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venerdì 18 gennaio 2019

E' POSSIBILE ESSERE CRISTIANO ED EBREO?


Benedetto Di Bitonto il giorno dell'ordinazione diaconale.
Le righe nere sul suo camice sono un segno di lutto per le divisioni tra credenti.
«È di vitale importanza, per i cristiani, scoprire e promuovere la conoscenza della tradizione ebraica per riuscire a comprendere più autenticamente se stessi». Lo scrive papa Francesco nella prefazione a La Bibbia dell’amicizia, edizioni San Paolo, in uscita domani, 18 gennaio.
Riprendo – chiedendo il permesso adesso – da Vatican Insider una parte dell’intervista che questo sito molto utile e di qualità ha fatto a Benedetto di Bitonto. Le sottolineature sono mie. https://www.lastampa.it/2019/01/17/vaticaninsider/gerusalemme-il-diacono-ecco-la-bellezza-del-dialogo-ebraicocristiano-rhGLFEPhOTbxiHeOZJ0qXM/pagina.html
Ex studente all’Orientale di Napoli, Benedetto di Bitonto vive in Israele e il 21 giugno scorso è diventato diacono del Vicariato di san Giacomo a Gerusalemme. A Gerusalemme in fatti nel seno del Patriarcato Latino cattolico è nata nel 1955 la possibilità per i cattolici di lingua ebraica di celebrare e vivere la loro fede in ebraico. All’inizio molti dei membri erano ebrei convertiti al Cristo. Il paradosso è che oggi molti di questi cattolici di lingua ebraica sono famiglie di immigrati di varie nazioni i cui bambini imparano l’ebraico a scuola fin dall’infanzia e genitori e figli usano l’ebraico come lingua comune per la vita quotidiana.
Bambini e giovani "ebrei" del Vicariato a catechismo

…Spesso i cattolici sono poco consapevoli delle loro radici ebraiche: in cosa il Vicariato di San Giacomo aiuta la Chiesa a ritornare alla sua origine spirituale, soprattutto nella formazione liturgica? Lei organizza incontri fra cattolici ed ebrei, nonché giornate di scambio e condivisione? La sua esperienza ha un’eco su scala universale? 
«Non c’è dubbio sul fatto che la nostra fede è nata nel seno del popolo ebraico e che come cristiani dobbiamo molto al popolo dell’alleanza. Per noi ciò che è importante è l’espressione della nostra fede
cristiana e della nostra identità cattolica in un linguaggio e in una forma che siano affini alla cultura della società in cui viviamo. Non vogliamo che la nostra fede sia percepita come qualcosa di esotico e di estraneo al mondo nel quale è nata e si è costituita. Questo vuole dire, ad esempio, che i nostri luoghi di culto sono molto semplici, non eccedono in immagini (non abbiamo statue, ad esempio) e in pratiche che appartengono piuttosto al cattolicesimo occidentale di stampo europeo. Pur essendo profondamente cattolici, nelle nostre comunità ad esempio non si troverebbe facilmente una reliquia da venerare o una novena dedicata a un Santo piuttosto che a un altro. L’accento è più puntato sulla Parola di Dio, sull’esperienza biblica compresa alla luce della tradizione della Chiesa, su una celebrazione eucaristica essenziale ma decorosa, sulla convivialità di comunità a misura d’uomo, in cui ci si conosce tutti e ci si può sostenere gli uni gli altri. Tutto questo prepara senza dubbio il terreno per un incontro sereno e conviviale con i nostri amici ebrei, che trovano da noi una realtà che non li spaventa ma li coinvolge in un vincolo di sincera amicizia, in cui le differenze vengono valorizzate e mai sbiadite. 
La celebrazione eucaristica è profondamente radicata nel solco della tradizione ebraica, ed è bene approfondire un po’ le proprie conoscenze di questa realtà, stando però attenti a non cadere negli atteggiamenti sentimentalistici e un po’ semplicistici di chi vuole a tutti i costi imitare determinati costumi ebraici, appiccicandoli alla liturgia cristiana, soprattutto quei riti che si sono sviluppati posteriormente al cristianesimo. Non è di questo che parlo, parlo piuttosto di approfondire il giudaismo biblico, quello che certamente conoscevano e praticavano Gesù, sua madre Maria e tutti gli Apostoli. E soprattutto di accettare il fatto che l’evento Gesù Cristo è uno spartiacque nella storia dell’umanità che non si può ignorare né neutralizzare. La separazione della chiesa dalla sinagoga è un qualcosa che è nascosto nel mistero di Dio e che ci sarà svelato soltanto alla fine dei tempi. Fino ad allora però possiamo ancora imparare a conoscerci davvero, a rispettarci, a stimarci e a lavorare insieme per un mondo più simile al sogno di Dio. In questo ci vedo benissimo anche i credenti musulmani, a pieno diritto membri della famiglia dei figli di Abramo, che come noi hanno la responsabilità di diffondere nel mondo la luce e l’amore di Dio, che ci ama tutti, senza troppe sottigliezze».
Ci racconti per esempio una celebrazione dello Shabbat in sinagoga e il pasto tradizionale che caratterizza questa festa, come essa si svolge, cosa essa può dirci rispetto alla nostra fede cristiana, in cosa ci illumina in relazione all’Eucaristia? 
«Da alcuni anni la comunità ebraica che porta il nome di “Tzion” (Sion) e la nostra comunità di Gerusalemme, sono divenute comunità sorelle. Ci incontriamo una volta al mese per studiare la Bibbia insieme, fare attività di beneficenza ai poveri della nostra città, senza distinzione di fede, colore, provenienza e lingua, e visitandoci reciprocamente per le festività o più semplicemente per pregare insieme, gli ebrei da ebrei e i cristiani da cristiani. In questi anni stiamo imparando quanto sia bello sentirsi intimamente uniti e cooperare per il bene del prossimo e l’avanzamento dei valori nella società civile. Di tanto in tanto mi capita di andare alla loro sinagoga per il rito di accoglienza dello Shabbat, e sebbene ormai conosca le preghiere e i canti a memoria, ricordo sempre a me stesso che lì mi trovo da cristiano, prego e credo da cristiano. Se questo è chiaro nella mia mente, posso incontrare l’altro, qualunque altro, senza rischi di smarrire la mia identità. 
Uno degli aspetti che più mi affascinano e provocano in me ammirazione è il ruolo della famiglia all’interno della cultura ebraica. La maggior parte della vita religiosa infatti ha una dimensione familiare, e nella famiglia ciascuno, nel proprio ruolo, cresce e si sviluppa come persona e come credente. Mi commuove sempre, ad esempio, assistere alla benedizione che ogni venerdì sera i genitori impartiscono su ciascuno dei figli singolarmente. Questo, a noi cristiani, un po’ è venuto a mancare, anche se so che in diverse realtà ecclesiali, in questi ultimi decenni c’è stato un bel risveglio attorno al ruolo della famiglia»…..


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