Ha parlato per mezzo dei profeti.
2.2. L’immensità dell’atto salvifico: la sua consistenza storica
25. La grandezza del Salvatore si svela anche nella pienezza sovrabbondante dell’economia di salvezza. Nicea presenta il realismo dell’opera di redenzione. Nel Cristo, Dio ci salva entrando nella storia. Non invia un angelo o un eroe umano, ma viene lui stesso nella storia degli uomini, nascendo da una donna, Maria, nel popolo d’Israele («nato da donna, nato sotto la Legge», Gal 4,4), e morendo in un periodo storico preciso, «sotto Ponzio Pilato» (cf. 1Tim 6,13; si veda anche At 3,13).[37]Se Dio è entrato lui stesso nella storia, l’economia della salvezza è il luogo della sua Rivelazione: nella storia, Cristo rivela autenticamente il Padre e lo Spirito e dona pienamente accesso al Padre nello Spirito. Di più, poiché Dio entra nella storia, non si tratta solo di un insegnamento da mettere in pratica, come nel marcionismo o nella gnosi «dal nome menzognero», ma di un’azione efficace di Dio. L’economia sarà il luogo dell’opera salvifica di Dio. Noi confessiamo che un avvenimento storico ha radicalmente cambiato la situazione di tutti gli esseri umani. Confessiamo che la Verità trascendente si è inscritta nella storia e agisce in essa. É per questo che il messaggio di Gesù non può essere dissociato dalla sua persona: egli è per tutti «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) e non un maestro di sapienza tra altri.
26. Malgrado la sua insistenza sulla storia, il Simbolo non menziona né evoca esplicitamente una gran parte del contenuto dell’Antico Testamento né, in particolare, l’elezione e la storia di Israele. Evidentemente, un Simbolo non deve essere esaustivo. Ciononostante, è utile sottolineare che questo silenzio non significa in alcun modo la caducità dell’elezione del popolo dell’antica alleanza.[38]Ciò che rivela la Bibbia ebraica non è unicamente una preparazione ma è già storia di salvezza, che proseguirà e si compirà nel Cristo: «La Chiesa di Cristo riconosce che gli inizi (initia) della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti».[39] Il Dio di Gesù Cristo è il “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”, è il “Dio d’Israele”. Del resto, il Simbolo sottolinea con discrezione la continuità tra il popolo d’Israele e il popolo della nuova alleanza attraverso la menzione della “Vergine Maria”, che colloca il Messia nel contesto di una famiglia ebrea e di una genealogia ebrea e che riecheggia ugualmente un testo veterotestamentario (Is 7,14 LXX). Ciò crea un ponte tra le promesse dell’Antico Testamento e del Nuovo, come lo farà anche l’espressione «egli è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» nel seguito dell’articolo, laddove “Scritture” significa l’Antico Testamento (cf. 1Cor 15,4). La continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento si incontra di nuovo laddove l’articolo sullo Spirito indica che questi «ha parlato per mezzo dei profeti», cosa che rappresenta forse una nota anti-marcionita.[40] Comunque sia, per essere pienamente compreso, questo Simbolo nato dalla liturgia assume tutto il suo significato quando è proclamato nella liturgia e articolato con la lettura dell’insieme delle Sacre Scritture, Antico Testamento e Nuovo Testamento. Ciò situa la fede cristiana nel quadro dell’economia salvifica che include in modo sorgivo e strutturale il popolo eletto e la sua storia.
[37] Questa espressione si trova presso i Padri, dove altri attori della storia sono a volte menzionati con Pilato, come “Erode il Tetrarca” (Ignazio di Antiochia, Lettera agli Smirnesi 1, 2, in C. Dell’Osso, I Padri apostolici, p. 117) o “Tiberio Cesare” (Giustino, I Apologia 13,3, trad. it. di G. Girgenti, pp. 58-59).
[38] «L’antica Alleanza, un’Alleanza che non è mai stata revocata da Dio», Giovanni Paolo II, Incontro con i rappresentanti della comunità ebraica, Magonza 17 novembre 1980, 3; «L’Antica Alleanza non è mai stata revocata», Catechismo della Chiesa Cattolica, 121: cf. Francesco, Esort. Ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 247.
[39] Concilio Ecumenico Vaticano II, Dich. Nostra aetate, 28 ottobre 1965, 4.
[40] Già in Ireneo di Lione, Contro le eresie IV, 34,3, trad. it. di A. Cosentino, vol. 2, Città Nuova, Roma 2009, p. 271: «Da dove i profeti avrebbero potuto prevedere la venuta del re, preconizzare la libertà che sarebbe venuta da lui, preannunziare tutte le cose che sarebbero state fatte dal Cristo, le sue parole, le sue azioni, la sua passione, predicare il Nuovo Testamento, se avessero ricevuto l’ispirazione profetica da un altro Dio, che ignorava – secondo voi – il Padre indicibile, il suo regno, le sue economie, le quali il Figlio di Dio ha portato a compimento in questi ultimi giorni quando è venuto sulla terra?». Cf. A. De Halleux, «La profession de l’Esprit-Saint dans le Symbole de Constantinople», Revue théologique de Louvain, 10e année, fasc. 1, 1979, pp. 5-39. Un Simbolo di Epifanio di Salamina, datato attorno al 374, sviluppa ulteriormente questo tema: «Crediamo nel Santo Spirito, che parlò nella Legge e predicò nei profeti e discese sul Giordano, parla negli apostoli e abita nei santi», DH 44.
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