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venerdì 8 giugno 2018

L'UNZIONE SPIRITUALE DI TUTTO IL POPOLO DI DIO: LA LETTERA DEL PAPA AL POPOLO DI DIO CHE PELLEGRINA IN CILE


Ieri sera parlavo di nuovo con una comunità della lettera che papa Francesco ha mandato a tutto il Popolo di Dio peregrinante in Cile, lamentandomi che nessuno ancora l’abbia tradotta in italiano, perché quello che il Papa propone alla Chiesa del Cile, è molto interessante, vale per tutta la Chiesa universale.
Questa mattina sono accontentato. Ho ripreso, rivedendola, la traduzione di Settimana News diffusa dal “Sismografo” di Luis Badilla (se posso, qualche giorno farò a Luis Badilla un monumento per il servizio che rende alla Chiesa!) e invito tutti a leggere questa lettera di papa Francesco, con calma, e a meditarla.
Per un prete ormai quasi vecchio come me, questa lettera del Papa che invita alla sinodalità del Popolo di Dio tutto, potrebbe sembrare a prima vista un po’ imprudente. Sappiamo i danni che hanno fatto movimenti tipo “Noi siamo Chiesa” nel centro Europa. Poco tempo fa leggevo una intervista del Cardinale Schönborn. Egli diceva che in Austria bisogna reintrodurre il concetto che la Chiesa sta alla scuola di Gesù Cristo e si plasma sui suoi insegnamenti. Sappiamo anche tutti la crisi di obbedienza, in particolare nelle comunità religiose dove si è fatto proprio voto di obbedienza, e i danni che ha provocato. Ma ci sono anche sotto i nostri occhi le spaventose conseguenze degli ambienti chiusi e manipolati da un “leader carismatico”, tipo Padre Fernando Karadima in Cile appunto, Luis Figari in Perù, Padre Marcial Maciel in Messico, ecc., per non parlare di quelli di casa nostra.
Però questi pericoli estremi di autoreferenzialità laicale o di “sette” guidate da qualche “carismatico” non esistono nelle nostre comunità! Per le nostre comunità il pericolo è un altro: è quello della fede che rimane infantile per pigrizia e paura di rischiare, di esporsi. L’obbedienza significa rimanere in comunione, anche con grande sofferenza se occorre, ma non significa essere passivi. 
Anni fa, in Sicilia è nata per volere del Signore una iniziativa a favore degli handicappati mentali che erano tanto, troppo ignorati e nascosti finora in quel paese. Ho messo questo nuovo gruppo in contato con Fede e Luce di Jean Vanier che aveva il loro stesso carisma. Così è nata la bellissima avventura dei “Piccoli di Gesù” che esistono ancora. All’inizio, nel fervore dei primi passi non hanno voluto aderire alle Comunità di Fede e Luce perché erano sicuri di fare un cammino proprio. Dopo pochi anni hanno avuto la saggezza di riconoscere i loro limiti e di appoggiarsi a Fede e Luce per continuare un cammino sicuro. Magari qualcuno tra loro, esaurito l'entusiasmo umano iniziale, dalla creatività dell’inizio è passato alla pigra passività aspettando il quaderno annuale di Fede e Luce per programmare gli incontri, accontentandosi di fare le fotocopie. Male minore se continuo a donarmi per la mia comunità.
Devo essere membro vivo nella mia comunità, vivere e morire (nel servizio) per essa, sentirmene responsabile e, se il Signore mi ispira, presentare anche le mie idee nuove…
Questo è il piano di Dio, fin dall’inizio del Cammino del suo Popolo e in particolare fin dall’inizio della Chiesa.  A questo ci invita il Papa. Leggiamo e meditiamo la sua lettera. 

Al Popolo di Dio peregrinante in Cile.
Cari fratelli e sorelle,
l’8 aprile scorso ho convocato i miei fratelli vescovi a Roma per cercare insieme nel breve, medio e lungo periodo cammini di verità e vita di fronte ad una ferita aperta, dolorosa, complessa, che da molto tempo non cessa di sanguinare.[1] E ho suggerito loro di invitare tutto il santo popolo fedele di Dio a mettersi in atteggiamento di preghiera affinché lo Spirito Santo ci dia la forza di non cadere nella tentazione di avvitarci in vuoti giochi di parole, diagnosi sofisticate o in vani gesti che non ci darebbero la forza necessaria per guardare in faccia la sofferenza causata, il volto delle vittime, l’enormità dei fatti. Li ho invitati a guardare dove lo Spirito Santo ci spinge poiché “chiudere gli occhi davanti al prossimo ci fa diventare ciechi anche davanti a Dio”.[2]
Con gioia e speranza ho ricevuto la notizia che sono state molte le comunità, le città e le cappelle in cui il Popolo di Dio ha pregato, specialmente nei giorni in cui eravamo riuniti con i vescovi: il Popolo di Dio in ginocchio che implora il dono dello Spirito Santo per trovare luce nella Chiesa «ferita dal suo peccato e misericordiata dal suo Signore, e perché ogni giorno diventi profetica per vocazione».[3] Sappiamo che la preghiera non è mai in vano e che «nel pieno dell’oscurità comincia sempre a germogliare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce frutto».[4]
1. Fare appello a voi, chiedervi di pregare non è stato un ricorso funzionale né un semplice gesto di buona volontà. Al contrario, ho voluto mettere le cose nel loro posto giusto e prezioso, e porre il problema là dove deve stare: la condizione del Popolo di Dio è «la dignità e la libertà dei figli di Dio, nei cui cuori abita lo Spirito Santo come in un tempio».[5] Il Santo Popolo fedele di Dio è unto con la grazia dello Spirito Santo; perciò nell’ora di riflettere, pensare, valutare, discernere, dobbiamo essere molto attenti a questa unzione. Ogni volta che, come Chiesa, come pastori, come consacrati, abbiamo dimenticato questa certezza abbiamo sbagliato strada. Ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, zittire, disprezzare, ignorare o ridurre a piccole élite il Popolo di Dio nella sua totalità e nelle sue differenze, abbiamo costruito comunità, piani pastorali, accentuazioni teologiche, spiritualità, strutture senza radici, senza storia, senza volti, senza memoria, senza corpo, in una parola, senza vita. Sradicarci dalla vita del Popolo di Dio ci fa piombare nella desolazione e perversione della natura ecclesiale; la lotta contro una cultura dell’abuso ha bisogno di rinnovare questa certezza.
Come ebbi a dire ai giovani a Maipú, voglio ripeterlo in maniera speciale a ciascuno di voi: «la Santa Madre Chiesa oggi ha bisogno del Popolo fedele di Dio, ha bisogno di interpellarci […] Ha bisogno che voi mostriate la tessera di persone maggiorenni, spiritualmente adulte, e abbiate il coraggio di dirci “questo mi piace” “questo cammino mi sembra sia quello che dobbiamo percorrere”, “questo non va”… Che ci diciate ciò che sentite e pensate».[6] Questo ha il potere di coinvolgerci tutti in una Chiesa con stile sinodale che sa mettere Gesù al centro.
Nel Popolo di Dio non esistono cristiani di prima, seconda e terza categoria. La loro partecipazione attiva non è questione di concessioni di buona volontà, ma è costitutiva della natura ecclesiale. È impossibile immaginare il futuro senza questa unzione operante in ciascuno di voi che certamente reclama e richiede rinnovate  forme di partecipazione. Esorto tutti i cristiani a non aver paura di essere i protagonisti della trasformazione che oggi viene reclamata e a stimolare e promuovere alternative creative nella ricerca quotidiana di una Chiesa che vuole ogni giorno mettere al centro ciò che è importante. Invito tutti gli organismi diocesani – di qualsiasi area – a cercare consapevolmente e lucidamente spazi di comunione e di partecipazione affinché l’Unzione del Popolo di Dio trovi le sue mediazioni concrete per manifestarsi.
Il rinnovamento nella gerarchia ecclesiale non genera per se stesso la trasformazione a cui ci spinge lo Spirito Santo. È necessario che promuoviamo insieme una trasformazione ecclesiale che ci coinvolga tutti.
Una Chiesa profetica e, pertanto, piena di speranza richiede da tutti una mistica dagli occhi aperti, che interpella e non sia addormentata.[7] Non lasciatevi rubare l’unzione dello Spirito.
2. «Il vento soffia dove vuole: ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). Così rispose Gesù a Nicodemo nel dialogo sulla possibilità di nascere di nuovo per entrare nel Regno dei cieli.
Attualmente, alla luce di questo brano, ci fa bene tornare a esaminare la nostra storia personale e comunitaria: lo Spirito Santo soffia dove vuole e come vuole con l’unico scopo di aiutarci a nascere di nuovo. Lungi dal lasciarsi rinchiudere in schemi, modalità e strutture fisse e caduche, lungi dal rassegnarsi o “abbassare la guardia” di fronte agli avvenimenti, lo Spirito è sempre in movimento per allargare lo sguardo ristretto, far sognare chi ha perso la speranza,[8] fare giustizia nella verità e nella carità, purificare dal peccato e dalla corruzione e invitare sempre alla necessaria conversione. Senza questo sguardo di fede tutto ciò che possiamo dire e fare cadrebbe nel vuoto. Questa certezza è indispensabile per guardare il presente senza evasioni ma con audacia, con coraggio ma con saggezza, con tenacia ma senza violenza, con passione ma senza fanatismo, con costanza ma senza ansia, e così cambiare tutto ciò che oggi minaccia l’integrità e la dignità di ciascuna persona; dato che le soluzioni di cui c’è bisogno esigono di guardare i problemi senza rimanerne prigionieri o, peggio ancora, ripetere i medesimi meccanismi che vogliamo eliminare.[9] Oggi siamo sfidati a guardare avanti, ad assumere e vivere la sofferenza del conflitto e così poterlo risolvere e trasformare in un anello di congiunzione di un nuovo cammino.[10]
3. Anzitutto sarebbe ingiusto attribuire questo processo solo agli ultimi avvenimenti vissuti. Tutto il processo di revisione e di purificazione che stiamo vivendo è possibile grazie agli sforzi e alla perseveranza di persone concrete che, contro ogni speranza o discredito non si sono stancati di cercare la verità; mi riferisco alle vittime degli abusi sessuali, del potere, dell’autorità e di coloro che, allora, li hanno creduto e accompagnati. Vittime il cui grido è giunto fino al cielo.[11] Vorrei ancora una volta ringraziare pubblicamente il coraggio e la perseveranza di tutti loro.
Questo ultimo tempo è tempo di ascolto e di discernimento per giungere alle radici che hanno permesso che tali atrocità avvenissero e si perpetuassero, e così trovare soluzioni allo scandalo degli abusi, non con strategie puramente di contenimento – imprescindibili ma insufficienti – ma con tutte le misure necessarie per poter assumere il problema nella sua complessità.
In questo senso, vorrei soffermarmi sulla parola “ascolto”, dal momento che discernere comporta imparare ad ascoltare ciò che lo Spirito vuole dirci. E potremo farlo solo se saremo capaci di ascoltare la realtà di ciò che avviene.[12]
Credo che qui si trovi una delle nostre principali mancanze e omissione: non saper ascoltare le vittime. Così sono state costruite delle conclusioni parziali a cui mancavano elementi cruciali per un sano e chiaro discernimento. Con vergogna devo dire che non abbiamo saputo ascoltare e reagire a tempo.
La visita di mons. Scicluna e di mons. Bertomeu è nata dalla costatazione che esistevano situazioni che non sapevamo vedere e ascoltare. Come Chiesa non potevamo continuare ad andare avanti ignorando la sofferenza dei nostri fratelli. Dopo aver letto il rapporto, ho voluto incontrare personalmente alcune vittime di abuso sessuale, di potere e di coscienza, per ascoltarle e chiedere loro perdono per i nostri peccati e le nostre omissioni.
4. In questi incontri ho costatato come la mancanza di riconoscimento/ascolto della loro storia, come pure del riconoscimento/accettazione degli errori e delle omissioni in tutto il processo, ci impedisce di andare avanti. Un riconoscimento che vuole essere più che un’espressione di buona volontà verso le vittime, ma vuole piuttosto essere un nuovo modo di porci davanti alla vita, davanti agli altri e davanti a Dio. La speranza nel domani e la fiducia nella Provvidenza nasce e cresce nell’assumere la fragilità, i limiti e anche il peccato per aiutarci ad andare avanti.[13] Il “mai più” alla cultura dell’abuso come anche al sistema dell’occultamento che gli permette di perpetuarsi, richiede di lavorare tutti insieme per generare una cultura della cura che impregni le nostre forme di relazionarci, di pregare, di pensare, di vivere l’autorità; le nostre usanze e i nostri linguaggi, il nostro rapporto col potere e il denaro. Oggi sappiamo che la parola migliore che possiamo offrire di fronte alla dolore provocato è l’impegno per la conversione personale, comunitaria e sociale che impari ad ascoltare e a prendersi cura particolarmente dei più vulnerabili. È urgente, quindi, generare spazi in cui la cultura dell’abuso e dell’occultamento non sia lo schema dominante; in cui non si confonda un atteggiamento critico e interpellante con il tradimento. Ciò deve spronarci come Chiesa a cercare umilmente tutti gli attori che configurano la realtà sociale e a promuovere istanze di dialogo e di confronto costruttivo per camminare verso una cultura della cura e della protezione.
Pretendere di compiere questa impresa solo partendo da noi o con le nostre forze e strumenti ci chiuderebbe in pericolose dinamiche volontariste che verrebbero meno a corto termine.[14] Lasciamoci aiutare e aiutiamo a generare una società in cui la cultura dell’abuso non trovi spazio per perpetuarsi. Esorto tutti i cristiani e specialmente i responsabili di Centri di formazione educativa di terzo grado, di educazione formale e non formale, Centri sanitari, Istituti di formazione e Università, a mettere in comune gli sforzi nelle diocesi e con la società civile per promuovere in maniera chiara e strategica una cultura della cura e della protezione. Che ognuno di questi spazi promuova una nuova mentalità.
5. La cultura dell’abuso e dell’occultamento è incompatibile con la logica del Vangelo dal momento che la salvezza offerta da Cristo è sempre un’offerta, un dono che richiede ed esige la libertà. È lavando i piedi ai discepoli che Gesù ci mostrato il volto di Dio. Non è per costrizione né per obbligo ma per servizio. Diciamolo chiaro, tutti i mezzi che attentano alla libertà e all’integrità delle persone sono anti-evangelici; perciò bisogna anche generare processi di fede in cui si impari a riconoscere quando è necessario dubitare e quando no. «La dottrina, o meglio, la nostra comprensione ed espressione di essa, “non è un sistema chiuso, privo di dinamiche capaci di suscitare domande, dubbi, interrogativi”, poiché le domande del nostro popolo, le sue angustie, le sue idee, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio dell’incarnazione».[15] Invito tutti i Centri di formazione religiosa, le facoltà teologiche, gli istituti di terzo grado, i seminari, le case di formazione e di spiritualità a promuovere una riflessione teologica che sia capace di essere all’altezza del tempo presente, a promuovere una fede matura, adulta e che assuma l’humus vitale del Popolo di Dio con le sue ricerche e i suoi interrogativi. E così, allora, promuovere comunità capaci di lottare contro situazioni abusive, comunità in cui lo scambio, la discussione, il confronto siano benvenuti.[16] Saremo fecondi nella misura in cui svilupperemo comunità internamente aperte liberandoci così da pensieri chiusi e autoreferenziali pieni di promesse e di miraggi che promettono vita ma che, in definitiva, favoriscono la cultura dell’abuso.
Vorrei fare un breve riferimento alla pastorale popolare vissuta in molte delle vostre comunità poiché è un tesoro inestimabile e un’autentica scuola in cui imparare ad ascoltare il cuore del nostro popolo e, nello stesso tempo, il cuore di Dio. Nella mia esperienza di pastore ho imparato a scoprire che la pastorale popolare è uno dei pochi spazi in cui il Popolo di Dio è sovrano rispetto all’influenza di quel clericalismo che cerca sempre di controllare e frenare l’unzione di Dio sul suo popolo. Imparare dalla pietà popolare è imparare a stabilire un nuovo tipo di rapporto, di ascolto e di spiritualità che esige molto rispetto e non si presta a letture affrettate e sempliciste, poiché la pietà popolare «riflette una sete di Dio che solo i poveri e i semplici possono conoscere».[17]
Essere “Chiesa in uscita” vuol dire anche lasciarsi aiutare e interpellare. Non dimentichiamo che “il vento soffia dove vuole: ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va. Così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8).
6. Come vi dicevo, negli incontri con le vittime ho potuto costatare che la mancanza di riconoscimento ci impedisce di camminare. Perciò credo necessario condividere con voi che mi ha molto rallegrato e riempito di speranza confermare, nel dialogo con loro, il riconoscimento di persone che mi piace chiamare i “santi della porta accanto”.[18] Saremmo ingiusti se, accanto al nostro dolore e vergogna per queste strutture di abuso e di occultamento che tanto si sono perpetuate e tanto male hanno fatto, non dessimo riconoscimento ai molti fedeli, laici, consacrati e consacrate, sacerdoti e vescovi che danno la vita per amore nelle zone più remote della cara terra cilena. Tutti loro sono cristiani che sanno piangere con gli altri, che cercano la giustizia con fame e sete, che guardano e agiscono con misericordia;[19] cristiani che cercano ogni giorno di illuminare la loro vita alla luce del protocollo su cui saremo giudicati: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,34-36).
Riconosco e ringrazio per il loro coraggioso e costante esempio perché in momenti di turbolenza, vergogna e sofferenza continuano a mettersi in gioco con gioia per il Vangelo. Questa testimonianza mi fa molto bene e mi sostiene nel mio stesso desiderio di vincere l’egoismo per donarmi ancora di più.[20] Lungi dal togliere importanza e serietà al male provocato e al cercare le radici dei problemi, ci impegna anche a riconoscere la forza che agisce e opera mediante lo Spirito in tante vite. Senza questo sguardo, rimarremmo a metà strada e potremmo entrare in una logica che, lungi dal cercare di rafforzare il bene e di porre rimedio all’errore, rendere monca la realtà cadendo in una grave ingiustizia.
Accettare i successi, come anche i limiti personali e comunitari, lungi dall’essere una notizia ulteriore, diventa il punto di partenza di ogni autentico processo di conversione e di trasformazione. Non dimentichiamo mai che Gesù Cristo risorto si presenta ai suoi con le sue piaghe. Ben più, è proprio a partire dalle sue piaghe che Tommaso può confessare la fede. Siamo invitati a non dissimulare, nascondere o coprire le nostre piaghe.
Una Chiesa piagata è capace di comprendere e commuoversi per le piaghe del mondo d’oggi, farle sue, soffrirle, accompagnarle e muoversi per cercare di risanarle. Una Chiesa piagata non si mette al centro, non si crede perfetta, non cerca di coprire o dissimulare il suo male, ma mette lì l’unico che può guarire le ferite e ha un nome: Gesù Cristo.[21]
Questa certezza è quella che ci muoverà a impegnarci, a tempo opportuno e importuno, a generare una cultura in cui ogni persona abbia diritto a respirare un’aria libera da ogni genere di abusi. Una cultura libera da occultamenti che finiscono col viziare tutte le nostre relazioni. Una cultura che, di fronte al peccato, genera una dinamica di pentimento, misericordia e perdono, e di fronte al crimine la denuncia, il giudizio e la sanzione.
7. Cari fratelli, ho cominciato questa lettera dicendovi che appellarmi a voi non è un mezzo funzionale o un gesto di buona volontà, al contrario, è invocare l’unzione che, come Popolo di Dio, possedete. Con voi si potranno fare i passi necessari per un rinnovamento e una conversione ecclesiale che sia sana e a lungo termine. Con voi si potrà generare la trasformazione necessaria di cui tanto c’è bisogno. Senza di voi non si può fare nulla. Esorto tutto il Santo Popolo fedele di Dio che vive in Cile a non aver paura di coinvolgersi e di camminare spinto dallo Spirito nella ricerca di una Chiesa ogni giorno più sinodale, profetica e piena di speranza; meno abusiva perché sa mettere Gesù al centro, nell’affamato, nel carcerato, nel migrante, nell’abusato.
Vi chiedo di non cessare di pregare per me. Io lo faccio per voi e chiedo a Gesù che vi benedica e alla Vergine Santa che vi custodisca.
Vaticano, 31 maggio 2018, Festa della Visitazione di Nostra Signora
***
[1] Cf. Lettera del Santo Padre Francesco ai signori Vescovi del Cile dopo la relazione di S. E. mons. Charles J. Scicluna, 8 aprile 2018.
[2] BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 16.
[3] Cf. Incontro del Santo Padre Francesco con i sacerdoti, religiosi/e, consacrati/e e seminaristi, Cattedrale di Santiago del Cile, 16 gennaio 2018.
[4] FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 278.
[5] Cf. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 9.
[6] Cf. Incontro del Santo Padre Francesco con i giovani, Santuario Nazionale di Maipú, 17 gennaio 2018.
[7] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate, 96.
[8] Cf. FRANCESCO, Omelia santa messa nella solennità della Pentecoste 2018.
[9] È opportuno riconoscere a alcune organizzazioni e mezzi di comunicazione che hanno assunto il tema degli abusi in maniera responsabile, cercando sempre la verità e non facendo di questa dolorosa realtà una risorsa mediatica per l’aumento dell’audience nella loro programmazione.
[10] Cf.. FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 227.
[11] Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze” (Es 3,7).
[12] Ricordiamo che questa fu la prima parola-mandato che il popolo d’Israele ricevette da parte di Jahvé (Dt 6,4).
[13] Cfr. Visita del Santo Padre Francesco al Centro penitenziario femminile, Santiago del Cile, 16 gennaio 2008.
[14] Cfr. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate, 47-59.
[15] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate” 44.
[16] È imprescindibile portare a termine il tanto necessario rinnovamento nei centri di formazione promosso dalla recente Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium. Per fare un esempio, sottolineo che «in effetti, il compito urgente del nostro tempo consiste nel fatto che tutto il Popolo di Dio si prepari a intraprendere “con spirito” una nuova tappa de la evangelizzazione». Ciò richiede «un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma». E, all’interno di questo processo, il rinnovamento adeguato del sistema degli studi ecclesiastici è chiamato a svolgere un ruolo strategico. In realtà, questi studi non devono solo offrire luoghi e itinerari per la formazione qualificata dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei laici impegnati, ma costituiscono una sorta di laboratorio culturale provvidenziale, in cui la Chiesa si esercita nell’interpretare la performance della realtà che scaturisce dall’evento Gesù Cristo e si alimenta dei doni di Sapienza e Scienza con cui lo Spirito Santo arricchisce in vari modi tutto il popolo di Dio: dal sensus fidei fidelium fino al magistero dei Pastori, dal carisma dei profeti a quello dei dottori e dei teologi».  (Veritatis Gaudium, 3).
[17] Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 48.
[18] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate,6-9.
[19] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate, 76.79.82
[20] Cf. FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 76
[21] Cf. Incontro del Santo Padre Francesco coi sacerdoti, religiosi/e, consacrati/e e seminaristi, cattedrale di Santiago del Cile, 16 gennaio 2018.

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