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sabato 3 settembre 2016

GREGORIO MAGNO PAPA E DOTTORE DELLA CHIESA

con ringraziamenti al Sito Maranathà
Oggi la Chiesa ricorda papa Gregorio (540 – 604). Fu un uomo veramente mirabile, una personalità che conquista per la forza e l’amabilità del carattere. Sebbene esile e sovente malato, in lui l’immensità del cuore e lo spirito cristiano sostenevano tutto. Nato dalla famiglia senatoriale degli Anicii, fu prima Prefetto di Roma, poi, verso i 35 anni, divenne monaco, appassionato della contemplazione dei misteri di Dio nella lettura della Bibbia. Mandato dal Papa come suo rappresentante a Costantinopoli, vi restò sei anni, monaco in mezzo alla corte. Tornato a Roma e eletto Papa, il 3-IX-590, si dimostrò uomo di azione, pratico e intraprendente (chiamato per questo motivo «l’ultimo dei Romani»), attento a tutte le necessità. Fu amministratore avveduto ed energico, sia nelle cose sociali e politiche in tempi particolarmente bui e convulsi, per provvedere alle popolazioni bisognose di aiuto e di protezione e abbandonate dal potere politico, sia nelle questioni interne della Chiesa universale. Fu sollecito particolarmente dell’Italia provata da alluvioni, carestie, pestilenze, incursioni dei Longobardi che rapivano, portavano via le persone per venderle schiave, ecc.. Di questi avviò la conversione e mandò missionari in Inghilterra. Riorganizzò a fondo la liturgia romana, e promosse il canto tipicamente liturgico che da lui si chiama «gregoriano».
Mistico originale e personale (pur riallacciandosi a sant’Agostino), lo si scopre oggi più teologo di quanto non sembri a prima lettura dei suoi scritti, che hanno avuto un profondo influsso sulla spiritualità medievale. Egli è uno dei quattro grandi «dottori» della Chiesa occidentale. Ha parlato e scritto molto sul mistero della Parola di Dio.

Tra papa Gregorio e papa Francesco troviamo molte corrispondenze: un papato immenso in un tempo relativamente breve (14 anni), un radicamento profondo nella Parola di Dio, da innamorato (vd. prima lettura: "imparate a stare a ciò che è scritto"), un parlare semplice che si rivela profondo, un coinvolgimento incisivo in faccende di popoli e governi pur non avendo nessuna ambizione o progetto politico ma solo quello del bene dei poveri e del portare la Buona Notizia a tutti gli uomini, una grande umiltà e dolcezza che non è mancanza di fermezza e di convinzioni, una fiducia invincibile nella forza del Cristianesimo, la capacità di distaccarsi da forme e regole spirituali buone per fare strettamente la volontà di Dio (Omelia sotto, e Vangelo di oggi), la capacità di non usare l’argomento di autorità anche quando si potrebbe, ma di reagire con l’umiltà di Cristo (prima lettura): infatti l’espressione “Servo dei Servi di Dio” con la quale d'ora in poi si firmeranno tutti i papi di Roma fu "inventata" da papa Gregorio come risposta al Patriarca di Costantinopoli che si diede il titolo di “Ecumenico” cioè “Universale”. Questa mossa del Patriarca era come dire al papa di Roma: l’Imperatore vive ormai a Costantinopoli, quindi sono io il vero papa dei cristiani.



Dalle «Omelie su Ezechiele» di san Gregorio Magno, papa (Lib. 1, 11, 4-6; CCL 142, 170-172)
Non risparmio me stesso nel parlare di Cristo
«Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele» (Ez 3, 16). E' da notare che quando il Signore manda uno a predicare, lo chiama col nome di sentinella. La sentinella infatti sta sempre su un luogo elevato, per poter scorgere da lontano qualunque cosa stia per accadere. Chiunque è posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza.
Come mi suonano dure queste parole che dico! Così parlando, ferisco me stesso, poiché né la mia lingua esercita come si conviene la predicazione, né la mia vita segue la lingua, anche quando questa fa quello che può.
Ora io non nego di essere colpevole, e vedo la mia lentezza e negligenza. Forse lo stesso riconoscimento della mia colpa mi otterrà perdono presso il giudice pietoso.
Certo, quando mi trovavo in monastero ero in grado di trattenere la lingua dalle parole inutili, e di tenere occupata la mente in uno stato quasi continuo di profonda orazione. Ma da quando ho sottoposto le spalle al peso dell'ufficio pastorale, l'animo non può più raccogliersi con assiduità in se stesso, perché è diviso tra molte faccende.
Sono costretto a trattare ora le questioni delle chiese, ora dei monasteri, spesso a esaminare la vita e le azioni dei singoli; ora ad interessarmi di faccende private dei cittadini; ora a gemere sotto le spade irrompenti dei barbari e a temere i lupi che insidiano il gregge affidatomi.
Ora debbo darmi pensiero di cose materiali, perché non manchino opportuni aiuti a tutti coloro che la regola della disciplina tiene vincolati. A volte debbo sopportare con animo imperturbato certi predoni, altre volte affrontarli, cercando tuttavia di conservare la carità.
Quando dunque la mente divisa e dilaniata si porta a considerare una mole così grande e così vasta di questioni, come potrebbe rientrare in se stessa, per dedicarsi tutta alla predicazione e non allontanarsi dal ministero della parola?
Siccome poi per necessità di ufficio debbo trattare con uomini del mondo, talvolta non bado a tenere a freno la lingua. Se infatti mi tengo nel costante rigore della vigilanza su me stesso, so che i più deboli mi sfuggono e non riuscirò mai a portarli dove io desidero. Per questo succede che molte volte sto ad ascoltare pazientemente le loro parole inutili. E poiché anch'io sono debole, trascinato un poco in discorsi vani, finisco per parlare volentieri di ciò che avevo cominciato ad ascoltare contro voglia, e di starmene piacevolmente a giacere dove mi rincresceva di cadere.
Che razza di sentinella sono dunque io, che invece di stare sulla montagna a lavorare, giaccio ancora nella valle della debolezza?
Però il creatore e redentore del genere umano ha la capacità di donare a me indegno l'elevatezza della vita e l'efficienza della lingua, perché, per suo amore, non risparmio me stesso nel parlare di lui. 

Prima Lettura
  1 Cor 4, 6-15
Fratelli, imparate [da me e da Apollo] a stare a ciò che è scritto, e non vi gonfiate d’orgoglio favorendo uno a scapito di un altro. Chi dunque ti dà questo privilegio? Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?
Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi. Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. 
Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.
Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo. 

Vangelo  
 Lc 6, 1-5
Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. 
Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?».
Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». 
E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato». 

1 commento:

  1. Quanta umiltà Sereno nelle tue parole,ci insegni che a volte anche ammettere i propri limiti è segno di umiltà. Grazie

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