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mercoledì 21 settembre 2016

SAN MATTEO, DA SPIETATO SFRUTTATORE A SANTO

"Misereando atque eligendo". Tutti abbiamo imparato a conoscere questa frase latina o la sua traduzione italiana: “Gli fece misericordia e lo scelse”. È la frase che papa Francesco sentì come espressione della sua vocazione e che prese come motto da vescovo e quindi oggi da papa. L’autore di questa frase la riferisce alla conversione di san Matteo.

Il Vangelo di oggi esprime infatti tutta la premura di Gesù per i peccatori ai quali si avvicina da amico che condivide i loro pasti (duramente criticato dai ben pensanti che ne sono scandalizzati), da medico che fascia le loro ferite, da inviato di quel Dio che vuole misericordia e non sacrifici.
È tutto lì “l’Ospedale da Campo” che salva le vite ferite senza chiedere sforzi, di cui parla papa Francesco presentandolo come ideale della Chiesa. La Chiesa porta la grazia e la misericordia di Dio, tutta la forza del kerigma, perché ne vive, ne è stata generata e costantemente rigenerata nelle sue membra e nella sua stessa natura.


La lettera agli Efesini che la Chiesa ha scelto per illustrare ancora il percorso di san Matteo invece sembra presentare un quadro ben diverso: voi cristiani “comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. Chi ci riesce? Come ha fatto Matteo a cambiare così radicalmente?

Dopo l’accoglienza tutto sorrisi, ci dicono che le esigenze della vita cristiana comportano sforzi sovrumani,  insopportabili? Siamo stati ingannati? Oppure dopo l’accoglienza sincera e incondizionata, chi vuole perseverare deve fare una crescita accelerata di cui non siamo stati capaci, e ci rimane solo di andare via, mesti, perché abbiamo scoperto dopo l’ultima opportunità che ci è stata concessa e ci ha dato speranza che siamo radicalmente falliti (almeno io, ma conosco un sacco di cristiani e cristiane invecchiati che sentano quanto manca loro crudelmente pazienza, umiltà dolcezza e magnanimità, ecc., ecc.)?
Cos’è che non ha funzionato?

Quella di san Paolo è un’esortazione, non un imperativo. Cioè “provaci ancora ragazzo, forse sarai più fortunato questa volta”. Triste consolazione. Andare avanti con l’ideale sempre fuori dalla tua portata.

Non può essere questo. Deve essere possibile essere cristiani. Altrimenti dobbiamo dare retta a Maometto. Una prospettiva non certo molto allegra quando hai gustato la bellezza del Vangelo.

La condizione del successo, che dimentichiamo continuamente è proprio il kerigma, cioè la speranza alla quale siamo stati chiamati, la promessa di Dio di colmare i nostri cuori e superare in pienezza tutti i nostri desideri. Al punto che vale la pena lasciar perdere tutto il resto. La testimonianza maggiore che un cristiano può dare al mondo non è il suo sforzo, ma il grido che conclude la Bibbia: “Maranathà!” Vieni Signore! Fratello, non ti preoccupare, il Signore viene (Maran Atha), è fedele, asciugherà ogni lacrima, sei salvato.

Se non sono più attaccato a nulla, non ho più paura di essere defraudato, di fallire e risultare insufficiente, è molto più facile essere tranquillo, non litigioso, comprensivo con gli altri, dare il proprio tempo o il proprio servizio, anche quando non viene valutato, prendersi cura, camminare al passo dell’altro e offrire con gratuità.

Questa è la natura e la forza del Cristianesimo e della Chiesa. Soltanto per incarnare la forza della sua grazia, usandoci misericordia, Dio ci ha scelti. Non per torturarci con gli scrupoli. Questo ci manca, tenere fisso lo sguardo e il cuore su Gesù, amico degli uomini, fratello compassionevole, autore e perfezionatore della fede. Il moralismo non ha mai salvato nessuno e ancora meno i muri delle tradizioni cristiane. "Dio vuole solo l'abbandono e la gratitudine" (Santa Teresina - che non era una pappa molle).


Prima Lettura  Ef 4, 1-7. 11-13
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.

Vangelo  Mt 9, 9-13
In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». 


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