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venerdì 17 aprile 2020

QUERIDA AMAZONIA / nn. 91-98 Comunità piene di vita.



91. L’Eucaristia, al tempo stesso, è il grande Sacramento che significa e realizza l’unità della Chiesa,[134] e si celebra «perché da estranei, dispersi e indifferenti gli uni agli altri, noi diventiamo uniti, eguali ed amici».[135] Chi presiede l’Eucaristia deve curare la comunione, che non è un’unità impoverita, ma che accoglie la molteplice ricchezza dei doni e dei carismi che lo Spirito riversa nella Comunità.
92. Pertanto, l’Eucaristia, come fonte e culmine, richiede che si sviluppi questa multiforme ricchezza. C’è necessità di sacerdoti, ma ciò non esclude che ordinariamente i diaconi permanenti – che dovrebbero essere molti di più in Amazzonia –, le religiose e i laici stessi assumano responsabilità importanti per la crescita delle comunità e che maturino nell’esercizio di tali funzioni grazie ad un adeguato accompagnamento.
93. Dunque, non si tratta solo di favorire una maggiore presenza di ministri ordinati che possano celebrare l’Eucaristia. Questo sarebbe un obiettivo molto limitato se non cercassimo anche di suscitare una nuova vita nelle comunità. Abbiamo bisogno di promuovere l’incontro con la Parola e la maturazione nella santità attraverso vari servizi laicali, che presuppongono un processo di maturazione – biblica, dottrinale, spirituale e pratica – e vari percorsi di formazione permanente.
94. Una Chiesa con volti amazzonici richiede la presenza stabile di responsabili laici maturi e dotati di autorità,[136] che conoscano le lingue, le culture, l’esperienza spirituale e il modo di vivere in comunità dei diversi luoghi, mentre lasciano spazio alla molteplicità di doni che lo Spirito Santo semina in tutti. Infatti, lì dove c’è una necessità particolare, lo Spirito ha già effuso carismi che permettano di rispondervi. Ciò richiede nella Chiesa una capacità di aprire strade all’audacia dello Spirito, di avere fiducia e concretamente di permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale propria, marcatamente laicale. Le sfide dell’Amazzonia esigono dalla Chiesa uno sforzo speciale per realizzare una presenza capillare che è possibile solo attraverso un incisivo protagonismo dei laici.
95. Molte persone consacrate hanno speso le loro energie e buona parte della loro vita per il Regno di Dio in Amazzonia. La vita consacrata, capace di dialogo, di sintesi, di incarnazione e di profezia, occupa un posto speciale in questa configurazione plurale e armonica della Chiesa amazzonica. Le manca, però, un nuovo sforzo di inculturazione, che metta in gioco la creatività, l’audacia missionaria, la sensibilità e la forza peculiare della vita comunitaria.
96. Le comunità di base, quando hanno saputo integrare la difesa dei diritti sociali con l’annuncio missionario e la spiritualità, sono state vere esperienze di sinodalità nel cammino evangelizzatore della Chiesa in Amazzonia. Molte volte «hanno aiutato a formare cristiani impegnati nella fede, discepoli e missionari del Signore, come testimonia la dedizione generosa, fino a versare il proprio sangue, di tanti loro membri».[137]
97. Incoraggio l’approfondimento del compito comune che si realizza attraverso la REPAM e altre associazioni, con l’obiettivo di consolidare ciò che già chiedeva Aparecida: «Stabilire, tra le Chiese locali dei diversi Paesi sudamericani che fanno parte del bacino amazzonico, una pastorale d’insieme differenziata nelle rispettive priorità».[138] Questo vale specialmente per le relazioni tra le Chiese limitrofe.
98. Infine, desidero ricordare che non sempre possiamo pensare a progetti per comunità stabili, perché in Amazzonia c’è una grande mobilità interna, una costante migrazione molte volte pendolare, e «la regione è diventata di fatto un corridoio migratorio».[139] La «transumanza amazzonica non è stata ben compresa né sufficientemente analizzata dal punto di vista pastorale».[140] Perciò occorre pensare a gruppi missionari itineranti e «sostenere l’inserimento e l’itineranza delle persone consacrate vicino ai più poveri ed esclusi».[141] D’altra parte, questo mette alla prova le nostre comunità urbane, che dovrebbero coltivare con intelligenza e generosità, specialmente nelle periferie, diverse forme di vicinanza e di accoglienza nei confronti delle famiglie e dei giovani che arrivano dall’interno.

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