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giovedì 10 novembre 2016

LA MIA VISIONE PER UNA CULTURA DELLA VITA

«La mia visione per una cultura della vita». La lettera pro life di Trump
In un momento in cui il mondo si interroga sul suo futuro con Donald Trump presidente, mi è capitato di leggere sul blog di Costanza Miriano questo testo con le note del traduttore, ripresi dal blog "La bussola quotidiana". Questo testo ha ritenuto la mia attenzione. 
Mi sembra molto importante nella semplicità e solidità del ragionamento e anche nelle osservazioni contenute nelle note che spiegano come si è giunti alla tragedia dell'aborto legalizzato in tutti gli Stati Uniti e poi propagandato in tutto il mondo.

Quello che segue sotto è stato ripreso dal blog di Costanza Miriano.

"Anche noi pensiamo come madre Teresa che uno, una, che non è capace di difendere la vita quando è più debole e indifesa, cioè il diritto più elementare, non potrà avere a cuore davvero i diritti di tutti. ... Donald Trump ha avuto il merito di riportare nella campagna elettorale il tema della vita fino ad attaccare pubblicamente e duramente il suo avversario (una donna finanziata da Planned parenthood, struttura che produce aborti a ritmo industriale), sulla sua posizione più estrema: l’aborto a nascita parziale cioè la soppressione del bambino fino al nono mese di gravidanza.
La Clinton considera ancora le religioni “strutture profonde che vanno scardinate”, magari con una nuova primavera (con una di quelle operazioni di cui gli Usa sono maestri nel mondo)."
***
Questo è il breve ma incisivo articolo del neo-eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump pubblicato sul quotidiano Washington Examiner il 23 gennaio scorso, con il titolo «My vision for a culture of life» e letteralmente ignorato dalla stampa.
di Donald Trump 
Consentitemi di essere chiaro. Io sono per il diritto alla vita. Ho questa posizione pur ammettendo
eccezioni in casi di stupro, incesto o quando è a rischio la vita della madre. Non ho sempre sostenuto questa posizione, ma una esperienza personale assai significativa mi ha portato a riconsiderare il prezioso dono della vita. L’aneddoto è ben documentato e quindi non lo racconterò di nuovo ora (1). Tuttavia, nello spazio che mi rimane, voglio esprimere ciò che provo nei confronti della vita e della cultura della vita proprio mentre cade il 43° anniversario del caso Roe v. Wade (2).
Io sono un costruttore. Per costruire bisogna seguire un metodo. Ci si serve di molte discipline di cui l’ingegneria è una delle più importanti. Le regole per assemblare le strutture sono molto rigide proprio come lo sono le regole della fisica. Le regole hanno superato la prova del tempo e sono diventate il modo per assembleare strutture che durano e sono belle. Gli Stati Uniti, quando sono al loro meglio, seguono un insieme di regole che funzionano sin dall’epoca della nostra Fondazione. Una di queste regole è che noi, come Americani, onoriamo la vita e questo abbiamo fatto sin da quando i nostri Fondatori ne hanno fatto il primo, e il più importante, dei nostri diritti «inalienabili» (3).
Con il tempo la cultura della vita in questo Paese ha preso a scivolare verso una cultura della morte. La prova forse più decisiva su cui si regge quest’affermazione è che dalla sentenza Roe v. Wade della Corte Suprema 43 anni fa, più di 50 milioni di Americani non hanno avuto la possibilità di godere delle opportunità offerte da questo Paese. Non hanno avuto la possibilità di diventare dottori, musicisti, agricoltori, insegnanti, mariti, padri, figli e figlie. Non hanno avuto la possibilità di arricchire la cultura di questa nazione o di portare i loro talenti, esistenze, affetti o passioni al tessuto di questo Paese. Mancano e ci mancano.
Nel 1973 la Corte Suprema fondò la sua decisione immaginando diritti e libertà che nella Costituzione non ci sono da nessuna parte. Se prendessimo per vera la parola di quel tribunale, ovvero che l’aborto sia una questione di privacy, dovremmo logicamente concludere che è il denaro privato quello che deve finanziare questa scelta e non il mezzo miliardo di dollari erogato ogni anno dal Congresso federale ai procuratori di aborti. Il finanziamento pubblico dei procuratori di aborti è per lo meno un insulto alle persone di coscienza e al meglio un affronto alla buona governance.
Inoltre, come se usare il denaro dei contribuenti per agevolare il nostro scivolare verso una cultura di morte non fosse abbastanza, la sentenza del 1973 è diventata una pietra miliare nel dimostrare l’assoluto disprezzo che la Corte ha per il federalismo e il Decimo Emendamento (4). Roe v. Wade ha infatti dato alla Corte Suprema una scusa per smantellare le decisioni prese dalle assemblee legislative dei diversi Stati dell’Unione e dal voto popolare. Un modo di fare che da allora la Corte ha ripetuto mille volte. Roe v. Wade è quindi diventata un altro fattore di scollamento tra il popolo e il suo governo.
Siamo nel pieno di un ciclo politico presidenziale e si voterà fra pochi giorni. I cittadini di questa nazione avranno la possibilità di votare per il candidato che collima con la loro visione personale del mondo. Spero che sceglieranno il costruttore, l’uomo che ha la capacità d’immaginare la grandezza di questa nazione. Il prossimo presidente dovrà seguire i princìpi che meglio funzionano e che rafforzano la venerazione che gli Americani hanno nei confronti della vita. Una cultura della vita è troppo importante perché la si lasci eclissare per convenienza o correttezza politica. È preservando la nostra cultura della vita che Faremo Grande Ancora l’America.

Note del traduttore Marco Respinti (in verità ho ripreso io la traduzione dall'originale del Washington Examiner e per chi vuole ho ricopiato sotto il testo originale. Invece le note sono di Marco Respinti) 
(1) Il 6 agosto 2015, durante il primo dibattito pubblico tra i candidati del Partito Repubblicano nelle primarie, rispondendo a una domanda relativa alle sue precedenti posizioni filoabortiste e sul cambiamento poi intercorso, Trump ha raccontato: «E quel che è successo è che anni fa dei miei amici aspettavano un bambino e che quel bambino avrebbe dovuto essere abortito. E invece non è stato abortito. E oggi quel bambino è una superstar assoluta, un bambino grande, davvero grande. E io questo l’ho visto. E ho visto altre cose così. E sono molto, molto orgoglioso di dire che io sono per il diritto alla vita».
(2) Il 22 gennaio 1973 la Corte Suprema federale concluse il caso Roe v. Wade con una sentenza che cancellò le precedenti norme a difesa della vita umana nascente approvate e vigenti nei singoli Stati dell’Unione, legalizzando così l’aborto in tutto il Paese. Il mondo pro-life considera la sentenza un abuso giacché la Corte Suprema, come sancisce la Costituzione federale, non ha alcun potere di legiferare, ma solo quello di vigilare sulla costituzionalità delle leggi e di esprimersi negli ambiti strettamente costituzionali dei casi che è chiamata a giudicare. Del resto, il caso Roe v. Wade si fonda su una grande menzogna: una ragazza dall’adolescenza rovinata, lesbica, coperta da anonimato, “Jane Roe”, alla terza gravidanza indesiderata, s’inventò di essere rimasta incinta a causa di uno stupro. Supportata da alcune avvocatesse fortemente politicizzate, “Jane” adì il Tribunale distrettuale del Texas e dopo tre anni giunse alla Corte Suprema. Intanto quel suo terzogenito era nato, era stato dato come gli altri due in adozione e “Jane” cambiò la versione dei fatti invocando la necessità dell’aborto a causa dello stato di povertà e di depressione in cui viveva. Anni dopo “Jane” rivelò di essere Norma Leah Nelson McCorvey: accadde quando si convertì prima al protestantesimo e poi al cattolicesimo con don Frank A. Pavone, che oggi è uno dei consiglieri cattolici di Trump.
(3) Sono le parole del preambolo della Dichiarazione d’indipendenza del 1776: «Noi asseriamo che queste verità sono per se stesse evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di determinati diritti inalienabili, che tra questi vi sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità».
(4) Il Decimo Emendamento alla Costituzione federale degli Stati Uniti, l’ultimo di quelli approvati nel 1791 e noti come Bill of Rights, sancisce che i poteri non delegati dalla Costituzione al governo federale o da essa non vietati agli Stati sono riservati agli Stati o al popolo.


Donald Trump op-ed: My vision for a culture of life

By DONALD J. TRUMP  1/23/16 10:13 AM
Let me be clear — I am pro-life. I support that position with exceptions allowed for rape, incest or the life of the mother being at risk. I did not always hold this position, but I had a significant personal experience that brought the precious gift of life into perspective for me. My story is well documented, so I will not retell it here. However, what I will do with the remaining space is express my feelings about life, and the culture of life, as we just marked the 43rd anniversary of Roe v. Wade.
I build things. There is a process involved in building things. We tap into a lot of disciplines with engineering being one of the most important. The rules for putting structures together are as strict as are the rules of physics. These rules have stood the test of time and have become the path to putting together structures that endure and are beautiful. America, when it is at its best, follows a set of rules that have worked since our Founding. One of those rules is that we, as Americans, revere life and have done so since our Founders made it the first, and most important, of our "unalienable" rights.
Over time, our culture of life in this country has started sliding toward a culture of death. Perhaps the most significant piece of evidence to support this assertion is that since Roe v. Wade was decided by the Supreme Count 43 years ago, over 50 million Americans never had the chance to enjoy the opportunities offered by this country. They never had the chance to become doctors, musicians, farmers, teachers, husbands, fathers, sons or daughters. They never had the chance to enrich the culture of this nation or to bring their skills, lives, loves or passions into the fabric of this country. They are missing, and they are missed.
The Supreme Court in 1973 based its decision on imagining rights and liberties in the Constitution that are nowhere to be found. Even if we take the court at its word, that abortion is a matter of privacy, we should then extend the argument to the logical conclusion that private funds, then, should subsidize this choice rather than the half billion dollars given to abortion providers every year by Congress. Public funding of abortion providers is an insult to people of conscience at the least and an affront to good governance at best.
If using taxpayer money to facilitate our slide to a culture of death were not enough, the 1973 decision became a landmark decision demonstrating the utter contempt the court had for federalism and the 10th Amendment. Roe v. Wade gave the court an excuse to dismantle the decisions of state legislatures and the votes of the people. This is a pattern that the court has repeated over and over again since that decision. Roe v. Wade became yet another incidence of disconnect between the people and their government.
We are in the middle of a presidential political cycle and votes will be cast in just days. The citizens of this nation will have the chance to vote for candidates who are aligned with their individual worldviews. It is my hope that they will choose the builder, the man who has the ability to imagine the greatness of this nation. The next president must follow those principles that work best and that reinforce the reverence Americans hold for life. A culture of life is too important to let slip away for convenience or political correctness. It is by preserving our culture of life that we will Make America Great Again.


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