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giovedì 3 luglio 2025

LA RISURREZIONE TESTIMONIA INSIEME LA DIVINITÀ E L'UMANITÀ DI CRISTO / 17 NICEA, Gesù Cristo, ... nn. 28-29.



28. La pienezza dell’atto redentore di Cristo non si manifesta interamente se non con la sua risurrezione, compimento della salvezza, in cui si trovano confermati tutti gli aspetti della nuova creazione. La risurrezione testimonia la piena divinità di Cristo, che sola è capace di attraversare e di vincere la morte, ma anche la sua umanità, dal momento che è proprio la stessa umanità, numericamente identica a quella della vita terrena, ad essere trasfigurata e glorificata. Non si tratta di un simbolo o di una metafora: il Cristo risuscita nella sua umanità e nel suo corpo. La risurrezione trascende la storia ma è accaduta al cuore della storia degli esseri umani e di questo uomo Gesù. Per di più, essa è profondamente trinitaria: il Padre ne è la fonte, lo Spirito ne è il soffio vivente e il Cristo glorificato vive – sempre nella sua umanità – nel seno della gloria divina e in comunione inalterabile col Padre e lo Spirito. Notiamo che è la risurrezione di Cristo, «primogenito di quelli che risorgono dai morti» (Col 1,18; cf. Rm 8,29), che rivela la generazione eterna del Figlio, «primogenito di tutta la creazione» (Col 1,15). Così, la paternità e la filiazione divine non sono anzitutto degli sviluppi di modelli umani, anche se sono espressi con parole umane culturalmente connotate, ma sono realtà sui generis della vita divina.  

29. Il Simbolo sottolinea che la risurrezione di Gesù Cristo si dispiega fino alla fine dei tempi, quando il Cristo «ritornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti; e il suo regno non avrà mai fine». Con la risurrezione, la vittoria è definitivamente acquisita, ma dovrà realizzarsi pienamente nella Parusia. La speranza cristiana è piena: non si appoggia unicamente sull’ephàpax della passione e risurrezione o sul dono attuale della grazia, ma anche sull’avvenire del ritorno glorioso di Cristo e del suo Regno. Notiamo che questo aspetto della fede di Nicea si comprende meglio e riceve una forza accresciuta se viene letto in un contesto in cui la Chiesa si mette all’ascolto dell’Antico Testamento e della fede del popolo ebreo di oggi. L’attesa messianica attuale del popolo d’Israele mette in luce l’integralità delle promesse messianiche di pace su tutta la terra e di giustizia per tutti, in un mondo completamente rinnovato (Is 2,4; 61,1-2; Mi 4,1-3), che i cristiani attendono con la Parusia. Ciò può e deve risvegliare la speranza cristiana del ritorno del Risorto poiché solo allora sarà pienamente visibile la sua opera redentrice.[42]


[42] «Ciò che è già compiuto in Cristo deve ancora compiersi in noi e nel mondo. Il compimento definitivo sarà quello della fine, con la risurrezione dei morti, i cieli nuovi e la terra nuova. L’attesa messianica ebraica non è vana. Essa può diventare per noi cristiani un forte stimolo a mantenere viva la dimensione escatologica della nostra fede. Anche noi, come loro, viviamo nell’attesa. La differenza sta nel fatto che per noi Colui che verrà avrà i tratti di quel Gesù che è già venuto ed è già presente e attivo tra noi»: Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Scritture nella Bibbia cristiana, 2001, 21.


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