Visualizzazioni totali

venerdì 13 marzo 2020

QUERIDA AMAZONIA Capitolo quarto, nn. 66-69 L'INCULTURAZIONE



66. La Chiesa, mentre annuncia sempre di nuovo il kerygma, deve crescere in Amazzonia. Per questo, riconfigura sempre la propria identità nell’ascolto e nel dialogo con le persone, le realtà e le storie del suo territorio. In tal modo, potrà svilupparsi sempre di più un necessario processo di inculturazione, che non disprezza nulla di quanto di buono già esiste nelle culture amazzoniche, ma lo raccoglie e lo porta a pienezza alla luce del Vangelo.[84] E nemmeno disprezza la ricchezza di sapienza cristiana trasmessa lungo i secoli, come se si pretendesse di ignorare la storia in cui Dio ha operato in molti modi, perché la Chiesa ha un volto pluriforme «non solo da una prospettiva spaziale [...], ma anche dalla sua realtà temporale».[85] Si tratta dell’autentica Tradizione della Chiesa, che non è un deposito statico né un pezzo da museo, ma la radice di un albero che cresce.[86] È la millenaria Tradizione che testimonia l’azione divina nel suo Popolo e «ha la missione di mantenere vivo il fuoco più che di conservare le ceneri».[87]
67San Giovanni Paolo II ha insegnato che, nel presentare la sua proposta evangelica, «la Chiesa non pretende negare l’autonomia della cultura. Anzi al contrario, nutre per essa il maggior rispetto», perché la cultura «non è solo soggetto di redenzione e di elevazione; ma può essere anche fautrice di mediazione e di collaborazione».[88] Rivolgendosi agli indigeni del Continente americano ha ricordato che «una fede che non diviene cultura è una fede non pienamente accolta, né totalmente pensata né fedelmente vissuta».[89] Le sfide delle culture invitano la Chiesa a «un atteggiamento di vigile senso critico, ma anche di attenzione fiduciosa».[90]
68. Si può riprendere qui ciò che ho affermato nell’Esortazione Evangelii gaudium a proposito dell’inculturazione, sulla base della convinzione che «la grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve».[91] Avvertiamo che ciò implica un doppio movimento. Da un lato, una dinamica di fecondazione che consente di esprimere il Vangelo in un luogo, poiché «quando una comunità accoglie l’annuncio della salvezza, lo Spirito Santo ne feconda la cultura con la forza trasformante del Vangelo».[92] D’altra parte, la Chiesa stessa vive un percorso ricettivo, che la arricchisce di ciò che lo Spirito aveva già misteriosamente seminato in quella cultura. In tal modo, «lo Spirito Santo abbellisce la Chiesa, mostrandole nuovi aspetti della Rivelazione e regalandole un nuovo volto».[93] Si tratta, in definitiva, di permettere e incoraggiare che l’annuncio del Vangelo inesauribile, comunicato «con categorie proprie della cultura in cui è annunciato, provochi una nuova sintesi con tale cultura».[94]
69. Pertanto, «come possiamo vedere nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale»[95] e «non renderebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde».[96] Tuttavia, il rischio per gli evangelizzatori che arrivano in un luogo è credere di dover comunicare non solo il Vangelo ma anche la cultura in cui essi sono cresciuti, dimenticando che non si tratta di «imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica».[97] Occorre accettare con coraggio la novità dello Spirito, capace di creare sempre qualcosa di nuovo con l’inesauribile tesoro di Gesù Cristo, perché «l’inculturazione impegna la Chiesa su un cammino difficile ma necessario».[98] È vero che «benché questi processi siano sempre lenti, a volte la paura ci paralizza troppo» e finiamo per essere «spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa».[99] Non abbiamo timore, non tagliamo le ali allo Spirito Santo!

Nessun commento:

Posta un commento