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venerdì 13 marzo 2020

QUERIDA AMAZONIA, Capitolo quarto nn. 61-65 L'ANNUNCIO DEL KERIGMA




61. La Chiesa è chiamata a camminare con i popoli dell’Amazzonia. In America Latina questo cammino ha avuto espressioni privilegiate come la Conferenza di Vescovi a Medellín (1968) e la sua applicazione all’Amazzonia a Santarem (1972);[79] e poi a Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007). La strada prosegue e il compito missionario, se vuole sviluppare una Chiesa dal volto amazzonico, deve crescere in una cultura dell’incontro verso una «pluriforme armonia».[80] Ma perché sia  possibile questa incarnazione della Chiesa e del Vangelo deve risuonare, sempre nuovamente, il grande annuncio missionario.
62. Di fronte a tanti bisogni e tante angosce che gridano dal cuore dell’Amazzonia, possiamo rispondere a partire da organizzazioni sociali, risorse tecniche, spazi di dibattito, programmi politici, e tutto ciò può far parte della soluzione. Ma come cristiani non rinunciamo alla proposta di fede che abbiamo ricevuto dal Vangelo. Pur volendo impegnarci con tutti, fianco a fianco, non ci vergogniamo di Gesù Cristo. Per coloro che lo hanno incontrato, vivono nella sua amicizia e si identificano con il suo messaggio, è inevitabile parlare di Lui e portare agli altri la sua proposta di vita nuova: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16).
63. L’autentica scelta per i più poveri e dimenticati, mentre ci spinge a liberarli dalla miseria materiale e a difendere i loro diritti, implica che proponiamo ad essi l’amicizia con il Signore che li promuove e dà loro dignità. Sarebbe triste che ricevessero da noi un codice di dottrine o un imperativo morale, ma non il grande annuncio salvifico, quel grido missionario che punta al cuore e dà senso a tutto il resto. Né possiamo accontentarci di un messaggio sociale. Se diamo la nostra vita per loro, per la giustizia e la dignità che meritano, non possiamo nascondere ad essi che lo facciamo perché riconosciamo Cristo in loro e perché scopriamo l’immensa dignità concessa loro da Dio Padre che li ama infinitamente.
64. Essi hanno diritto all’annuncio del Vangelo, soprattutto a quel primo annuncio che si chiama kerygma e che «è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra».[81] È l’annuncio di un Dio che ama infinitamente ogni essere umano, che ha manifestato pienamente questo amore in Cristo crocifisso per noi e risorto nella nostra vita. Propongo di rileggere un breve riassunto su tale tema contenuto nel capitolo IV dell’Esortazione Christus vivit. Questo annuncio deve risuonare costantemente in Amazzonia, espresso in molte modalità diverse. Senza questo annuncio appassionato, ogni struttura ecclesiale diventerà un’altra ONG, e quindi non risponderemo alla richiesta di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15).
65. Qualsiasi proposta di maturazione nella vita cristiana deve avere come cardine permanente questo annuncio, perché «tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio».[82] La reazione fondamentale a questo annuncio, quando riesce a provocare un incontro personale con il Signore, è la carità fraterna, quel «nuovo comandamento che è il primo, il più grande, quello che meglio ci identifica come discepoli».[83] Pertanto, il kerygma e l’amore fraterno costituiscono la grande sintesi dell’intero contenuto del Vangelo che non si può fare a meno di proporre in Amazzonia. È quello che hanno vissuto i grandi evangelizzatori dell’America Latina come San Toribio de Mogrovejo o San José de Anchieta.

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