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lunedì 1 aprile 2019

IL PROBLEMA E' ESSERE INSIGNIFICANTI!

Nella Cattedrale di Rabat, papa Francesco saluta
fr. Jean-Pierre Schumacher,
                                                                                                                             sopravvissuto della comunità di Tibhirine.

Difficile tagliare un discorso del Papa, ma necessario per non scoraggiare chi legge dallo smartphone. Ci sono tanti spunti da meditare, ma essenzialmente ci provoca la piccolezza numerica della Chiesa in Marocco come in tutti i paesi del Maghreb. Ho conosciuto questa situazione in Algeria e proprio lì ho sperimentato l’incontro con Gesù che ha dato la svolta alla mia vita. Ascoltiamo allora con attenzione gli incoraggiamenti ad essere lievito capace di fermentare tutta la pasta, non lasciandoci illudere dai numeri relativamente grandi che conosciamo ancora da noi: il sale che non ha sapore, anche se abbondante, non serve a nulla, mentre Cristo è l’unico Salvatore dell’Umanità.

INCONTRO CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI, I CONSACRATI
E IL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cattedrale di Rabat Domenica, 31 marzo 2019


Cari fratelli e sorelle, bonjour à tous! Sono molto felice di potervi incontrare. … Desidero anche salutare i membri del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che mostra visibilmente la comunione vissuta qui in Marocco tra cristiani di diverse confessioni, sulla via dell’unità. I cristiani sono un piccolo numero in questo Paese. Ma questa realtà non è, ai miei occhi, un problema, anche se riconosco che a volte può diventare difficile da vivere per alcuni. La vostra situazione mi ricorda la domanda di Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? […] È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Lc 13,18.21). Parafrasando le parole del Signore potremmo chiederci: a che cosa è simile un cristiano in queste terre? A che cosa lo posso paragonare? È simile a un po’ di lievito che la madre Chiesa vuole mescolare con una grande quantità di farina, fino a che tutta la massa fermenti. Infatti, Gesù non ci ha scelti e mandati perché diventassimo i più numerosi! Ci ha chiamati per una missione. Ci ha messo nella società come quella piccola quantità di lievito: il lievito delle beatitudini e dell’amore fraterno nel quale come cristiani ci possiamo tutti ritrovare per rendere presente il suo Regno. …
Questo significa, cari amici, che la nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati, non è determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione; dal modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et Spes, 1). In altre parole, le vie della missione non passano attraverso il proselitismo. Per favore, non passano attraverso il proselitismo! Ricordiamo Benedetto XVI: “La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione, per testimonianza”. Non passano attraverso il proselitismo, che porta sempre a un vicolo cieco, ma attraverso il nostro modo di essere con Gesù e con gli altri. Quindi il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo – questo è il problema! – o una luce che non illumina più niente (cfr Mt 5,13-15).
Penso che la preoccupazione sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi. Voi sapete bene che la vita si gioca con la capacità che abbiamo di “lievitare” lì dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente benefici tangibili o immediati (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 210). Perché essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico. Essere cristiano è un incontro, un incontro con Gesù Cristo. Siamo cristiani perché siamo stati amati e incontrati e non frutti di proselitismo. Essere cristiani è sapersi perdonati, sapersi invitati ad agire nello stesso modo in cui Dio ha agito con noi, dato che «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
… Affermare che la Chiesa deve entrare in dialogo non dipende da una moda– oggi c’è la moda del dialogo, no, non dipende da quello –, tanto meno da una strategia per aumentare il numero dei suoi membri, no, neppure è una strategia. Se la Chiesa deve entrare in dialogo è per fedeltà al suo Signore e Maestro che, fin dall’inizio, mosso dall’amore, ha voluto entrare in dialogo come amico e invitarci a partecipare della sua amicizia (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 2). Così, come discepoli di Gesù Cristo, siamo chiamati, fin dal giorno del nostro Battesimo, a far parte di questo dialogo di salvezza e di amicizia, di cui siamo i primi beneficiari.
Il cristiano, in queste terre, impara ad essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. Un dialogo che, pertanto, siamo invitati a realizzare alla maniera di Gesù, mite e umile di cuore (cfr Mt11,29), con un amore fervente e disinteressato, senza calcoli e senza limiti, nel rispetto della libertà delle persone. … Come non evocare la figura di San Francesco d’Assisi che, in piena crociata, andò ad incontrare il Sultano al-Malik al-Kamil? E come non menzionare il Beato Charles de Foucault che, profondamente segnato dalla vita umile e nascosta di Gesù a Nazaret, che adorava in silenzio, ha voluto essere un “fratello universale”? O ancora quei fratelli e sorelle cristiani che hanno scelto di essere solidali con un popolo fino al dono della propria vita? Così, quando la Chiesa, fedele alla missione ricevuta dal Signore, entra in dialogo con il mondo e si fa colloquio, essa partecipa all’avvento della fraternità, che ha la sua sorgente profonda non in noi, ma nella Paternità di Dio.
Tale dialogo di salvezza, come consacrati siamo invitati a viverlo anzitutto come intercessione per il popolo che ci è stato affidato. … È un dialogo che, pertanto, diventa preghiera e che possiamo realizzare concretamente tutti i giorni in nome «della “fratellanza umana” che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali. In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini» (Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019). Una preghiera che non distingue, non separa e non emargina, ma che si fa eco della vita del prossimo; preghiera di intercessione che è capace di dire al Padre: «venga il tuo regno». Non con la violenza, non con l’odio, né con la supremazia etnica, religiosa, economica e così via, ma con la forza della compassione riversata sulla Croce per tutti gli uomini. Questa è l’esperienza vissuta dalla maggior parte di voi.
….
Tutti voi siete testimoni di una storia che è gloriosa perché è storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel lavoro faticoso, perché ogni lavoro è sudore della fronte. Ma permettetemi anche di dirvi: «Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro - frequentate il futuro - nel quale lo Spirito vi proietta» (Esort. ap. postsin. Vita consecrata, 110), per continuare ad essere segno vivo di quella fraternità alla quale il Padre ci ha chiamato, senza volontarismi e rassegnazione, ma come credenti che sanno che il Signore sempre ci precede e apre spazi di speranza dove qualcosa o qualcuno sembrava perduto.
Il Signore benedica ognuno di voi e, attraverso di voi, i membri di tutte le vostre comunità. Il suo Spirito vi aiuti a portare frutti in abbondanza: frutti di dialogo, di giustizia, di pace, di verità e d’amore affinché qui, in questa terra amata da Dio, cresca la fraternità umana. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
[Quattro bambini vanno accanto al Papa. Egli dice: « Voici le futur! Le maintenant et le futur! ».
E ora ci mettiamo sotto la protezione della Vergine Maria recitando l’Angelus.

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