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giovedì 5 aprile 2018

COME "CANCELLARE DAVVERO L'INFERNO": L'OMELIA DEL CARDINALE MAURICE PIAT.


Dal Sito della Diocesi di Port Saint Louis, Isola Mauritius.
Alla vuota polemica sull'inferno e papa Francesco, qualcuno ha reagito dicendo che sarebbe stato meglio non ricevere Eugenio Scalfari. Confesso che in un periodo della mia vita sarei stato tentato di pensarla così. In fondo avevo ancora molte paure e una fede fragile, e pensavo che se il cristiano deve essere zelante, "meglio pochi ma buoni". Ma è talmente contraddittorio con il modo di fare di Gesù che parla con tutti, amici e nemici, ma soprattutto peccatori, persone indegne e  giustamente - dal punto di visto umano - malfamate, e ne porta le conseguenze negative (la gente ne dice di tutti i colori su di lui) che sono sicuro che se gli dessi io questo consiglio Gesù finirebbe per non parlare più con me che sono molto peggio di tutti. E questo, non sia mai! 
Grazie a Dio, papa Francesco segue l'esempio di Gesù e mi invita alla conversione.

Ho allora deciso di tradurre l'Omelia sotto, molto interessante per vari motivi di fedeltà al vangelo, senza chiusure e senza facili accomodamenti, che invito a  meditare passo per passo. 

Omelia del cardinale Maurice Piat, vescovo dell'Isola Mauritius, alla celebrazione dei divorziati impegnati in una nuova unione. 07- 03- 2018.

Cari fratelli e sorelle,
quando si parla di accoglienza e di integrazione nella Chiesa di coppie divorziate e impegnate in una nuova unione, o di coppie che vivono in coabitazione senza matrimonio civile o religioso, di che cosa parliamo? Non si parla di accoglienza in un “club di gente per bene”, né in un gruppo di “giusti” o di “meritanti” che pretendono di non avere granché da rimproverarsi.


No, parliamo piuttosto dell’accoglienza in un popolo che si riconosce peccatore e che cerca ad aprirsi con fiducia alla Misericordia del Signore che sola può guarirlo, salvarlo.
È quanto ci ripete san Paolo in tutte le sue lettere. Sa di cosa parla, perché, prima della sua conversione, si credeva uno dei Giudei tra i più giusti di Gerusalemme, uno dei più meritanti; e, in nome di questo merito, disprezzava di cuore i piccoli che erano stati toccati dalla misericordia di Gesù e si mettevano a credere in lui. Era duro nei loro confronti in nome della legge e li perseguitava. Voleva mostrare così la sua fedeltà alla legge giudaica.
Ma un giorno, è stato toccato lui stesso da Gesù sulla via di Damasco, quel Gesù che con una grande dolcezza gli ha detto “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”, cioè, anche se mi perseguiti oggi, io posso amarti, perdonarti. È sconvolto dal perdono che Gesù gli accorda senza nessun merito da parte sua e si rende conto di essere lui stesso un grande peccatore. Allora si lascia accogliere da questo popolino che aveva perseguitato. Diventa umile e si mette ad accogliere lui stesso nella Chiesa i piccoli, i poveri e i peccatori che si lasciano toccare da Gesù e mettono in lui la loro fiducia.

Se la Chiesa è un popolo di peccatori che la misericordia del Signore non cessa di rialzare, di perdonare e di invitare ad una vita nuova, allora tutti possono trovare un posto in questo popolo, perché nessuno può fare a meno della misericordia di Gesù.

È quello che Gesù ci mostra quando passa davanti a un banco di collettori delle tasse e chiama uno dei funzionari, Matteo. In quel tempo, i Giudei che lavoravano come collettori delle tasse per i Romani erano tutti dei corrotti, disonesti e detestati dai Giudei che li consideravano come collaboratori di coloro che li opprimevano.
Questo buon Matteo è talmente toccato dal gesto di Gesù che non lo ha giudicato, ma che, al contrario, ha visto in lui un potenziale per diventare un buon discepolo, è talmente felice che, non solo lascia il suo lavoro seduta stante, ma organizza un grande pranzo a casa sua dove invita i suoi ex colleghi e molte altre persone di dubbia fama che aveva l’abitudine di frequentare.
Ed ecco che Gesù si mette a tavola con loro e dice ai suoi discepoli di venire anche loro. In quel tempo, andare a mangiare a casa di una persona giudicata un peccatore pubblico era considerato un grande scandalo. Ma Gesù non se ne preoccupa, accetta l’invito di Matteo. I farisei sono scandalizzati e cominciano a criticare mormorando. La risposta di Gesù sfavilla come un raggio di luce “ non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.

Alla fine, siamo noi, la Chiesa, il popolo di Dio, che siamo chiamati a rimetterci in discussione e fare il nostro “mea culpa” per aver dato l’impressione a volte di essere un popolo di “Puri” e aver lasciato intendere ad alcuni che non c'era posto per loro in quel popolo. È successo purtroppo nel passato, in modo terribile, ma non dobbiamo chiuderci gli occhi, succede ancora oggi in modo più sottile. Dobbiamo sinceramente chiedere perdono a tutte queste persone che sono state ferite, e che hanno molto sofferto per colpa nostra.

Non è perché qualcuno che camminava con noi è inciampato, è caduto, ha fatto qualcosa che oggettivamente è contro la legge di Cristo e della Chiesa, che dobbiamo lasciarlo solo sul ciglio della strada ad arrangiarsi come può. Gesù ci dice chiaramente che dobbiamo adottare un altro atteggiamento – prendere l’iniziativa di incontrarlo, curare le sue ferite e aiutarlo a rialzarsi per continuare la strada con noi.

Ma cosa vuole dire concretamente accogliere, sostenere i nostri fratelli e sorelle divorziati e impegnati in una nuova unione con o senza matrimonio civile?
Significa innanzitutto accoglierli come sono, gratuitamente, senza condizioni, ognuno con la sua storia, la sua sofferenza, le sue debolezze, le sue cadute, la sua ricerca, la sua sete. Ogni coppia, ogni persona è unica, e l’accoglienza vuole dire una presa in conto di questo carattere unico, un rifiuto della stigmatizzazione, un ascolto fraterno, semplice, che sostiene e dona coraggio per rimettersi in cammino.

Significa anche astenersi di porsi nell’atteggiamento del giudice perché noi non siamo al di sopra degli altri, siamo deboli anche noi e possiamo ritrovarci noi stessi in situazioni analoghe.
Accogliere vuole dire anche lasciarsi interpellare vicendevolmente come fratelli, come sorelle. 
Ognuno è peccatore a modo suo e ognuno ha il suo cammino da fare lasciandosi guidare dalla Parola di Dio. Spesso l’ascolto di fratelli e sorelle che condividono con noi così la loro storia, la loro situazione, ci interpella e ci rimanda alle nostre proprie debolezze, ai nostri peccati, ed è così che ci si può sostenere a vicenda sul nostro cammino di conversione.
Personalmente riconosco che sono sempre colpito dalle persone che si avvicinano alla Santa Mensa incrociando le mani sul petto. Mi ricordano la mia propria fragilità, il peccato che è in me, e mi dico talvolta: “è veramente in modo sincero che ho detto prima di comunicarmi, Signore non sono degno?”

In fondo “accogliere” vuole dire ritrovarsi gomito a gomito sulla via, come pellegrini che sono tutti peccatori e la cui unica speranza, l’unica sicurezza non è il proprio percorso di buona condotta, ma la misericordia del Signore che si è avvicinato a noi in Gesù e ci invita a rialzarci e a fare strada con lui.

Ecco perché la prima tappa dell’accoglienza è di invitarvi, cari fratelli e sorelle divorziati e in una nuova unione, a partecipare con altre coppie a un gruppo di pellegrini disposti a fare un cammino insieme: un cammino di condivisione semplice della propria esperienza di vita, di ascolto della Parola, un cammino anche di iniziazione progressiva a lasciare questa Parola illuminare la mia vita, interpellarmi, convertirmi; un cammino nel quale poco a poco, il Signore ci guarisce, ci trasforma e ci dona questa pace, questa gioia tranquilla di cui lui solo ha il segreto.

La fede in Gesù non è qualcosa di statico, qualcosa che si ha o non si ha. La fede è sempre un cammino di crescita, verso una fiducia sempre maggiore in lui. Su questo cammino ci saranno chiaramente alti e bassi, momenti difficili, combattimenti, rinunce, decisioni delicate da prendere. Ma su questo cammino si scopre che, poco importa il nostro punto di partenza, poco importa la tappa raggiunta, Gesù è sempre là con una pazienza incredibile per sostenerci e accompagnarci.
Tutti siamo sullo stesso cammino, che siamo divorziati oppure no, in regola oppure non in regola; nessuno è arrivato alla meta, e nessuno può vantarsi di aver compiuto un percorso senza errori. Ecco perché accogliervi, cari fratelli e sorelle divorziati e impegnati in una nuova unione, non solo può farvi del bene, ma può anche fare molto bene alla Chiesa che apprende così a comprendersi e a comportarsi come un popolo di pellegrini umili e fraterni.

Succederà su questo cammino che si porrà per alcuni la domanda di sapere se possono oppure no ricevere l’Eucaristia e il Sacramento della Riconciliazione. A questo riguardo papa Francesco ci dice molto chiaramente che non bisogna aspettarsi dopo l’ultimo Sinodo che ci sia ormai un regolamento nuovo applicabile in tutti i casi e che darebbe  alcuni permessi. Ci invita piuttosto, sempre nel rispetto per ogni coppia che è unica, ad impegnarci, noi preti, accompagnatori laici o religiosi, assieme alle coppie in questione, in un discernimento pastorale serio che porterebbe unicamente sul caso particolare di questa coppia per determinare se “in quelle circostanze concrete” questo si potrebbe fare. Ci sono dei parametri di cui tener conto in questo discernimento e il Papa li sviluppa in Amoris Laetitia. Ma sarebbero troppo lungo da esporre qui. Per la diocesi, il modo di procedere in quei casi sarà il seguente: quando una coppia e il suo accompagnatore/trice, dopo aver lungamente considerato  le circostanze particolari del suo caso, arriva alla conclusione che sarebbe forse possibile per loro ricevere i sacramenti, il prete o l’accompagnatore presenterà il caso al Vescovo che lo esaminerà con l’aiuto di una piccola commissione composta da persone di esperienza. E vedremo allora in ogni caso se c'è veramente possibilità oppure no. Questo permetterà di aiutarci a vicenda nell’esercizio di questo discernimento delicato e di evitare  insieme una chiusura sistematica e degli accomodamenti facili.

Il Papa raccomanda che questo discernimento si faccia nel quadro di un cammino di fede in ascolto della Parola di Dio come l’ho spiegato sopra. Perché allora, si farà nella pace e in una certa serenità indipendentemente dal risultato.
Grazie a tutti quelli e quelle che sono già in cammino.
Grazie a quelli e quelle che decideranno di mettersi in cammino.
Grazie a quelli e quelle che accompagnano già dei fratelli e sorelle divorziati o li accompagneranno presto.
Grazie veramente per questo cammino che fate già o che farete. Porterete molto alla Chiesa, perché le permetterete di ritrovare una certa umiltà, una fratellanza semplice e accogliente che è il proprio della nostra condizione di pellegrini chiamati a diventare umili testimoni della misericordia del Signore.

Aggiungo due commenti messi sul sito della diocesi da persone diverse (con una ortografia e una sintassi che dicono l’umiltà della loro condizione e suggeriscono la sincerità delle parole):
-Sono contenta che una tale decisione sia stata presa perché prima eravamo quasi rigettati.
-Dio mio … rendo grazie a Dio per queste Parole di Vangelo del nostro Vescovo che mi hanno fatto piangere… dieci anni già che sono divorziata e mi sono allontanata dalla Chiesa ma non dal nostro DIO. Questa sera leggendo questo testo mi sento rivivere e piena di speranza. Grazie mio Dio per i suoi apostoli che tu metti sempre sulla nostra strada.

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