Visualizzazioni totali

lunedì 16 novembre 2020

PATTO DELLE CATACOMBE. CHE COSA ERA, E' ANCORA ATTUALE?

 



Il 16 novembre del 1965, 55 anni fa, pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II, una quarantina di padri conciliari hanno celebrato l’Eucaristia nelle catacombe di Domitilla, a Roma, chiedendo fedeltà allo Spirito di Gesù. Dopo la celebrazione, hanno firmato il "Patto delle Catacombe", nella visione di una Chiesa "serva e povera, dei poveri e per i poveri", come aveva detto papa Giovanni XXIII. I firmatari – in seguito aderirono circa 500 vescovi – si impegnavano a vivere in povertà, a rinunciare a tutti i simboli o ai privilegi del potere e a mettere i poveri al centro del loro ministero pastorale. Uno dei firmatari e propositori del Patto fu dom Helder Câmara, vescovo di Recife, in Brasile, di felice memoria. Ecco il testo:

 Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II, coscienti delle mancanze della nostra vita di povertà secondo il Vangelo; incitati vicendevolmente ad una iniziativa nella quale ognuno di noi ha evitato il primeggiare e la presunzione; uniti a tutti i nostri fratelli nell'Episcopato, contando soprattutto sulla grazia e la forza di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla preghiera dei fedeli e dei sacerdoti della nostre rispettive diocesi; ponendoci col pensiero e la preghiera davanti alla Trinità, alla Chiesa di Cristo e davanti ai sacerdoti e ai fedeli della nostre diocesi; con umiltà e coscienza della nostra debolezza, ma anche con tutta la determinazione e tutta la forza che Dio vuole darci come sua grazia, ci impegniamo a quanto segue:

1. Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda la casa, il cibo, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende. Cfr. Mt 5,3; 6,33s; 8,20.

2. Rinunciamo per sempre all'apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente nel vestire (stoffe ricche, colori sgargianti), nelle insegne di metalli preziosi (questi segni devono essere chiaramente evangelici). Cf. Mc 6,9; Mt 10,9s; At 3,6. Né oro né argento.

3. Non possederemo beni mobili, o immobili, né avremo conti in banca, ecc., a nostro nome proprio; e, se è necessario possedere qualcosa, metteremo tutto a nome della diocesi o delle opere sociali o caritative. Cf. Mt 6,19-21; Lc 12,33s.

4. Tutte le volte che sarà possibile, affideremo la gestione finanziaria e materiale della nostra diocesi ad una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, per essere meno amministratori e più pastori e apostoli. Cf. Mt 10,8; At. 6,1-7.

5. Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per iscritto, con nomi e titoli che esprimano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre. Cf. Mt 20,25-28; 23,6-11; Gv 13,12-15.

6. Nel nostro comportamento e relazioni sociali, eviteremo tutto ciò che può apparire concessione di privilegi, preminenza o semplice preferenza per i ricchi e i potenti (per es. in banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi…). Cf. Lc 13,12-14; 1Cor 9,14-19.

7. Eviteremo ugualmente di incentivare o adulare la vanità di chicchessia, a ricompensare o sollecitare doni, o per qualsiasi altra ragione. Inviteremo i nostri fedeli a considerare i loro doni come una partecipazione normale al culto, all'apostolato e all'azione sociale. Cf. Mt 6,2-4; Lc 15,9-13; 2Cor 12,4.

8. Daremo tutto quanto è necessario del nostro tempo, riflessione, cuore, mezzi, ecc., al servizio apostolico e pastorale delle persone e dei gruppi laboriosi ed economicamente deboli e poco sviluppati, senza che questo pregiudichi altre persone e gruppi della diocesi. Sosterremo i laici, i religiosi, i diaconi o i sacerdoti che il Signore chiama ad evangelizzare i poveri e gli operai condividendo la loro vita e il lavoro. Cf. Lc 4,18s; Mc 6,4; Mt 11,4s; At 18,3s; 20,33-35; 1Cor 4,12 e 9,1-27.

9. Consci delle esigenze della giustizia e della carità, e delle loro mutue relazioni, cercheremo di trasformare le opere di beneficenza in opere sociali fondate sulla carità e sulla giustizia, che tengano conto di tutti e di tutte, come un umile servizio agli organismi pubblici competenti. Cf. Mt 25,31-46; Lc 13,12-14 e 33s.

10. Faremo tutto il possibile affinché i responsabili del nostro governo e dei nostri servizi pubblici decidano e attuino leggi, strutture e istituzioni sociali necessarie per la giustizia, l'uguaglianza e lo sviluppo armonico e totale di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, e, così, per l'avvento di un altro ordine sociale, nuovo, degno di figli di uomini e di figli di Dio. Cf. At. 2,44s; 4,32-35; 5,4; 2Cor 8-9; 1Tim 5, 16.

11.Poiché la collegialità dei vescovi trova la sua più piena realizzazione evangelica nel servizio comune delle moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale – due terzi dell'umanità – ci impegniamo:

• a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, ai progetti urgenti di episcopati delle nazioni povere;

• a richiedere insieme, al livello degli organismi internazionali, testimoniando sempre il Vangelo come ha fatto Paolo VI alle Nazioni Unite, l'adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più nazioni povere in un mondo sempre più ricco, ma che permettano alle masse povere di uscire dalla loro miseria.

12. Ci impegniamo a condividere la nostra vita, nella carità pastorale, con i nostri fratelli in Cristo, sacerdoti, religiosi e laici, perché il nostro ministero costituisca un vero servizio; così:

• ci sforzeremo di "rivedere la nostra vita" con loro;

• cercheremo dei collaboratori per essere più animatori secondo lo Spirito che capi secondo il mondo;

• cercheremo di farci il più umanamente possibile presenti, di essere accoglienti…

• ci mostreremo aperti a tutti, qualsiasi sia la loro religione. Cf. Mc 8,34s; At 6,1-7; 1Tim 3,8-10.

Tornati alle nostre rispettive diocesi, faremo conoscere ai fedeli delle nostre diocesi la nostra risoluzione, pregandoli di aiutarci con la loro comprensione, il loro aiuto e le loro preghiere.

Ci aiuti Dio ad essere fedeli.

 

Leggendo questo testo notiamo la sua attualità anche se qualche espressione riflette chiaramente le circostanze e preoccupazioni proprie di quel tempo. Oggi si è aggiunto in modo impellente il tema della Cura della Casa Comune, per esempio, che era assente allora. Quanto di questo spirito è arrivato nella vita della nostra Chiesa di Napoli? Vediamo come papa Francesco incarna e porta avanti questo spirito evangelico di una Chiesa povera per i poveri. 

Un bel esercizio potrebbe essere di andare a leggere tutte le citazioni che i Padri firmatari hanno messo a sostegno di ciascuno dei punti del loro impegno.

Nessun commento:

Posta un commento