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venerdì 26 giugno 2020

LE VERE CATENE / venerdì XII sett. T.O.


I figli di Sedecia vengono sgozzati in sua presenza. - Gustave Doré.
Gesù guarisce un lebbroso e gli raccomanda: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro». 
Sappiamo che Gesù non vuole pubblicità per sé e non vuole essere frainteso sul suo ruolo che non è di trionfare in questo mondo ma di portare la logica alternativa del Regno di Dio, quella dell’amore crocifisso. Ma Gesù non difende solo se stesso con questa raccomandazione al lebbroso. Preserva anche il lebbroso, indicandogli di seguire la via normale di tutti quelli che hanno avuto la grazia o la fortuna di guarire da quel terribile morbo. Nessuno sfruttamento dell’accaduto per altri fini.
Infatti quello che salva davvero il lebbroso non è di essere guarito ma di avere fiducia in Dio, di stabilire con Dio un rapporto di amore. La guarigione fisica è solo un segno, importantissimo, di questo amore. Lo stesso vale per tutta la società che si trasforma solo con la fiducia nell'amore di Dio.
Farne troppa pubblicità allontanerebbe l’uomo guarito dalla sua propria interiorità dove incontra Dio, forse lo esporrebbe al vantarsi, al mettersi al centro dell’attenzione, oppure, se è fragile e debole, ad essere manipolato da altri, a non reggere la pressione. Un conto è testimoniare con coraggio, un conto è privilegiare l’esteriorità.
Sedecìa, invece, in balia delle correnti opposte filo babilonese e filo egiziana della sua Corte, impone a tutta la popolazione di Gerusalemme, in particolare ai più poveri, due anni di assedio durissimo, in cui si muore di fame, con tutto ciò che questo comporta.  Eppure Geremia gli da consigli di saggezza che potrebbero salvare lui e i tanti innocenti del popolo. Ma ascoltare la voce di Dio attraverso il profeta non salverebbe l’orgoglio di Sedecìa, e richiederebbe più coraggio che di fare la fuga in avanti. Alla fine, come già anticipato ieri, l’orgoglio di Sedecìa sarà punito e calpestato in modo terribile e la sua fuga in avanti non salverà nessuno. Nella sua paura di perdere la libertà e la vita è già prigioniero di catene pesantissime e condannato a morte. 

Prima Lettura  2 Re 25, 1-12
Giuda fu deportato dalla sua terra.
Dal secondo libro dei Re
Nell’anno nono del regno di Sedecìa, nel decimo mese, il dieci del mese, Nabucodònosor, re di Babilonia, con tutto il suo esercito arrivò a Gerusalemme, si accampò contro di essa e vi costruirono intorno opere d'assedio. La città rimase assediata fino all’undicesimo anno del re Sedecìa.
Al quarto mese, il nove del mese, quando la fame dominava la città e non c’era più pane per il popolo della terra, fu aperta una breccia nella città. Allora tutti i soldati fuggirono di notte per la via della porta tra le due mura, presso il giardino del re, e, mentre i Caldèi erano intorno alla città, presero la via dell'Aràba.
I soldati dei Caldèi inseguirono il re e lo raggiunsero nelle steppe di Gerico, mentre tutto il suo esercito si disperse, allontanandosi da lui. Presero il re e lo condussero dal re di Babilonia a Ribla; si pronunciò la sentenza su di lui. I figli di Sedecìa furono ammazzati davanti ai suoi occhi; Nabucodònosor fece cavare gli occhi a Sedecìa, lo fece mettere in catene e lo condusse a Babilonia.
Il settimo giorno del quinto mese – era l’anno diciannovesimo del re Nabucodònosor, re di Babilonia – Nabuzaradàn, capo delle guardie, ufficiale del re di Babilonia, entrò in Gerusalemme. Egli incendiò il tempio del Signore e la reggia e tutte le case di Gerusalemme; diede alle fiamme anche tutte le case dei nobili. Tutto l’esercito dei Caldèi, che era con il capo delle guardie, demolì le mura intorno a Gerusalemme.
Nabuzaradàn, capo delle guardie, deportò il resto del popolo che era rimasto in città, i disertori che erano passati al re di Babilonia e il resto della moltitudine. Il capo delle guardie lasciò parte dei poveri della terra come vignaioli e come agricoltori.  

Salmo Responsoriale
   Dal Salmo 136
Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo.

Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.
Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».
Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.
Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.  

Canto al Vangelo 
 Mt 8,17 
Alleluia, alleluia.

Cristo ha preso le nostre infermità
e si è caricato delle nostre malattie.
Alleluia.

Vangelo  
 
Mt 8, 1-4
Se vuoi, puoi purificarmi.

Dal vangelo secondo Matteo
Quando Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì.
Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi».
Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita.
Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».
 

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