico corpo di cui Cristo è il capo. Questo ci aiuta a non vedere le
persone come potenziali concorrenti, ma a considerare anche i nemici come
persone. Non c’è più bisogno dell’avversario per auto-definirsi, perché lo
sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo
nuovo, come parte integrante e condizione della relazione e della prossimità.
Tale capacità di comprensione e di
comunicazione tra le persone umane ha il suo fondamento nella comunione di
amore tra le Persone divine. Dio non è Solitudine, ma Comunione; è Amore, e
perciò comunicazione, perché l’amore sempre comunica, anzi comunica se stesso
per incontrare l’altro. Per comunicare con noi e per comunicarsi a noi Dio si
adatta al nostro linguaggio, stabilendo nella storia un vero e proprio dialogo
con l’umanità (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 2).
In virtù del nostro essere creati ad
immagine e somiglianza di Dio che è comunione e comunicazione-di-sé, noi
portiamo sempre nel cuore la nostalgia di vivere in comunione, di appartenere a
una comunità. «Nulla, infatti – afferma San Basilio –, è così specifico della
nostra natura quanto l’entrare in rapporto gli uni con gli altri, l’aver
bisogno gli uni degli altri».[2]
Il contesto attuale chiama tutti noi a
investire sulle relazioni, ad affermare anche nella rete e attraverso la rete
il carattere interpersonale della nostra umanità. A maggior ragione noi
cristiani siamo chiamati a manifestare quella comunione che segna la nostra
identità di credenti. La fede stessa, infatti, è una relazione, un incontro; e
sotto la spinta dell’amore di Dio noi possiamo comunicare, accogliere e
comprendere il dono dell’altro e corrispondervi.
È proprio la comunione a immagine della
Trinità che distingue la persona dall’individuo. Dalla fede in un Dio che è
Trinità consegue che per essere me stesso ho bisogno dell’altro. Sono veramente
umano, veramente personale, solo se mi relaziono agli altri. Il termine persona
denota infatti l’essere umano come “volto”, rivolto verso l’altro, coinvolto
con gli altri. La nostra vita cresce in umanità col passare dal carattere
individuale a quello personale; l’autentico cammino di umanizzazione va
dall’individuo che percepisce l’altro come rivale, alla persona che lo
riconosce come compagno di viaggio.
Dal “like” all’“amen”
L’immagine del corpo e delle membra ci
ricorda che l’uso del social web è complementare all’incontro
in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo,
il respiro dell’altro. Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di
tale incontro, allora non tradisce se stessa e rimane una risorsa per la
comunione. Se una famiglia usa la rete per essere più collegata, per poi
incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una
comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi
celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. Se la rete è occasione
per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza fisicamente
lontane da me, per pregare insieme e insieme cercare il bene nella riscoperta
di ciò che ci unisce, allora è una risorsa.
Così possiamo passare dalla diagnosi alla
terapia: aprendo la strada al dialogo, all’incontro, al sorriso, alla carezza…
Questa è la rete che vogliamo. Una rete non fatta per intrappolare, ma per
liberare, per custodire una comunione di persone libere. La Chiesa stessa è una
rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like”,
ma sulla verità, sull’“amen”, con cui ognuno aderisce al Corpo di
Cristo, accogliendo gli altri.
Dal Vaticano, 24 gennaio 2019, Memoria di
San Francesco di Sales.
Franciscus
[1] Per arginare questo fenomeno sarà istituito un Osservatorio
internazionale sul cyberbullismo con sede in Vaticano.
[2] Regole ampie, III, 1: PG 31, 917°; cfr Benedetto XVI, Messaggio per la 43ma Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali(2009).
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