Campo estivo Fede e Luce, comunità di Palermo (!?). |
Aspettiamo una nascita in parrocchia. Appuntamento venerdì prossimo alle ore 17, nel Salone parrocchiale.
Intanto leggiamo questo brano tratto dal grande libro di Jean Vanier "La Comunità, luogo del perdono e della festa", un libro di molti anni, visto che era appena uscito in Francia nel 1980 e che me lo sono portato in Italia per guidare i miei primi passi nella vita comunitaria, sul consiglio ispirato del mio fratello, ora anche lui sacerdote. Un libro che mi ha fatto tanto bene come mi ha fatto bene conoscere Jean Vanier e collaborare con le Comunità di Fede e Luce. Un libro che può fare ancora tanto bene a molti.
Diventare
pane
Alcuni non vedono quale
cibo potrebbero dare; non si rendono conto che essi stessi possono
diventare pane per gli altri. Non credono che la loro parola, il loro sorriso,
il loro essere, la loro preghiera possono nutrire gli altri e dar loro fiducia. Gesù ci chiama a dare la nostra vita per quelli che amiamo. È mangiando il
pane cambiato nel Suo Corpo che diventiamo pane per gli altri. Altri invece,
scoprono che il loro cibo è dare a partire da una cesta vuota! È il
miracolo della moltiplicazione dei pani. «Signore, che io non cerchi tanto d'essere consolato quanto di consolare». Sono sempre stupito di scoprire che
quando mi sento molto vuoto interiormente, sono capace di dare una parola
nutriente, o che essendo angosciato posso trasmettere la pace. Solo Dio può
fare miracoli simili.
A volte incontro persone
aggressive nei confronti della loro comunità. La criticano per la sua
mediocrità. «La comunità non è sufficientemente nutriente: non mi dà ciò di cui
ho bisogno.» Sono come bambini che criticano i loro genitori per tutto. Mancano
di maturità, di libertà interiore e soprattutto di fiducia in se stessi, in
Gesù e nei loro fratelli e sorelle. Vorrebbero un banchetto con un menù preciso
e rifiutano le briciole date ad ogni istante. Il loro ideale, le loro idee
riguardo al cibo spirituale di cui dicono di aver bisogno, impediscono
loro di vedere e di mangiare il cibo che Dio dà loro attraverso il
quotidiano. Non riescono ad accettare il pane che il povero, il loro fratello o
la loro sorella, offre loro, attraverso il suo sguardo, la sua amicizia, la sua
parola. All'inizio la «comunità» può essere una madre che nutre. Ma col tempo,
ognuno deve scoprire il suo proprio cibo attraverso le mille attività
della comunità. Può essere una forza data da Dio, che viene in aiuto alla sua
debolezza e alla sua insicurezza per aiutarlo ad accettare la ferita della sua
solitudine, del suo grido di sconforto. La comunità non può mai colmare questo
sconforto che è inerente alla condizione umana. Ma può aiutarci ad accettarlo,
può ricordarci che Dio risponde al nostro grido e che non siamo soli. «Il Verbo
si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi» (Gv 1,4). - «Non temere, io sono
con te» (Is 43,5). Vivere in comunità è anche imparare a camminare da soli nel
deserto, nella notte e nel pianto, mettendo la nostra fiducia in Dio nostro
Padre.
Quando si è perduta la
visione iniziale della comunità, quando ci si è allontanati dal punto di
fedeltà, si può mangiare, mangiare cose spirituali, avere una spaventosa fame
di spiritualità, senza essere nutriti. Bisogna convertirsi, ridiventare come
bambini, ritrovare la nostra chiamata iniziale e quella della comunità. Quando
si comincia a dubitare di questa chiamata, questo dubbio si diffonde come un
cancro capace di corrodere l'intero corpo. Occorre saper alimentare la nostra
fiducia in questa chiamata.
Jean Vanier.
Dal libro “La Comunità
luogo del perdono e della festa”
Messaggio recepito.
RispondiEliminaGiovanna Todisco