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giovedì 16 luglio 2020

AVERE DIO COME FRATELLO E FIGLIO / Madonna del Carmine, 16 giugno



Questa mattina le suore hanno scelto letture dal Comune della Vergine Maria. Abbiamo proclamato questo Vangelo:
Matteo, 12,46-50 Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre».
Ci identifichiamo forse più facilmente come figli di Maria, meno come figli che hanno Dio come vero Padre. Ci sentiamo più facilmente servi di Dio, discepoli di Gesù che come suoi fratelli. Per tanti Gesù sta in cielo e lontano da noi. Se contempliamo l’incarnazione di Gesù spesso vediamo solo il suo abbassamento, il suo svuotarsi dalla sua uguaglianza con Dio. Ma l’incarnazione è nei due sensi: Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio. E questa divinizzazione è già avvenuta! Gesù dice dei suoi discepoli – che non sono certamente perfetti – “questi sono per me fratello, sorella e madre”.  San Paolo lo sa e scrive ai primi discepoli di Efeso: “Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù,” (Ef 2:6). Sembra che i nostri fratelli ortodossi insistono maggiormente su questo aspetto della divinizzazione dell’uomo. L’importante è viverlo.
Potremmo cominciare a ringraziare il Signore per questo dono immeritato e immenso e contemplare le conseguenze che ne derivano. Cosa significa essere fratello di Gesù, addirittura la sua madre? Non si tratta più di metterci a dire due preghiere (oppure centinaia di preghiere) per ottenere le grazie. Si tratta di vivere in famiglia con lui. Avere Dio come fratello, come figlio!, il Dio vivo e vero, aprirci a questo dono e non rimanere come un estraneo nella casa che pensa solo a sé stesso, o si mette timidamente sulla porta. Significa che chi ti vede deve intuire questa somiglianza di famiglia. Si tratta di portare questo nome e onorarlo, non farlo bestemmiare (Romani 2,24). Ma quanto è grande il dono di Dio! Non ci ha solo salvati, non ha soltanto avuto pietà dei nostri peccati e della nostra infelicità, non ci ha solo curati senza ribrezzo per quello che siamo e siamo diventati per le nostre scelte assurde, noi che ci vantiamo pure di essere bravi e buoni. Dio ci ha accolti nella sua famiglia, ci ha dato la sua natura.

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