Nella Cattedrale di Rabat, papa Francesco saluta fr. Jean-Pierre Schumacher,
sopravvissuto della comunità di Tibhirine.
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Difficile tagliare un
discorso del Papa, ma necessario per non scoraggiare chi legge dallo smartphone.
Ci sono tanti spunti da meditare, ma essenzialmente ci provoca la piccolezza
numerica della Chiesa in Marocco come in tutti i paesi del Maghreb. Ho
conosciuto questa situazione in Algeria e proprio lì ho sperimentato l’incontro
con Gesù che ha dato la svolta alla mia vita. Ascoltiamo allora con attenzione gli
incoraggiamenti ad essere lievito capace di fermentare tutta la pasta, non
lasciandoci illudere dai numeri relativamente grandi che conosciamo ancora da
noi: il sale che non ha sapore, anche se abbondante, non serve a nulla, mentre Cristo
è l’unico Salvatore dell’Umanità.
INCONTRO CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI, I CONSACRATI
E IL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE
E IL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cattedrale di Rabat Domenica, 31 marzo 2019
Cari fratelli e
sorelle, bonjour à tous! Sono molto felice di potervi incontrare. … Desidero
anche salutare i membri del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che mostra
visibilmente la comunione vissuta qui in Marocco tra cristiani di diverse
confessioni, sulla via dell’unità. I cristiani sono un piccolo numero in questo
Paese. Ma questa realtà non è, ai miei occhi, un problema, anche se riconosco
che a volte può diventare difficile da vivere per alcuni. La vostra situazione
mi ricorda la domanda di Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che
cosa lo posso paragonare? […] È simile al lievito, che una donna prese e
mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Lc 13,18.21).
Parafrasando le parole del Signore potremmo chiederci: a che cosa è simile un
cristiano in queste terre? A che cosa lo posso paragonare? È simile a un po’ di
lievito che la madre Chiesa vuole mescolare con una grande quantità di farina, fino
a che tutta la massa fermenti. Infatti, Gesù non ci ha scelti e mandati perché
diventassimo i più numerosi! Ci ha chiamati per una missione. Ci ha messo nella
società come quella piccola quantità di lievito: il lievito delle beatitudini e
dell’amore fraterno nel quale come cristiani ci possiamo tutti ritrovare per
rendere presente il suo Regno. …
Questo significa, cari
amici, che la nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati, non è
determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si
occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore
e compassione; dal modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a
coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le
sofferenze e le speranze (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et Spes, 1). In altre parole, le
vie della missione non passano attraverso il proselitismo. Per favore, non
passano attraverso il proselitismo! Ricordiamo Benedetto XVI: “La Chiesa cresce
non per proselitismo, ma per attrazione, per testimonianza”. Non passano
attraverso il proselitismo, che porta sempre a un vicolo cieco, ma attraverso
il nostro modo di essere con Gesù e con gli altri. Quindi il problema non è
essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha
più il sapore del Vangelo – questo è il problema! – o una luce che non illumina
più niente (cfr Mt 5,13-15).
Penso che la
preoccupazione sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter
essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi. Voi
sapete bene che la vita si gioca con la capacità che abbiamo di “lievitare” lì
dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente
benefici tangibili o immediati (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium,
210). Perché essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un
tempio, né a un gruppo etnico. Essere cristiano è un incontro, un incontro con
Gesù Cristo. Siamo cristiani perché siamo stati amati e incontrati e non frutti
di proselitismo. Essere cristiani è sapersi perdonati, sapersi invitati ad
agire nello stesso modo in cui Dio ha agito con noi, dato che «da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Il cristiano, in queste
terre, impara ad essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare
con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. Un dialogo che,
pertanto, siamo invitati a realizzare alla maniera di Gesù, mite e umile di
cuore (cfr Mt11,29), con un amore fervente e disinteressato, senza
calcoli e senza limiti, nel rispetto della libertà delle persone. … Come non
evocare la figura di San Francesco d’Assisi che, in piena crociata, andò ad
incontrare il Sultano al-Malik al-Kamil? E come non menzionare il Beato Charles
de Foucault che, profondamente segnato dalla vita umile e nascosta di Gesù a
Nazaret, che adorava in silenzio, ha voluto essere un “fratello universale”? O
ancora quei fratelli e sorelle cristiani che hanno scelto di essere solidali
con un popolo fino al dono della propria vita? Così, quando la Chiesa, fedele
alla missione ricevuta dal Signore, entra in dialogo con il mondo e si
fa colloquio, essa partecipa all’avvento della fraternità, che ha la sua sorgente
profonda non in noi, ma nella Paternità di Dio.
Tale dialogo di
salvezza, come consacrati siamo invitati a viverlo anzitutto come intercessione
per il popolo che ci è stato affidato. … È un dialogo che, pertanto, diventa
preghiera e che possiamo realizzare concretamente tutti i giorni in nome «della
“fratellanza umana” che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali.
In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e
divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche
odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini» (Documento sulla fratellanza umana, Abu
Dhabi, 4 febbraio 2019). Una preghiera che non distingue, non separa e non
emargina, ma che si fa eco della vita del prossimo; preghiera di intercessione
che è capace di dire al Padre: «venga il tuo regno». Non con la
violenza, non con l’odio, né con la supremazia etnica, religiosa, economica e
così via, ma con la forza della compassione riversata sulla Croce per tutti gli
uomini. Questa è l’esperienza vissuta dalla maggior parte di voi.
….
Tutti voi siete
testimoni di una storia che è gloriosa perché è storia di sacrifici, di
speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel
lavoro faticoso, perché ogni lavoro è sudore della fronte. Ma permettetemi
anche di dirvi: «Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da
raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro - frequentate
il futuro - nel quale lo Spirito vi proietta» (Esort. ap. postsin. Vita consecrata, 110), per continuare ad
essere segno vivo di quella fraternità alla quale il Padre ci ha chiamato,
senza volontarismi e rassegnazione, ma come credenti che sanno che il Signore
sempre ci precede e apre spazi di speranza dove qualcosa o qualcuno sembrava
perduto.
Il Signore benedica
ognuno di voi e, attraverso di voi, i membri di tutte le vostre comunità. Il
suo Spirito vi aiuti a portare frutti in abbondanza: frutti di dialogo, di
giustizia, di pace, di verità e d’amore affinché qui, in questa terra amata da
Dio, cresca la fraternità umana. E, per favore, non dimenticatevi di pregare
per me. Grazie!
[Quattro bambini vanno
accanto al Papa. Egli dice: « Voici le futur! Le maintenant et le
futur! ».
E ora ci mettiamo sotto
la protezione della Vergine Maria recitando l’Angelus.
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