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venerdì 9 settembre 2016

KERYGMA, CORREZIONE FRATERNA, CONVERSIONE - venerdì XXIII sett T.O.

Risurrezione - Agnani, S. Pietro in Vigneis
Nella prima lettura san Paolo annuncia la Buona Notizia dell’Amore incondizionato e misericordioso di Dio manifestato in Gesù Cristo incarnato, crocifisso e risorto. Questo è il suo culto spirituale, il suo dovere, la sua missione. Dio gliene ha dato l’incarico in modo imperativo. Egli non dimentica di attendere alla propria conversione, riducendo il proprio corpo “in schiavitù” per non essere uno che “dice e non fa”, uno che predica ciò che non vive.
Nel Vangelo Gesù nota che siamo propensi a correggere gli altri (anche quando non ne abbiamo ricevuto l’incarico) mentre trascuriamo di convertirci, predicando ciò che non viviamo.

Annunciare la Buona Notizia e fare la correzione fraterna sono due modi di evangelizzare, due dimensioni che non devono essere separate.
Se ti scopri intento a rilevare i difetti degli altri non dimenticare di annunciare loro la misericordia di Dio, il suo amore che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, e non tiene conto del male ricevuto.
Se sei uno che dice solo: “eh! non fa niente” e non ha mai la forza di dire di no, di correggere, forse non va bene neppure (o senza forse). In “Amoris Laetitia” il papa intitola il capitolo settimo: “rafforzare l’educazione dei figli” e parla al n. 268 del “valore della sanzione come stimolo”. In quel paragrafo dice: “Ugualmente, è indispensabile sensibilizzare il bambino e l’adolescente affinché si renda conto che le cattive azioni hanno delle conseguenze…”. E al n. 321, nel capitolo ottavo: “… Prendiamoci cura, sosteniamoci e stimoliamoci vicendevolmente, e viviamo tutto ciò come parte della nostra spiritualità familiare. La vita di coppia è una partecipazione alla feconda opera di Dio, e ciascuno è per l’altro una permanente provocazione dello Spirito.

Sia san Paolo che Gesù ci indicano però le condizioni dell'Evangelizzazione (vista come Annuncio del Kerygma della tenerezza di Dio e Correzione Fraterna): che colui che parla viva sinceramente di (si sforzi di conformare la propria condotta a) ciò che annuncia.
Anzi, nel suo ardore, san Paolo usa immagini e parole di impegno radicale. Con una comunità così problematica di “neonati in Cristo” ai quali “non è stato possibile dare cibo solido ma solo latte”, non sono forse parole troppo forti? E se Paolo ha ragione, papa Francesco non è forse troppo blando?

Ogni predicazione è “ad hominem”: rivolta da una persona ad altre persone in una data situazione. Purtroppo questo è ciò che non capiscono tanti critici di papa Francesco, anche quelli in buona fede. Per loro ogni frase sua riportata dai giornalisti (magari deformata) dovrebbe essere una formula dogmatica, valida per tutti i tempi e tutte le situazioni. Invece papa Francesco come tutti noi, ma ancor di più come Gesù nel Vangelo, parla secondo le circostanze e gli ascoltatori attingendo all’Universale, in una coerenza perfetta ma “poliedrica”. Così papa Francesco ha potuto dire ad una donna incita del settimo figlio dopo sei parti cesarei: “Vuoi fare dei tuoi figli degli orfani. Mica siamo conigli!” e dopo dire: “le famiglie numerose sono la gioia della Chiesa”. Padre Pio confessando rifiutava il 30 % delle volte di dare l’assoluzione. Ma vedendo gli altri padri cappuccini del suo convento imitare i suoi modi glielo vietava. “Non siete Padre Pio, agendo così non fareste altro che scimmiottarmi”. San Leopoldo Mandic era anch’egli un cappuccino vissuto nel XX° secolo, anch’egli un grande confessore con tanti frutti mirabili: annunciò che i bombardamenti della seconda guerra mondiale non avrebbero distrutto la stanza dove egli confessava perché, lì, il Signore aveva fatto troppo bene, e la profezia si avverò come possono costatare i pellegrini a Padova. Ebbene, in vita sua negò solo tre volte l’assoluzione durante una confessione.
Chi apprezza la dolcezza di papa Francesco, sa che, con amore e tenerezza, non nasconde nulla della verità.

Ma se Paolo (e Gesù, ecc.) parlano a persone e in circostanze concrete, come, dopo 2000 anni, può riguardarmi un brano della Scrittura? Da queste riflessioni comprendiamo ancora di più quanto per l’ascolto della Parola è necessario l’invocare lo Spirito Santo che rende questa Parola viva per me oggi e scruta i reni e i cuori. Ancora, è necessario avere sempre presente l’Unità poliedrica della Scrittura: Colui che disse: “riduco in schiavitù il mio corpo per paura di essere squalificato” è lo stesso che disse: “nella casa di mio Padre ci sono molti posti, se no, ve lo avrei detto” e ancora rispose al brigante giustamente crocifisso accanto a lui per i suoi peccati e che lo invocava: “oggi sarai con me in paradiso”

E noi? Con tanta gioia e fiducia sforziamoci sempre di entrare per la porta stretta.



Prima Lettura   1 Cor 9, 16-19.22b-27
Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.
Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. 
Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato.

Canto al Vangelo   
Gv 17,17
La tua parola, Signore, è verità;
consacraci nella verità.

Vangelo
   Lc 6, 39-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: 
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».  

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