Benedetto Di Bitonto il giorno dell'ordinazione diaconale. Le righe nere sul suo camice sono un segno di lutto per le divisioni tra credenti. |
«È di vitale importanza,
per i cristiani, scoprire e promuovere la conoscenza della tradizione ebraica
per riuscire a comprendere più autenticamente se stessi». Lo scrive papa
Francesco nella prefazione a La Bibbia dell’amicizia, edizioni San
Paolo, in uscita domani, 18 gennaio.
Riprendo – chiedendo il
permesso adesso – da Vatican Insider una parte dell’intervista che questo sito molto
utile e di qualità ha fatto a Benedetto di Bitonto. Le sottolineature sono mie. https://www.lastampa.it/2019/01/17/vaticaninsider/gerusalemme-il-diacono-ecco-la-bellezza-del-dialogo-ebraicocristiano-rhGLFEPhOTbxiHeOZJ0qXM/pagina.html
Ex studente all’Orientale
di Napoli, Benedetto di Bitonto vive in Israele e il 21 giugno scorso è diventato diacono del Vicariato di
san Giacomo a Gerusalemme. A Gerusalemme in fatti nel seno del Patriarcato Latino
cattolico è nata nel 1955 la possibilità per i cattolici di
lingua ebraica di celebrare e vivere la loro fede in ebraico. All’inizio molti dei
membri erano ebrei convertiti al Cristo. Il paradosso è che oggi molti di questi
cattolici di lingua ebraica sono famiglie di immigrati di varie nazioni i cui bambini imparano l’ebraico a scuola fin dall’infanzia e genitori e figli usano
l’ebraico come lingua comune per la vita quotidiana.
Bambini e giovani "ebrei" del Vicariato a catechismo |
…Spesso i cattolici sono
poco consapevoli delle loro radici ebraiche: in cosa il Vicariato di San
Giacomo aiuta la Chiesa a ritornare alla sua origine spirituale, soprattutto
nella formazione liturgica? Lei organizza incontri fra cattolici ed ebrei,
nonché giornate di scambio e condivisione? La sua esperienza ha un’eco su scala
universale?
«Non c’è dubbio sul
fatto che la nostra fede è nata nel seno del popolo ebraico e che come
cristiani dobbiamo molto al popolo dell’alleanza. Per noi ciò che è importante
è l’espressione della nostra fede
cristiana e della nostra identità cattolica
in un linguaggio e in una forma che siano affini alla cultura della società in
cui viviamo. Non vogliamo che la nostra fede sia percepita come qualcosa di
esotico e di estraneo al mondo nel quale è nata e si è costituita. Questo vuole
dire, ad esempio, che i nostri luoghi di culto sono molto semplici, non
eccedono in immagini (non abbiamo statue, ad esempio) e in pratiche che
appartengono piuttosto al cattolicesimo occidentale di stampo europeo. Pur
essendo profondamente cattolici, nelle nostre comunità ad esempio non si
troverebbe facilmente una reliquia da venerare o una novena dedicata a un Santo
piuttosto che a un altro. L’accento è più puntato sulla Parola di Dio,
sull’esperienza biblica compresa alla luce della tradizione della Chiesa, su
una celebrazione eucaristica essenziale ma decorosa, sulla convivialità di
comunità a misura d’uomo, in cui ci si conosce tutti e ci si può sostenere gli
uni gli altri. Tutto questo prepara senza dubbio il terreno per un incontro
sereno e conviviale con i nostri amici ebrei, che trovano da noi una realtà che
non li spaventa ma li coinvolge in un vincolo di sincera amicizia, in cui le
differenze vengono valorizzate e mai sbiadite.
La celebrazione
eucaristica è profondamente radicata nel solco della tradizione ebraica, ed è
bene approfondire un po’ le proprie conoscenze di questa realtà, stando però
attenti a non cadere negli atteggiamenti sentimentalistici e un po’
semplicistici di chi vuole a tutti i costi imitare determinati costumi ebraici,
appiccicandoli alla liturgia cristiana, soprattutto quei riti che si sono
sviluppati posteriormente al cristianesimo. Non è di questo che parlo, parlo
piuttosto di approfondire il giudaismo biblico, quello che certamente
conoscevano e praticavano Gesù, sua madre Maria e tutti gli Apostoli. E
soprattutto di accettare il fatto che l’evento Gesù Cristo è uno spartiacque
nella storia dell’umanità che non si può ignorare né neutralizzare. La
separazione della chiesa dalla sinagoga è un qualcosa che è nascosto nel
mistero di Dio e che ci sarà svelato soltanto alla fine dei tempi. Fino ad
allora però possiamo ancora imparare a conoscerci davvero, a rispettarci, a
stimarci e a lavorare insieme per un mondo più simile al sogno di Dio. In
questo ci vedo benissimo anche i credenti musulmani, a pieno diritto membri
della famiglia dei figli di Abramo, che come noi hanno la responsabilità di
diffondere nel mondo la luce e l’amore di Dio, che ci ama tutti, senza troppe
sottigliezze».
Ci racconti per esempio
una celebrazione dello Shabbat in sinagoga e il pasto tradizionale che
caratterizza questa festa, come essa si svolge, cosa essa può dirci rispetto
alla nostra fede cristiana, in cosa ci illumina in relazione
all’Eucaristia?
«Da alcuni anni la
comunità ebraica che porta il nome di “Tzion” (Sion) e la nostra comunità di
Gerusalemme, sono divenute comunità sorelle. Ci incontriamo una volta al mese
per studiare la Bibbia insieme, fare attività di beneficenza ai poveri della
nostra città, senza distinzione di fede, colore, provenienza e lingua, e
visitandoci reciprocamente per le festività o più semplicemente per pregare
insieme, gli ebrei da ebrei e i cristiani da cristiani. In questi anni stiamo
imparando quanto sia bello sentirsi intimamente uniti e cooperare per il bene
del prossimo e l’avanzamento dei valori nella società civile. Di tanto in tanto
mi capita di andare alla loro sinagoga per il rito di accoglienza dello
Shabbat, e sebbene ormai conosca le preghiere e i canti a memoria, ricordo
sempre a me stesso che lì mi trovo da cristiano, prego e credo da cristiano. Se
questo è chiaro nella mia mente, posso incontrare l’altro, qualunque altro,
senza rischi di smarrire la mia identità.
Uno degli aspetti che
più mi affascinano e provocano in me ammirazione è il ruolo della famiglia
all’interno della cultura ebraica. La maggior parte della vita religiosa
infatti ha una dimensione familiare, e nella famiglia ciascuno, nel proprio
ruolo, cresce e si sviluppa come persona e come credente. Mi commuove sempre,
ad esempio, assistere alla benedizione che ogni venerdì sera i genitori
impartiscono su ciascuno dei figli singolarmente. Questo, a noi cristiani, un
po’ è venuto a mancare, anche se so che in diverse realtà ecclesiali, in questi
ultimi decenni c’è stato un bel risveglio attorno al ruolo della famiglia»…..
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