Avitien, 3° vescovo di Rouen, è uno dei sei padri del Concilio di Arles, nel 314. |
In preghiera
costante
147. Infine,
malgrado sembri ovvio, ricordiamo che la santità è fatta di apertura abituale
alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione. Il santo è
una persona dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio. E’ uno
che non sopporta di soffocare nell’immanenza chiusa di questo mondo, e in mezzo
ai suoi sforzi e al suo donarsi sospira per Dio, esce da sé nella lode e
allarga i propri confini nella contemplazione del Signore. Non credo nella
santità senza preghiera, anche se non si tratta necessariamente di lunghi
momenti o di sentimenti intensi.
148. San
Giovanni della Croce raccomandava di «procurare di stare sempre alla presenza
di Dio, sia essa reale o immaginaria o unitiva, per quanto lo comporti
l’attività».[109] In
fondo è il desiderio di Dio che non può fare a meno di manifestarsi in qualche
modo attraverso la nostra vita quotidiana: «Sia assiduo all’orazione senza
tralasciarla neppure in mezzo alle occupazioni esteriori. Sia che mangi o beva,
sia che parli o tratti con i secolari o faccia qualche altra cosa, desideri
sempre Dio tenendo in Lui l’affetto del cuore».[110]
150. In tale
silenzio è possibile discernere, alla luce dello Spirito, le vie di santità che
il Signore ci propone. Diversamente, tutte le nostre decisioni potranno essere
soltanto “decorazioni” che, invece di esaltare il Vangelo nella nostra vita, lo
ricopriranno e lo soffocheranno. Per ogni discepolo è indispensabile stare con
il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui, imparare sempre. Se non ascoltiamo,
tutte le nostre parole saranno unicamente rumori che non servono a niente.
151.
Ricordiamo che «è la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che
ricompone la nostra umanità, anche quella frammentata per le fatiche della
vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di
Cristo».[113]
Dunque mi permetto di chiederti: ci sono momenti in cui ti poni alla sua
presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui?
Lasci che il suo fuoco infiammi il tuo cuore? Se non permetti che Lui alimenti
in esso il calore dell’amore e della tenerezza, non avrai fuoco, e così come
potrai infiammare il cuore degli altri con la tua testimonianza e le tue
parole? E se davanti al volto di Cristo ancora non riesci a lasciarti guarire e
trasformare, allora penetra nelle viscere del Signore, entra nelle sue piaghe,
perché lì ha sede la misericordia divina.[114]
152. Prego
tuttavia che non intendiamo il silenzio orante come un’evasione che nega il
mondo intorno a noi. Il “pellegrino russo”, che camminava in preghiera
continua, racconta che quella preghiera non lo separava dalla realtà esterna:
«Se mi capitava di incontrare qualcuno, tutte quelle persone senza distinzione
mi parevano altrettanto amabili che se fossero state della mia famiglia. […]
Non solo sentivo questa luce dentro la mia anima, ma anche il mondo esterno mi
appariva bellissimo e incantevole».[115]
153. Nemmeno
la storia scompare. La preghiera, proprio perché si nutre del dono di Dio che
si riversa nella nostra vita, dovrebbe essere sempre ricca di memoria. La
memoria delle opere di Dio è alla base dell’esperienza dell’alleanza tra Dio e
il suo popolo. Se Dio ha voluto entrare nella storia, la preghiera è intessuta
di ricordi. Non solo del ricordo della Parola rivelata, bensì anche della
propria vita, della vita degli altri, di ciò che il Signore ha fatto nella sua
Chiesa. E’ la memoria grata di cui pure parla sant’Ignazio di Loyola nella sua
«Contemplazione per raggiungere l’amore»,[116] quando
ci chiede di riportare alla memoria tutti i benefici che abbiamo ricevuto dal
Signore. Guarda la tua storia quando preghi e in essa troverai tanta
misericordia. Nello stesso tempo questo alimenterà la tua consapevolezza del
fatto che il Signore ti tiene nella sua memoria e non ti dimentica mai. Di
conseguenza ha senso chiedergli di illuminare persino i piccoli dettagli della
tua esistenza, che a Lui non sfuggono.
154. La
supplica è espressione del cuore che confida in Dio, che sa che non può farcela
da solo. Nella vita del popolo fedele di Dio troviamo molte suppliche piene di
tenerezza credente e di profonda fiducia. Non togliamo valore alla preghiera di
domanda, che tante volte ci rasserena il cuore e ci aiuta ad andare avanti
lottando con speranza. La supplica di intercessione ha un valore particolare,
perché è un atto di fiducia in Dio e insieme un’espressione di amore al
prossimo. Alcuni, per pregiudizi spiritualisti, pensano che la preghiera
dovrebbe essere una pura contemplazione di Dio, senza distrazioni, come se i
nomi e i volti dei fratelli fossero un disturbo da evitare. Al contrario, la
realtà è che la preghiera sarà più gradita a Dio e più santificatrice se in
essa, con l’intercessione, cerchiamo di vivere il duplice comandamento che ci
ha lasciato Gesù. L’intercessione esprime l’impegno fraterno con gli altri
quando in essa siamo capaci di includere la vita degli altri, le loro angosce
più sconvolgenti e i loro sogni più belli. Di chi si dedica generosamente a
intercedere si può dire con le parole bibliche: «Questi è l’amico dei suoi
fratelli, che prega molto per il popolo» (2 Mac 15,14).
155. Se
veramente riconosciamo che Dio esiste, non possiamo fare a meno di adorarlo, a
volte in un silenzio colmo di ammirazione, o di cantare a Lui con lode festosa.
Così esprimiamo ciò che viveva il beato Charles de Foucauld quando disse:
«Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che
vivere solo per Lui».[117] Anche
nella vita del popolo pellegrinante ci sono molti gesti semplici di pura
adorazione, come ad esempio quando «lo sguardo del pellegrino si posa su
un’immagine che simboleggia la tenerezza e la vicinanza di Dio. L’amore si
ferma, contempla il mistero, lo gusta in silenzio».[118]
156. La
lettura orante della Parola di Dio, più dolce del miele (cfr Sal 119,103)
e «spada a doppio taglio» (Eb 4,12) ci permette di rimanere in
ascolto del Maestro affinché sia lampada per i nostri passi, luce sul nostro
cammino (cfr Sal 119,105). Come ci hanno ben ricordato i
Vescovi dell’India, «la devozione alla Parola di Dio non è solo una delle tante
devozioni, una cosa bella ma facoltativa. Appartiene al cuore e all’identità
stessa della vita cristiana. La Parola ha in sé la forza per trasformare la
vita».[119]
157. L’incontro con Gesù nelle Scritture ci conduce all’Eucaristia, dove la
stessa Parola raggiunge la sua massima efficacia, perché è presenza reale di
Colui che è Parola vivente. Lì l’unico Assoluto riceve la più grande adorazione
che si possa dargli in questo mondo, perché è Cristo stesso che si offre. E
quando lo riceviamo nella comunione, rinnoviamo la nostra alleanza con Lui e
gli permettiamo di realizzare sempre più la sua azione trasformante
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