Abbiamo saputo tutti dei punti salienti del breve viaggio di papa Francesco ad Abu Dhabi. Riparleremo del Documento firmato congiuntamente con il grande Imam della Università Islamica del Cairo. Rappresenta un fatto storico sia dal lato cattolico ma ancor più dal lato islamico! Infatti è stato preparato congiuntamente durante un anno intero con tanto studio ma anche tanta preghiera. Si tratta sempre di un cammino. Infatti poco tempo fa c'è stata anche la Dichiarazione di Islamabad firmata da tanti Imam, che avranno aiutato senz'altro a confermare l'assoluzione di Asia Bibi.
Ma non deve passare sotto silenzio quello che il Papa ha detto ai cattolici che vivono negli Emirati e a tutti noi attraverso i Media. Vangelo puro, rafforzato dall'esempio di san Francesco. Tuba! Beati!
SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Zayed Sports City (Abu Dhabi)
Martedì, 5 febbraio 2019
Martedì, 5 febbraio 2019
Beati: è la parola con cui Gesù comincia la
sua predicazione nel Vangelo di Matteo. Ed è il ritornello che Egli ripete
oggi, quasi a voler fissare nel nostro cuore, prima di tutto, un messaggio
basilare: se stai con Gesù, se come i discepoli di allora ami ascoltare la sua
parola, se cerchi di viverla ogni giorno, sei beato. Non sarai beato,
ma sei beato: ecco la prima realtà della vita cristiana. Essa
non si presenta come un elenco di prescrizioni esteriori da adempiere o come un
complesso insieme di dottrine da conoscere. Anzitutto non è questo; è sapersi,
in Gesù, figli amati del Padre. È vivere la gioia di questa beatitudine, è
intendere la vita come una storia di amore, la storia dell’amore fedele di Dio
che non ci abbandona mai e vuole fare comunione con noi sempre. Ecco il motivo
della nostra gioia, di una gioia che nessuna persona al mondo e nessuna
circostanza della vita possono toglierci. È una gioia che dà pace anche nel dolore,
che già ora fa pregustare quella felicità che ci attende per sempre. Cari
fratelli e sorelle, nella gioia di incontrarvi, questa è la parola che sono
venuto a dirvi: beati!
Sono venuto anche a
dirvi grazie per come vivete il Vangelo che abbiamo ascoltato. Si dice che tra
il Vangelo scritto e quello vissuto ci sia la stessa differenza che esiste tra
la musica scritta e quella suonata. Voi qui conoscete la melodia del Vangelo e
vivete l’entusiasmo del suo ritmo. Siete un coro che comprende una varietà di
nazioni, lingue e riti; una diversità che lo Spirito Santo ama e vuole sempre
più armonizzare, per farne una sinfonia. Questa gioiosa polifonia della fede è
una testimonianza che date a tutti e che edifica la Chiesa. Mi ha colpito
quanto Mons. Hinder disse una volta e cioè che non solo egli si sente vostro
Pastore, ma che voi, con il vostro esempio, siete spesso pastori per lui. Grazie
di questo!
Vivere da beati e
seguire la via di Gesù non significa tuttavia stare sempre allegri. Chi è
afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si prodiga per essere operatore di pace
sa che cosa significa soffrire. Per voi non è certo facile vivere lontani da
casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza
del futuro. Ma il Signore è fedele e non abbandona i suoi. Un episodio della
vita di sant’Antonio abate, il grande iniziatore del monachesimo nel deserto,
ci può aiutare. Per il Signore aveva lasciato tutto e si trovava nel deserto.
Lì, per vario tempo fu immerso in un’aspra lotta spirituale che non gli dava
tregua, assalito da dubbi e oscurità, e pure dalla tentazione di cedere alla
nostalgia e ai rimpianti per la vita passata. Poi il Signore lo consolò dopo
tanto tormento e sant’Antonio gli chiese: «Dov’eri? Perché non sei apparso
prima per liberarmi dalle sofferenze? Dove eri?». Allora percepì distintamente
la risposta di Gesù: «Io ero qui, Antonio» (S. Atanasio, Vita Antonii,
10). Il Signore è vicino. Può succedere, di fronte a una prova o ad un periodo
difficile, di pensare di essere soli, anche dopo tanto tempo passato col
Signore. Ma in quei momenti Egli, anche se non interviene subito, ci cammina a
fianco e, se continuiamo ad andare avanti, aprirà una via nuova. Perché il
Signore è specialista nel fare cose nuove, sa aprire vie anche nel deserto
(cfr Is 43,19).
Cari fratelli e
sorelle, vorrei dirvi anche che vivere le Beatitudini non richiede gesti
eclatanti. Guardiamo a Gesù: non ha lasciato nulla di scritto, non ha costruito
nulla di imponente. E quando ci ha detto come vivere non ha chiesto di
innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha
chiesto di realizzare una sola opera d’arte, possibile a tutti: quella della
nostra vita. Le Beatitudini sono allora una mappa di vita: non
domandano azioni sovraumane, ma di imitare Gesù nella vita di ogni giorno.
Invitano a tenere pulito il cuore, a praticare la mitezza e la giustizia
nonostante tutto, a essere misericordiosi con tutti, a vivere l’afflizione
uniti a Dio. È la santità del vivere quotidiano, che non ha bisogno di miracoli
e di segni straordinari. Le Beatitudini non sono per superuomini, ma per chi
affronta le sfide e le prove di ogni giorno. Chi le vive secondo Gesù rende
pulito il mondo. È come un albero che, anche in terra arida, ogni giorno
assorbe aria inquinata e restituisce ossigeno. Vi auguro di essere così, ben
radicati in Cristo, in Gesù e pronti a fare del bene a chiunque vi sta vicino.
Le vostre comunità siano oasi di pace.
Infine, vorrei
soffermarmi brevemente su due Beatitudini. La prima: «Beati i miti» (Mt 5,5).
Non è beato chi aggredisce o sopraffà, ma chi mantiene il comportamento di Gesù
che ci ha salvato: mite anche di fronte ai suoi accusatori. Mi piace citare san
Francesco, quando ai frati diede istruzioni su come recarsi presso i Saraceni e
i non cristiani. Scrisse: «Che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti
ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (Regola
non bollata, XVI). Né liti né dispute – e questo vale
anche per i preti – né liti né dispute: in quel tempo, mentre tanti partivano
rivestiti di pesanti armature, san Francesco ricordò che il cristiano parte
armato solo della sua fede umile e del suo amore concreto. È importante la
mitezza: se vivremo nel mondo al modo di Dio, diventeremo canali della sua
presenza; altrimenti, non porteremo frutto.
La seconda Beatitudine:
«Beati gli operatori di pace» (v. 9). Il cristiano promuove la pace, a
cominciare dalla comunità in cui vive. Nel libro dell’Apocalisse, tra le
comunità a cui Gesù stesso si rivolge, ce n’è una, quella di Filadelfia, che
credo vi assomigli. È una Chiesa alla quale il Signore, diversamente da quasi
tutte le altre, non rimprovera nulla. Essa, infatti, ha custodito la parola di
Gesù, senza rinnegare il suo nome, e ha perseverato, cioè è andata avanti, pur
nelle difficoltà. E c’è un aspetto importante: il nome Filadelfia
significa amore tra i fratelli. L’amore fraterno. Ecco, una Chiesa
che persevera nella parola di Gesù e nell’amore fraterno è gradita al Signore e
porta frutto. Chiedo per voi la grazia di custodire la pace, l’unità, di
prendervi cura gli uni degli altri, con quella bella fraternità per cui non ci
sono cristiani di prima e di seconda classe.
Gesù, che vi chiama
beati, vi dia la grazia di andare sempre avanti senza scoraggiarvi, crescendo
nell’amore «fra voi e verso tutti» (1 Ts 3,12).
SALUTO AL TERMINE DELLA MESSA
Prima di concludere
questa celebrazione, che mi ha dato tanta gioia, desidero rivolgere il mio
saluto affettuoso a tutti voi che avete partecipato: fedeli caldei, copti,
greco-cattolici, greco-melchiti, latini, maroniti, siro-cattolici,
siro-malabaresi, siro-malancaresi.
Ringrazio vivamente
Monsignor Hinder per la preparazione di questa visita e per tutto il suo lavoro
pastorale. Un “grazie” caloroso ai Patriarchi, agli Arcivescovi Maggiori e agli
altri Vescovi presenti, ai Sacerdoti, alle persone consacrate e ai tanti laici
impegnati con generosità e spirito di servizio nelle comunità e con i più
poveri.
Saluto e ringrazio “eyal
Zayid fi dar Zayid / i figli di Zayid nella casa
di Zayid”.
La nostra Madre Maria
Santissima vi custodisca nell’amore alla Chiesa e nella gioiosa testimonianza
del Vangelo. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
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