Sentirsi in colpa dopo aver sbagliato è naturale. Dopo il peccato
Adamo ed Eva sono sconvolti, scoprono con vergogna di essere nudi e cercano di rimediarvi
come possono, ma soprattutto si nascondono dalla presenza di Dio. La gravità
del loro peccato stravolge la vita che Dio aveva voluta per loro ma egli non li
abbandona. Si prenderà sempre cura di loro: “Il
Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì”. (Gen. 3,21). Anche Caino, che arriva al
colmo di uccidere un altro uomo – suo fratello – viene protetto da Dio. Mentre
egli sente che il peccato commesso lo perseguiterà tutta la vita, senza poter
uscire dalla disperazione della condanna intima e dal timore costante della
vendetta, Dio lo protegge con un segno: «Troppo
grande è la mia colpa per ottenere perdono! Ecco, tu mi scacci oggi da questo
suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla
terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». Ma “Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque
l'avesse incontrato”. (Gen. 4,13-14).
Tutta la Bibbia, nella sua
molteplice ricchezza, segue un filo conduttore: con Dio la vita dell’uomo si
apre e progredisce. Ma l’uomo pecca ancora, anzi, spesso sceglie liberamente il
peccato, e ne rimane prigioniero. Solo Dio lo può liberare, solo andando a Dio
l’uomo può superare il suo senso di colpa e tutte le altre conseguenze del peccato.
Tra tutti, un episodio della vita di Davide è veramente esemplare. Davide è un capo di guerra e un re ormai affermato e può permettersi di non stare alla testa delle truppe se partono in guerra. Rimasto a Gerusalemme nel suo palazzo e senza impegni, Davide nota una donna bellissima e va a letto con lei, pur sapendo che è sposata ad un suo ufficiale, Uria, che si trova proprio a combattere in quel momento. La donna però rimane incinta. Che fare? Davide cerca di gestire umanamente il problema ma questo lo complicherà soltanto. Richiama il marito dal fronte – sotto il pretesto di avere informazioni sulla guerra – e lo invita ad approfittarne per andare a casa sua, dalla moglie. Così il figlio sarebbe suo. Ma Uria, ignaro di tutto, per solidarietà verso le truppe rimaste sul campo rifiuta ben due volte. Siccome diventerebbe un testimone troppo ingombrante, Davide, le spalle al muro, fa in modo che sia ucciso. Allora il Signore manda a Davide il suo profeta Natan. Davide riconosce il suo peccato. Dio lo perdona ma il bambino che nascerà morirà. Ormai lo scandalo è scoppiato e tutti sanno tutto. Quando il bambino appena nato si ammala, Davide che sa che Dio è misericordioso, si impone digiuni, preghiere e penitenze sotto gli occhi di tutti per implorare la guarigione di questo bambino innocente. Qualcuno potrebbe dire: come Davide osa chiedere questa grazia dopo quello che ha fatto? Davide sa quando Dio perdona lo fa davvero, al 100 %. Ma il bambino muore.
“Ora, il settimo giorno il bambino morì e i
ministri di Davide temevano di fargli sapere che il bambino era morto, perché
dicevano: «Ecco, quando il bambino era ancora vivo, noi gli abbiamo parlato e
non ha ascoltato le nostre parole; come faremo ora a dirgli che il bambino è
morto? Farà qualche atto insano!». Ma Davide si accorse che i suoi ministri
bisbigliavano fra di loro, comprese che il bambino era morto e disse ai suoi
ministri: «È morto il bambino?». Quelli risposero: «È morto». Allora Davide si
alzò da terra, si lavò, si unse e cambiò le vesti; poi andò nella casa del
Signore e vi si prostrò. Rientrato in casa, chiese che gli portassero il cibo e
mangiò. I suoi ministri gli dissero: «Che fai? Per il bambino ancora vivo hai
digiunato e pianto e, ora che è morto, ti alzi e mangi!». Egli rispose: «Quando
il bambino era ancora vivo, digiunavo e piangevo, perché dicevo: Chi sa? Il
Signore avrà forse pietà di me e il bambino resterà vivo. Ma ora che egli è
morto, perché digiunare? Posso io farlo ritornare? Io andrò da lui, ma lui non
ritornerà da me!».
Poi Davide consolò Betsabea sua moglie, entrò
da lei e le si unì: essa partorì un figlio, che egli chiamò Salomone. Il
Signore amò Salomone e mandò il profeta Natan, che lo chiamò Iedidià per ordine
del Signore”. ( 2 Samuele
12,18-25).
Mentre i ministri non
capiscono il comportamento del re perché ragionano solo dal punto di vista
umano, psicologico, Davide trova il senso della sua vita in Dio e la affida tutta
a lui. Infatti va innanzitutto al Tempio e offre a Dio nella preghiera questo suo
momento complicato e poco glorioso. Poi mangia e ricomincia la vita normale
ripartendo da Dio e dalla sua misericordia. Egli è il re e si comporta da re.
Betsabea è diventata la sua moglie legittima (2 Sam 11,27) ed egli si comporta con
lei da marito. Lei rimane di nuovo incinta e il bambino, questa volta legittimo,
sarà il suo successore.
È chiaro che per il nostro
senso moralista tutto questo è difficile da accettare. L’uomo comune dice
spesso: “è troppo facile, uno pecca, poi chiede perdono a Dio e Dio gli perdona”.
Noi emaniamo condanne eterne verso gli altri e spesso anche verso i loro figli e
viviamo di pregiudizi. Dio non è così. La fiducia di Davide verso Dio,
accettando di essere frutto della sua misericordia, di essere nelle sue mani
(vedi l’episodio di Simei, 2 Sam 16, 11-12) lo rende un esempio per noi e una
persona estremamente sana ed equilibrata malgrado le sue debolezze, capace di
affrontare tutte le situazioni nel presente. Anche Davide è un uomo e le esperienze
di vita creano in lui processi profondi. Tutti i salmi penitenziali scaturiscono
dal suo cammino di pentimento. Ma egli non si lascia imprigionare nel passato, nel
rimorso, nella rivendicazione, nel timore del giudizio altrui. Se prova un
senso di colpa per i suoi peccati, questo matura davanti a Dio e diventa il
senso della colpa di un credente che vede che “laddove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia” (Rom
5,20).
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