Gesù prese con sé i discepoli e salì a pregare. |
Per questa domenica ho predato un'omelia di Papa Francesco di ieri, in una messa in ricordo della canonizzazione di sant'Ignazio di Loyola, Isidoro l'agricoltore, Francesco Saverio, Teresa di Gesù e Filippo Neri. Come ogni predone ho strappato, distrutto, per un magro profitto, e quindi la cosa più proficua e onesta è di restituire il testo integro dell'omelia del Papa nel suo equilibrio e la sua ricchezza.
Il Vangelo della Trasfigurazione che abbiamo ascoltato
riporta quattro azioni di Gesù. Ci farà bene seguire ciò che compie il Signore,
per trovare nei suoi gesti le indicazioni per il nostro cammino.
Il primo verbo – la prima di queste azioni di Gesù –
è prendere con sé: Gesù, dice il testo, «prese con sé Pietro,
Giacomo e Giovanni» (Lc 9,28). È Lui che prende i discepoli, ed è
Lui che ci ha presi accanto a sé: ci ha amati, scelti e chiamati. All’inizio
c’è il mistero di una grazia, di un’elezione. Non siamo stati anzitutto noi a
prendere una decisione, ma è stato Lui a chiamarci, senza meriti nostri. Prima
di essere quelli che hanno fatto della vita un dono, siamo coloro che hanno
ricevuto un dono gratuito: il dono della gratuità dell’amore di Dio. Il nostro
cammino, fratelli e sorelle, ha bisogno di ripartire ogni giorno da qui,
dalla grazia originaria. Gesù ha fatto con noi come con Pietro,
Giacomo e Giovanni: ci ha chiamati per nome e ci ha presi con sé. Ci ha presi
per mano. Per portarci dove? Al suo monte santo, dove già ora ci vede per
sempre con Lui, trasfigurati dal suo amore. Lì ci conduce la grazia, questa
grazia primaria, primigenia. Allora, quando proviamo amarezze e delusioni,
quando ci sentiamo sminuiti o incompresi, non perdiamoci in rimpianti e
nostalgie. Sono tentazioni che paralizzano il cammino, sentieri che non portano
da nessuna parte. Prendiamo invece in mano la nostra vita a partire dalla
grazia, dalla chiamata. E accogliamo il regalo di vivere ogni giorno come un
tratto di strada verso la meta.
Prese con sé Pietro, Giacomo e
Giovanni: il Signore prende i discepoli insieme, li prende come
comunità. La nostra chiamata è radicata nella comunione. Per ripartire ogni
giorno, oltre al mistero della nostra elezione, occorre far rivivere la grazia
di essere stati presi nella Chiesa, nostra santa Madre gerarchica,
e per la Chiesa, nostra sposa. Siamo di Gesù, e lo siamo come
Compagnia. Non stanchiamoci di chiedere la forza di costruire e custodire la
comunione, di essere lievito di fraternità per la Chiesa e per
il mondo. Non siamo solisti in cerca di ascolto, ma fratelli disposti in
coro. Sentiamo con la Chiesa, respingiamo la tentazione di
inseguire successi personali e di fare cordate. Non lasciamoci risucchiare dal
clericalismo che irrigidisce e dalle ideologie che dividono. I Santi che
ricordiamo oggi sono stati dei pilastri di comunione. Ci ricordano
che in Cielo, nonostante le nostre diversità di caratteri e di vedute, siamo
chiamati a stare insieme. E se saremo per sempre uniti lassù, perché non
cominciare fin da ora quaggiù? Accogliamo la bellezza di essere stati presi
insieme da Gesù, chiamati insieme da Gesù. Questo è il primo verbo: prese.
Il secondo verbo: salire. Gesù «salì sul
monte» (v. 28). La strada di Gesù non è in discesa, è un’ascesa. La luce della
trasfigurazione non arriva in pianura, ma dopo un cammino faticoso. Per seguire
Gesù bisogna dunque lasciare le pianure della mediocrità e le discese della
comodità; bisogna lasciare le proprie abitudini rassicuranti per compiere un
movimento di esodo. Infatti, salito sul monte, Gesù parla con Mosè ed Elia
proprio «del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (v. 31). Mosè ed
Elia erano saliti sul Sinai od Oreb dopo due esodi nel deserto (cfr Es 19; 1
Re 19); ora parlano con Gesù dell’esodo definitivo, quello della sua
pasqua. Fratelli e sorelle, solo la salita della croce conduce alla meta della
gloria. Questa è la strada: dalla croce alla gloria. La tentazione mondana è
ricercare la gloria senza passare dalla croce. Noi vorremmo vie note, diritte e
spianate, ma per trovare la luce di Gesù occorre continuamente uscire da sé
stessi e salire dietro di Lui. Il Signore che, come abbiamo ascoltato,
dall’inizio «condusse fuori» Abramo (Gen 15,5), invita anche noi a
uscire e salire.
Per noi gesuiti l’uscita e la salita seguono un percorso specifico, che il monte ben simboleggia. Nella Scrittura la cima dei monti rappresenta l’estremità, il limite, il confine tra terra e cielo. E noi siamo chiamati a uscire per andare proprio lì, ai confini tra terra e cielo, lì dove l’uomo “affronta” Dio con fatica; a condividere la sua ricerca scomoda e il suo dubbio religioso. Lì dobbiamo essere e per farlo occorre uscire e salire. Mentre il nemico della natura umana vuole convincerci a tornare sempre sugli stessi passi, quelli della ripetitività sterile, della comodità, del già visto, lo Spirito suggerisce aperture, dà pace senza lasciare mai in pace, invia i discepoli agli estremi confini. Pensiamo a Francesco Saverio.
E mi viene in mente che per fare questa strada, questo
cammino, bisogna lottare. Pensiamo al povero vecchio Abramo: lì,
con il sacrificio, lottando contro gli avvoltoi che volevano mangiarsi
l’offerta (cfr Gen 15,7-11). E lui, con il bastone, li
cacciava via. Il povero vecchio. Guardiamo questo: lottare per difendere questo
cammino, questa strada, questa nostra consacrazione al Signore.
Il discepolo di ogni ora si trova di fronte a questo
bivio. E può fare come Pietro, che mentre Gesù parla di esodo, dice: «È bello
essere qui» (v. 33). C’è sempre il pericolo di una fede statica,
“parcheggiata”. Ho paura delle fedi “parcheggiate”. Il rischio è quello di
ritenersi discepoli “per bene”, che in realtà non seguono Gesù ma restano
fermi, passivi e, come i tre del Vangelo, senza accorgersi si assopiscono e
dormono. Anche nel Getsemani, questi stessi discepoli, dormiranno. Pensiamo,
fratelli e sorelle, che per chi segue Gesù non è tempo di dormire, di lasciarsi
narcotizzare l’anima, di farsi anestetizzare dal clima consumistico e
individualistico di oggi, per cui la vita va bene se va bene a me; per cui si
parla e si teorizza, ma si perde di vista la carne dei fratelli, la concretezza
del Vangelo. Un dramma del nostro tempo è chiudere gli occhi sulla realtà e
girarsi dall’altra parte. Santa Teresa ci aiuti a uscire da noi stessi e a
salire sul monte con Gesù, per accorgerci che Lui si rivela anche attraverso le
piaghe dei fratelli, le fatiche dell’umanità, i segni dei tempi. Non avere
paura di toccare le piaghe: sono le piaghe del Signore.
Gesù salì sul monte, dice il Vangelo, «a pregare» (v. 28).
Ecco il terzo verbo, pregare. E «mentre pregava – prosegue il testo
–, il suo volto cambiò d’aspetto» (v. 29). La trasfigurazione nasce dalla
preghiera. Chiediamoci, magari dopo tanti anni di ministero, che cos’è oggi per
noi, che cos’è oggi per me, pregare. Forse la forza dell’abitudine e una certa
ritualità ci hanno portati a credere che la preghiera non trasformi l’uomo e la
storia. Invece pregare è trasformare la realtà. È una missione attiva,
un’intercessione continua. Non è distanza dal mondo, ma cambiamento del mondo.
Pregare è portare il palpito della cronaca a Dio perché il suo sguardo si
spalanchi sulla storia. Cos’è per noi pregare?
E ci farà bene oggi domandarci se la preghiera ci immerge
in questa trasformazione; se getta una luce nuova sulle persone e trasfigura le
situazioni. Perché se la preghiera è viva, “scardina dentro”, ravviva il fuoco
della missione, riaccende la gioia, provoca continuamente a lasciarci
inquietare dal grido sofferente del mondo. Chiediamoci: come stiamo
portando nella preghiera la guerra in corso? E pensiamo alla preghiera
di San Filippo Neri, che gli dilatava il cuore e gli faceva aprire le porte ai
ragazzi di strada. O a Sant’Isidoro, che pregava nei campi e portava il lavoro
agricolo nella preghiera.
Prendere in mano ogni giorno la nostra chiamata personale e la
nostra storia comunitaria; salire verso i confini indicati da
Dio uscendo da noi stessi; pregare per trasformare il mondo in
cui siamo immersi. C’è infine il quarto verbo, che compare all’ultimo versetto
del Vangelo odierno: «Restò Gesù solo» (v. 36). Restò Lui, mentre
tutto era passato ed echeggiava solo “il testamento” del Padre: «Ascoltatelo»
(v. 35). Il Vangelo termina riportandoci all’essenziale. Siamo spesso tentati,
nella Chiesa e nel mondo, nella spiritualità come nella società, di far
diventare primari tanti bisogni secondari. È una tentazione di ogni giorno far
diventare primari tanti bisogni secondari. Rischiamo, in altre parole, di
concentrarci su usi, abitudini e tradizioni che fissano il cuore su ciò che
passa e fanno dimenticare quel che resta. Quanto è importante lavorare sul
cuore, perché sappia distinguere ciò che è secondo Dio, e rimane, da quello che
è secondo il mondo, e passa!
Cari fratelli e sorelle, il santo padre Ignazio ci aiuti a
custodire il discernimento, nostra eredità preziosa, tesoro sempre attuale da
riversare sulla Chiesa e sul mondo. Esso permette di “vedere nuove tutte le
cose in Cristo”. È essenziale, per noi stessi e per la Chiesa, perché, come
scriveva Pietro Favre, «tutto il bene che si possa realizzare, pensare od
organizzare, si faccia con buon spirito e non con quello cattivo» (Memorial,
Paris 1959, n. 51). Così sia.
Prima
Lettura Gn 15,5-12.17-18
Dio stipula l'alleanza con Abramo fedele.
Dal
libro del Gènesi
In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta
le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli
credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per
darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che
ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra
di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo».
Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di
fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su
quei cadaveri, ma Abram li scacciò.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore
e grande oscurità lo assalirono.
Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e
una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il
Signore concluse quest’alleanza con Abram:
«Alla tua discendenza
io do questa terra,
dal fiume d’Egitto
al grande fiume, il fiume Eufrate».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 26
Il Signore è mia luce e mia salvezza.
Il
Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
Ascolta,
Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non
nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
Sono
certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
Seconda Lettura Fil 3,17-4,1
Cristo ci trasfigurerà nel suo corpo glorioso.
Dalla
lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano
secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte
e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della
croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio.
Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose
della terra.
La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il
Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per
conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di
sottomettere a sé tutte le cose.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona,
rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
Canto al Vangelo Mc
9,7
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Dalla nube luminosa, si udì la voce del Padre:
«Questi è il mio Figlio l'amato: ascoltatelo».
Lode e onore a te, Signore Gesù.
Vangelo Lc 9,28b-36
Mentre Gesù pregava, il suo volto cambio d'aspetto.
Dal
vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a
pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne
candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed
Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi
a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono,
videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per
noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa».
Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare
nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il
Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non
riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
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