Il Vangelo di oggi (sabato XXIX sett.) manifesta ancora una volta la
“gelosia” misericordiosa di Dio: sempre pronto a perdonare e a pazientare
perché si tratta di figli e non di impiegati o di candidati ad un concorso, Dio
però non si arrende: la creatura fatta a sua immagine deve avere in sé il
dinamismo dell’amore che punta alla perfezione della carità. Allora va bene il
rimprovero forte, l’ammonizione severa.
Educatori
pensateci e … andiamo a rileggere quello che Papa Francesco dice sulla sanzione
in Amoris Laetitia: Il valore della
sanzione come stimolo.
268. Ugualmente, è indispensabile
sensibilizzare il bambino e l’adolescente affinché si renda conto che le
cattive azioni hanno delle conseguenze. Occorre risvegliare la capacità di porsi
nei panni dell’altro e di pentirsi per la sua sofferenza quando gli si è fatto
del male. Alcune sanzioni – ai comportamenti antisociali aggressivi – possono
conseguire in parte questa finalità. È importante orientare il bambino con
fermezza a chiedere perdono e a riparare il danno causato agli altri. Quando il
percorso educativo mostra i suoi frutti in una maturazione della libertà
personale, il figlio stesso a un certo punto inizierà a riconoscere con
gratitudine che è stato un bene per lui crescere in una famiglia e anche
sopportare le esigenze imposte da tutto il processo formativo.
269. La correzione è uno stimolo
quando al tempo stesso si apprezzano e si riconoscono gli sforzi e quando il
figlio scopre che i suoi genitori mantengono viva una paziente fiducia. Un
bambino corretto con amore si sente considerato, percepisce che è qualcuno,
avverte che i suoi genitori riconoscono le sue potenzialità. Questo non
richiede che i genitori siano immacolati, ma che sappiano riconoscere con
umiltà i propri limiti e mostrino il loro personale sforzo di essere migliori.
Ma una testimonianza di cui i figli hanno bisogno da parte dei genitori è che
non si lascino trasportare dall’ira. Il figlio che commette una cattiva azione,
deve essere corretto, ma mai come un nemico o come uno su cui si scarica la
propria aggressività. Inoltre un adulto deve riconoscere che alcune azioni
cattive sono legate alle fragilità e ai limiti propri dell’età. Per questo
sarebbe nocivo un atteggiamento costantemente sanzionatorio, che non aiuterebbe
a percepire la differente gravità delle azioni e provocherebbe scoraggiamento e
irritazione: «Padri, non esasperate i vostri figli» (Ef 6,4; cfr Col 3,21).
270. La cosa fondamentale è che
la disciplina non si tramuti in una mutilazione del desiderio, ma in uno
stimolo per andare sempre oltre. Come integrare disciplina e dinamismo
interiore? Come far sì che la disciplina sia un limite costruttivo del cammino
che deve intraprendere un bambino e non un muro che lo annulli o una dimensione
dell’educazione che lo inibisca? Bisogna saper trovare un equilibrio tra due
estremi ugualmente nocivi: uno sarebbe pretendere di costruire un mondo a
misura dei desideri del figlio, che cresce sentendosi soggetto di diritti ma
non di responsabilità. L’altro estremo sarebbe portarlo a vivere senza
consapevolezza della sua dignità, della sua identità singolare e dei suoi
diritti, torturato dai doveri e sottomesso a realizzare i desideri altrui.
La Perfezione è nella carità; è quello che ci dice anche
la prima lettura: “il corpo … cresce in modo da edificare se stesso nella
carità”. (Efesini 4,16). Però questa carità è inserita in un corpo. Siamo
inseriti in un corpo.
La cosa
nuova che porta questo brano ed è veramente degna della nostra meditazione è
che questo corpo è garanzia di fede matura e di carità vera.
Tutto è legato: corpo comune, spirito comune, speranza
comune; mentre credo che non siamo molto abituati a ragionare in termini di
corpo con tutte le sue implicazioni: “Un solo corpo, un solo spirito, come una
sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra
vocazione” (Ef. 4,4);
Il Pastore luterano Ulf Ekman, svedese, grandissimo
carismatico pieno di successo, nel 2014 ha chiesto di essere accolto nella
Chiesa Cattolica assieme alla moglie Birgit, accettando di fare il semplice
fedele anonimo seduto all’ultimo banco nella parrocchia cattolica della sua
città perché ha scoperto con gli anni che la chiesa di Cristo è Corpo e che
questo corpo è la Chiesa cattolica! (“De la Megachurch à l’Eglise catholique”,
editions Cerf, Paris 2016)
Questo corpo riceve carismi per la sua vita e la sua
crescita in modo di poter esercitare la sua missione, il ministero, il servizio
(diakonia nel testo greco).
Quindi non sei isolato, ma parte di un corpo, per una
missione di testimonianza-evangelizzazione.
E questo dinamismo permette di maturare nella fede al
livello di Cristo (v. 13). E non avere più una fede infantile, facilmente
sballottata da qualsiasi vento di dottrina (v. 14).
È chiaro che una fede tutta per me e non aperta alla
carità, non è una fede forte, conforme al Vangelo: è egoista.
È meno oggetto della nostra riflessione, anche per
l’assenza, troppo spesso, di vere esperienze di vita comunitaria nelle
parrocchie, che la vita di “corpo” ecclesiale porta alla maturazione di una
fede stabile, più soddisfacente a livello umano-psicologico e più sicura a
livello dottrinale-evangelico.
Ogni parrocchia si auto proclama “Comunità”. Ma lo è
veramente in tutti i casi? Cioè è “Corpo”? Eppure è una caratteristica
essenziale dell’esperienza cristiana.
Ma più ancora mi devo chiedere se la mia partecipazione personale
alla Chiesa, alla vita cristiana, ha le caratteristiche di un coinvolgimento
come membro in un corpo. Le membra del corpo sono attaccate in modo permanente
al corpo, funzionano in modo coordinato e non ognuno per conto suo, concorrono
al bene comune e sono a servizio e difesa dell’intero corpo. È certamente un
ideale molto impegnativo che si raggiunge per gradi, progressivamente. Ma non
può essere messo da parte e sostituito con altre mete “più alla portata”.
Troppo spesso il mio coinvolgimento è superficiale, fatto
di parole e poco di azioni e di sentimenti concreti.
Molti hanno una visione della Chiesa come di un
supermercato di servizi religiosi (battesimo, prima comunione ecc.) o di
possibilità di rifugio, di emozioni (il dialogo con il sacerdote, l’esperienza
di un ritiro spirituale) che non comportano il progetto di Gesù come orizzonte
da raggiungere. Vado, “compro” (con l’offerta libera, con il mio impegno), poi
sparisco.
Spesso non abbiamo nemmeno comunità ma solo “gruppi”.
Talvolta, è vero, questa denominazione di “gruppi” proviene da una visione
erronea di alcuni parroci che pretendono che l’unica comunità è la parrocchia
(talvolta la chiamano “luogo teologico”). Invece, se vogliamo essere precisi,
la parrocchia che può benissimo essere un (bella) comunità, non è “luogo
teologico”, in quanto luogo teologico è solo la Chiesa col suo vescovo. La
parrocchia è stata inventata nel corso dei secoli per il moltiplicarsi dei
cristiani, è una divisione pratica della Chiesa, una porzione di Chiesa, perché
radunarsi tutti attorno al Vescovo è concretamente impossibile, e con il
parroco-curato, i fedeli vengono curati meglio appunto. È un’invenzione
meravigliosa e ancora molto utile, ma è solo funzionale, non teologica.
Eppure se l’esperienza cristiana è forte e ben
indirizzata, questa porzione del popolo di Dio può fare l’esperienza di “essere
corpo”. Allo stesso modo lo può fare una piccola comunità all’interno della
parrocchia (sempre in comunione con le altre componenti dell’avventura
cristiana: vescovo, parroco, papa, altri gruppi parrocchiali, ecc.).
È sorprendente costatare che il livello “corpo” le cui
membra camminano coordinate ecc. , è più spesso riservato nel nostro
immaginario al campo militare (con perfino i “corpi speciali”, ecc.) o ad altre
esperienze coinvolgenti, per esempio sportive e non all’esperienza e
all’esigenza cristiana, che più di tutte dovrebbero comportare questa
dimensione di membra di un unico corpo: un unico corpo, un unico spirito, come una
sola è la speranza…
Ora, è sicuro che l’esperienza oggettiva di entrare in un
vero progetto comunitario che abbia cioè le caratteristiche di corpo sono
garanzia di una guarigione non solo dal peccato ma di guarigione umana e di una
fede sempre meno sentimentalista e isolata, ma matura.
La fede rocciosa di S. Giovanni Paolo II ci ha radunato per
tanti anni in unità e gli facciamo omaggio del nostro impegno di conversione.
Prima Lettura Ef 4,
7-16
Cristo è il capo: da lui tutto il corpo cresce.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, a ciascuno di noi, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto:
«Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri,
ha distribuito doni agli uomini».
Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 121
Andremo con gioia alla casa del Signore.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
Gerusalemme è costruita
come città unita e compatta.
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore.
Secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
Canto al Vangelo Ez 33,11
Alleluia, alleluia.
Io non godo della morte del malvagio, dice il Signore,
ma che si converta dalla sua malvagità e viva.
Alleluia.
Vangelo Lc 13, 1-9
Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Cristo è il capo: da lui tutto il corpo cresce.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, a ciascuno di noi, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto:
«Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri,
ha distribuito doni agli uomini».
Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 121
Andremo con gioia alla casa del Signore.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
Gerusalemme è costruita
come città unita e compatta.
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore.
Secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
Canto al Vangelo Ez 33,11
Alleluia, alleluia.
Io non godo della morte del malvagio, dice il Signore,
ma che si converta dalla sua malvagità e viva.
Alleluia.
Vangelo Lc 13, 1-9
Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
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