Jean de la Lande e Isaac Jogues sono due gesuiti martirizzati nella prima evangelizzazione del Canada. |
Le letture della Messa di oggi mi invitano ad osare, ad andare oltre le mie sicurezze. Come Anania che deve andare dal nemico che lo vuole morto (Saulo) per fargli del bene, come Gesù che vuole che io mangi il suo corpo e il suo sangue. A proposito, se gli Ebrei si ribellano, sono sconvolti alla prospettiva di mangiare il corpo di Gesù e bere il suo sangue, e noi tutti, facciamo tante comunioni innocue e riduciamo spesso la Festa di Prima Comunione ad una coreografia sentimentale, non è forse che loro, gli Ebrei, hanno preso di petto quello che Gesù dice e noi l'abbiamo edulcorato?
Lascio che sia il testo della Gaudete et exsultate a fare da migliore commento alla liturgia di oggi.
Audacia e
fervore
129. Nello
stesso tempo, la santità è parresia: è audacia, è slancio
evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo. Perché ciò sia possibile,
Gesù stesso ci viene incontro e ci ripete con serenità e fermezza: «Non abbiate
paura» (Mc 6,50). «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine
del mondo» (Mt 28,20). Queste parole ci permettono di camminare e
servire con quell’atteggiamento pieno di coraggio che lo Spirito Santo
suscitava negli Apostoli spingendoli ad annunciare Gesù Cristo. Audacia,
entusiasmo, parlare con libertà, fervore apostolico, tutto questo è compreso
nel vocabolo parresia, parola con cui la Bibbia esprime anche la
libertà di un’esistenza che è aperta, perché si trova disponibile per Dio e per
i fratelli (cfr At 4,29; 9,28; 28,31; 2 Cor 3,12; Ef 3,12; Eb 3,6;
10,19).
131.
Guardiamo a Gesù: la sua compassione profonda non era qualcosa che lo
concentrasse su di sé, non era una compassione paralizzante, timida o piena di
vergogna come molte volte succede a noi, ma tutto il contrario. Era una
compassione che lo spingeva a uscire da sé con forza per annunciare, per
inviare in missione, per inviare a guarire e a liberare. Riconosciamo la nostra
fragilità ma lasciamo che Gesù la prenda nelle sue mani e ci lanci in missione.
Siamo fragili, ma portatori di un tesoro che ci rende grandi e che può rendere
più buoni e felici quelli che lo accolgono. L’audacia e il coraggio apostolico
sono costitutivi della missione.
132.
La parresia è sigillo dello Spirito, testimonianza
dell’autenticità dell’annuncio. E’ felice sicurezza che ci porta a gloriarci
del Vangelo che annunciamo, è fiducia irremovibile nella fedeltà del Testimone
fedele, che ci dà la certezza che nulla «potrà mai separarci dall’amore di Dio»
(Rm 8,39).
133. Abbiamo
bisogno della spinta dello Spirito per non essere paralizzati dalla paura e dal
calcolo, per non abituarci a camminare soltanto entro confini sicuri.
Ricordiamoci che ciò che rimane chiuso alla fine sa odore di umidità e ci fa
ammalare. Quando gli Apostoli provarono la tentazione di lasciarsi paralizzare
dai timori e dai pericoli, si misero a pregare insieme chiedendo la parresia:
«E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di
proclamare con tutta franchezza la tua parola» (At 4,29). E la
risposta fu che «quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano
radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola
di Dio con franchezza» (At 4,31).
134. Come il
profeta Giona, sempre portiamo latente in noi la tentazione di fuggire in un
luogo sicuro che può avere molti nomi: individualismo, spiritualismo, chiusura
in piccoli mondi, dipendenza, sistemazione, ripetizione di schemi prefissati,
dogmatismo, nostalgia, pessimismo, rifugio nelle norme. Talvolta facciamo
fatica ad uscire da un territorio che ci era conosciuto e a portata di mano.
Tuttavia, le difficoltà possono essere come la tempesta, la balena, il verme
che fece seccare il ricino di Giona, o il vento e il sole che gli scottarono la
testa; e come fu per lui, possono avere la funzione di farci tornare a quel Dio
che è tenerezza e che vuole condurci a un’itineranza costante e rinnovatrice.
135. Dio è
sempre novità, che ci spinge continuamente a ripartire e a cambiare posto per
andare oltre il conosciuto, verso le periferie e le frontiere. Ci conduce là
dove si trova l’umanità più ferita e dove gli esseri umani, al di sotto
dell’apparenza della superficialità e del conformismo, continuano a cercare la
risposta alla domanda sul senso della vita. Dio non ha paura! Non ha paura! Va
sempre al di là dei nostri schemi e non teme le periferie. Egli stesso si è
fatto periferia (cfr Fil 2,6-8; Gv 1,14). Per
questo, se oseremo andare nelle periferie, là lo troveremo: Lui sarà già lì.
Gesù ci precede nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua
vita oppressa, nella sua anima ottenebrata. Lui è già lì.
136. E’ vero
che bisogna aprire la porta a Gesù Cristo, perché Lui bussa e chiama (cfr Ap 3,20).
Ma a volte mi domando se, a causa dell’aria irrespirabile della nostra
autoreferenzialità, Gesù non starà bussando dentro di noi perché lo lasciamo
uscire. Nel Vangelo vediamo come Gesù «andava per città e villaggi, predicando
e annunciando la buona notizia del regno di Dio» (Lc 8,1). Anche
dopo la risurrezione, quando i discepoli partirono in ogni direzione, «il
Signore agiva insieme con loro» (Mc 16,20). Questa è la dinamica
che scaturisce dal vero incontro.
137.
L’abitudine ci seduce e ci dice che non ha senso cercare di cambiare le cose,
che non possiamo far nulla di fronte a questa situazione, che è sempre stato
così e che tuttavia siamo andati avanti. Per l’abitudine noi non affrontiamo più
il male e permettiamo che le cose “vadano come vanno”, o come alcuni hanno
deciso che debbano andare. Ma dunque lasciamo che il Signore venga a
risvegliarci!, a dare uno scossone al nostro torpore, a liberarci dall’inerzia!
Sfidiamo l’abitudinarietà, apriamo bene gli occhi e gli orecchi, e soprattutto
il cuore, per lasciarci smuovere da ciò che succede intorno a noi e dal grido
della Parola viva ed efficace del Risorto.
138. Ci
mette in moto l’esempio di tanti sacerdoti, religiose, religiosi e laici che si
dedicano ad annunciare e servire con grande fedeltà, molte volte rischiando la
vita e certamente a prezzo della loro comodità. La loro testimonianza ci
ricorda che la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di
missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita. I
santi sorprendono, spiazzano, perché la loro vita ci chiama a uscire dalla
mediocrità tranquilla e anestetizzante.
139.
Chiediamo al Signore la grazia di non esitare quando lo Spirito esige da noi
che facciamo un passo avanti; chiediamo il coraggio apostolico di comunicare il
Vangelo agli altri e di rinunciare a fare della nostra vita un museo di
ricordi. In ogni situazione, lasciamo che lo Spirito Santo ci faccia
contemplare la storia nella prospettiva di Gesù risorto. In tal modo la Chiesa,
invece di stancarsi, potrà andare avanti accogliendo le sorprese del Signore.
In comunità
140. E’
molto difficile lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie e
tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati. E’ tale il
bombardamento che ci seduce che, se siamo troppo soli, facilmente perdiamo il
senso della realtà, la chiarezza interiore, e soccombiamo.
141. La
santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due. Così lo rispecchiano
alcune comunità sante. In varie occasioni la Chiesa ha canonizzato intere
comunità che hanno vissuto eroicamente il Vangelo o che hanno offerto a Dio la
vita di tutti i loro membri. Pensiamo, ad esempio, ai sette santi fondatori
dell’Ordine dei Servi di Maria, alle sette beate religiose del primo monastero
della Visitazione di Madrid, a san Paolo Miki e compagni martiri in Giappone, a
sant’Andrea Taegon e compagni martiri in Corea, ai santi Rocco Gonzáles e
Alfonso Rodríguez e compagni martiri in Sud America. Ricordiamo anche la
recente testimonianza dei monaci trappisti di Tibhirine (Algeria), che si sono
preparati insieme al martirio. Allo stesso modo ci sono molte coppie di sposi
sante, in cui ognuno dei coniugi è stato strumento per la santificazione
dell’altro. Vivere e lavorare con altri è senza dubbio una via di crescita
spirituale. San Giovanni della Croce diceva a un discepolo: stai vivendo con
altri «perché ti lavorino e ti esercitino nella virtù».[104]
142. La
comunità è chiamata a creare quello «spazio teologale in cui si può
sperimentare la mistica presenza del Signore risorto».[105] Condividere
la Parola e celebrare insieme l’Eucaristia ci rende più fratelli e ci trasforma
via via in comunità santa e missionaria. Questo dà luogo anche ad autentiche
esperienze mistiche vissute in comunità, come fu il caso di san Benedetto e
santa Scolastica, o di quel sublime incontro spirituale che vissero insieme
sant’Agostino e sua madre santa Monica: «All’avvicinarsi del giorno in cui
doveva uscire di questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per
opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo
lei ed io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa
che ci ospitava […]. Aprivamo avidamente la bocca del cuore al getto superno
della tua fonte, la fonte della vita, che è presso di te […]. E mentre
parlavamo e anelavamo verso di lei [la Sapienza], la cogliemmo un poco con lo
slancio totale della mente [… così che] la vita eterna [somiglierebbe] a quel
momento d’intuizione che ci fece sospirare».[106]
143. Ma
queste esperienze non sono la cosa più frequente, né la più importante. La vita
comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in
qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani. Questo capitava
nella comunità santa che formarono Gesù, Maria e Giuseppe, dove si è
rispecchiata in modo paradigmatico la bellezza della comunione trinitaria. Ed è
anche ciò che succedeva nella vita comunitaria che Gesù condusse con i suoi
discepoli e con la gente semplice del popolo.
144.
Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai
particolari.
Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa.
Il piccolo particolare che mancava una pecora.
Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine.
Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda.
Il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano.
Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba.
Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa.
Il piccolo particolare che mancava una pecora.
Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine.
Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda.
Il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano.
Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba.
145. La
comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore,[107] dove
i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto
ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando
secondo il progetto del Padre. A volte, per un dono dell’amore del Signore, in
mezzo a questi piccoli particolari ci vengono regalate consolanti esperienze di
Dio: «Una sera d’inverno compivo come al solito il mio piccolo servizio, […] a
un tratto udii in lontananza il suono armonioso di uno strumento musicale:
allora mi immaginai un salone ben illuminato tutto splendente di ori, ragazze
elegantemente vestite che si facevano a vicenda complimenti e convenevoli
mondani; poi il mio sguardo cadde sulla povera malata che sostenevo; invece di
una melodia udivo ogni tanto i suoi gemiti lamentosi […]. Non posso esprimere
ciò che accadde nella mia anima, quello che so è che il Signore la illuminò con
i raggi della verità che superano talmente lo splendore tenebroso delle feste della
terra, che non potevo credere alla mia felicità».[108]
146. Contro
la tendenza all’individualismo consumista che finisce per isolarci nella
ricerca del benessere appartato dagli altri, il nostro cammino di
santificazione non può cessare di identificarci con quel desiderio di Gesù: che
«tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te» (Gv 17,21).
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