Vetrate di Yvetot - Discesa di Croce. |
La grande
regola di comportamento
95. Nel
capitolo 25 del vangelo di Matteo (vv. 31-46), Gesù torna a soffermarsi su una
di queste beatitudini, quella che dichiara beati i misericordiosi. Se cerchiamo
quella santità che è gradita agli occhi di Dio, in questo testo troviamo
proprio una regola di comportamento in base alla quale saremo giudicati: «Ho
avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere,
ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete
visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,35-36).
Per fedeltà
al Maestro
96. Essere
santi non significa, pertanto, lustrarsi gli occhi in una presunta estasi.
Diceva san Giovanni Paolo II che «se siamo ripartiti
davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto
nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi».[79] Il
testo di Matteo 25,35-36 «non è un semplice invito alla
carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero
di Cristo».[80] In
questo richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso
di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni
santo cerca di conformarsi.
98. Quando
incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso
sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente
ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia
coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche
un’immondizia che sporca lo spazio pubblico. Oppure posso reagire a partire
dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia
stessa dignità, una creatura infinitamente amata dal Padre, un’immagine di Dio,
un fratello redento da Cristo. Questo è essere cristiani! O si può forse
intendere la santità prescindendo da questo riconoscimento vivo della dignità
di ogni essere umano?[82]
99. Questo
implica per i cristiani una sana e permanente insoddisfazione. Anche se dare
sollievo a una sola persona già giustificherebbe tutti i nostri sforzi, ciò non
ci basta. I Vescovi del Canada lo hanno affermato chiaramente mostrando che,
negli insegnamenti biblici riguardo al Giubileo, per esempio, non si tratta
solo di realizzare alcune buone azioni, bensì di cercare un cambiamento
sociale: «Affinché anche le generazioni a venire fossero liberate, evidentemente
l’obiettivo doveva essere il ripristino di sistemi sociali ed economici giusti
perché non potesse più esserci esclusione».[83]
Le ideologie
che mutilano il cuore del Vangelo
100.
Purtroppo a volte le ideologie ci portano a due errori nocivi. Da una parte,
quello dei cristiani che separano queste esigenze del Vangelo dalla propria
relazione personale con il Signore, dall’unione interiore con Lui, dalla
grazia. Così si trasforma il cristianesimo in una sorta di ONG, privandolo di
quella luminosa spiritualità che così bene hanno vissuto e manifestato san
Francesco d’Assisi, san Vincenzo de Paoli, santa Teresa di Calcutta e molti
altri. A questi grandi santi né la preghiera, né l’amore di Dio, né la lettura
del Vangelo diminuirono la passione e l’efficacia della loro dedizione al
prossimo, ma tutto il contrario.
101. Nocivo
e ideologico è anche l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale
degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato,
immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre
cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una
ragione che essi difendono. La difesa dell’innocente che non è nato, per
esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la
dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al
di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già
nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella
tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati
di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto.[84] Non
possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo
mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria
vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la
loro vita passa e finisce miseramente.
102. Spesso
si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale,
sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni
cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della
bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si
può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di
mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai
suoi figli. Possiamo riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù
quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero (cfr Mt 25,35)?
San Benedetto lo aveva accettato senza riserve e, anche se ciò avrebbe potuto
“complicare” la vita dei monaci, stabilì che tutti gli ospiti che si
presentassero al monastero li si accogliesse «come Cristo»,[85] esprimendolo
perfino con gesti di adorazione,[86] e
che i poveri pellegrini li si trattasse «con la massima cura e sollecitudine».[87]
103.
Qualcosa di simile prospetta l’Antico Testamento quando dice: «Non molesterai
il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra
d’Egitto» (Es 22,20). «Il forestiero dimorante fra voi lo
tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché
anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto» (Lv 19,33-34).
Pertanto, non si tratta dell’invenzione di un Papa o di un delirio passeggero.
Anche noi, nel contesto attuale, siamo chiamati a vivere il cammino di
illuminazione spirituale che ci presentava il profeta Isaia quando si domandava
che cosa è gradito a Dio: «Non consiste forse nel dividere il pane con
l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che
vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come
l’aurora» (58,7-8).
Il culto che
Lui più gradisce
104.
Potremmo pensare che diamo gloria a Dio solo con il culto e la preghiera, o
unicamente osservando alcune norme etiche – è vero che il primato spetta alla
relazione con Dio –, e dimentichiamo che il criterio per valutare la nostra
vita è anzitutto ciò che abbiamo fatto agli altri. La preghiera è preziosa se
alimenta una donazione quotidiana d’amore. Il nostro culto è gradito a Dio
quando vi portiamo i propositi di vivere con generosità e quando lasciamo che
il dono di Dio che in esso riceviamo si manifesti nella dedizione ai fratelli.
105. Per la
stessa ragione, il modo migliore per discernere se il nostro cammino di
preghiera è autentico sarà osservare in che misura la nostra vita si va
trasformando alla luce della misericordia. Perché «la misericordia non è solo
l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri
figli».[88] Essa
è «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa».[89] Desidero
sottolineare ancora una volta che, benché la misericordia non escluda la
giustizia e la verità, «anzitutto dobbiamo dire che la misericordia è la
pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio».[90] Essa
«è la chiave del cielo».[91]
106. Non
posso tralasciare di ricordare quell’interrogativo che si poneva san Tommaso
d’Aquino quando si domandava quali sono le nostre azioni più grandi, quali sono
le opere esterne che meglio manifestano il nostro amore per Dio. Egli rispose
senza dubitare che sono le opere di misericordia verso il prossimo,[92] più
che gli atti di culto: «Noi non esercitiamo il culto verso Dio con sacrifici e
con offerte esteriori a vantaggio suo, ma a vantaggio nostro e del prossimo:
Egli infatti non ha bisogno dei nostri sacrifici, ma vuole che essi gli vengano
offerti per la nostra devozione e a vantaggio del prossimo. Perciò la
misericordia con la quale si soccorre la miseria altrui è un sacrificio a lui
più accetto, assicurando esso più da vicino il bene del prossimo».[93]
107. Chi
desidera veramente dare gloria a Dio con la propria vita, chi realmente anela a
santificarsi perché la sua esistenza glorifichi il Santo, è chiamato a
tormentarsi, spendersi e stancarsi cercando di vivere le opere di misericordia.
È ciò che aveva capito molto bene santa Teresa di Calcutta: «Sì, ho molte
debolezze umane, molte miserie umane. […] Ma Lui si abbassa e si serve di noi,
di te e di me, per essere suo amore e sua compassione nel mondo, nonostante i
nostri peccati, nonostante le nostre miserie e i nostri difetti. Lui dipende da
noi per amare il mondo e dimostrargli quanto lo ama. Se ci occupiamo troppo di
noi stessi, non ci resterà tempo per gli altri».[94]
108. Il
consumismo edonista può giocarci un brutto tiro, perché nell’ossessione di
divertirsi finiamo con l’essere eccessivamente concentrati su noi stessi, sui
nostri diritti e nell’esasperazione di avere tempo libero per godersi la vita.
Sarà difficile che ci impegniamo e dedichiamo energie a dare una mano a chi sta
male se non coltiviamo una certa austerità, se non lottiamo contro questa
febbre che ci impone la società dei consumi per venderci cose, e che alla fine
ci trasforma in poveri insoddisfatti che vogliono avere tutto e provare tutto.
Anche il consumo di informazione superficiale e le forme di comunicazione
rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via
tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli. In
mezzo a questa voragine attuale, il Vangelo risuona nuovamente per offrirci una
vita diversa, più sana e più felice.
* * *
109. La
forza della testimonianza dei santi sta nel vivere le Beatitudini e la regola
di comportamento del giudizio finale. Sono poche parole, semplici, ma pratiche
e valide per tutti, perché il cristianesimo è fatto soprattutto per essere
praticato, e se è anche oggetto di riflessione, ciò ha valore solo quando ci
aiuta a vivere il Vangelo nella vita quotidiana. Raccomando vivamente di
rileggere spesso questi grandi testi biblici, di ricordarli, di pregare con
essi e tentare di incarnarli. Ci faranno bene, ci renderanno genuinamente
felici.
Nessun commento:
Posta un commento