Una strada in una città tedesca dopo la notte dei cristalli. |
Cento anni fa, l’11 novembre, giorno della festa di san Martino, patrono della
Francia, fu firmato l’armistizio della Grande Guerra che aveva causato un milione di
morti. Dal lato italiano era già firmato dal 4 novembre dopo 700 000 morti. Oggi
parliamo con piena convinzione di “Inutile Strage” secondo le parole del Papa di
allora, Benedetto XV. Però quella prima guerra mondiale ebbe luogo. Uscendone tutti
dicevano: “mai più”, i francesi la chiamavano in un senso di rifiuto e di
scaramanzia “La Der des der” espressione che sarebbe per “la dernière des
dernières”, cioè l’Ultima guerra in assoluto. Quarant’anni prima c'era stato la
guerra franco prussiana con le sue distruzioni e i suoi lutti. Appena vent’anni
dopo iniziò la seconda guerra mondiale con centinaia di milioni di morti, la
rivoluzione bolscevica in Russia e il suo regime di terrore, per parlare solo
dei conflitti più conosciuti. Ottant’anni fa dopo un lungo processo di
colpevolizzazione e di emarginazione degli ebrei ebbe luogo la “notte dei cristalli” in Germania
che segnò l’inizio della Shoah, del piano di sterminio del popolo ebraico. Non c'era
solo la Germania. Lo stesso anno, prima con una serie di decreti, si
introdussero le leggi razziali in Italia e anche in altri paesi europei - tra cui la Francia - si
estendeva l’antisemitismo.
Molti ebrei che fuggivano le persecuzioni in Europa andando oltre atlantico
furono respinti dagli Usa, dall’Argentina, ecc. C'erano ancora gli effetti della
crisi del 1929 e ogni governo pensava ai suoi elettori, ai suoi disoccupati, ecc. Due
giorni fa il Canada ha chiesto ufficialmente scusa agli ebrei per una nave di
fuggitivi respinti. Ottant’anni dopo.
Al convegno della Caritas Ambrosiana, il vescovo di Milano, Delpini, ha detto ieri: «Ma
è proprio vero che il nostro benessere è in pericolo perché arrivano i
migranti? Quando si definiscono le persone e le situazioni come minacciose
allora la gente è anche motivata a fare la guerra. Dobbiamo allora usare questa
parola, “resistere”, che significa perseverare anche quando è difficile.
Dobbiamo attrezzarci per la resistenza alla omologazione che ci vuole ridurre
tutti a consumatori con le stesse idee e parole. Dobbiamo attrezzarci per
resistere alla paura che alimenta il conflitto. Dobbiamo anche resistere e
perseverare in una pratica di accoglienza che ha mostrato che le paure non sono
fondate e che, al contrario, l'attenzione alle persone è fruttuosa per il
Paese. Dobbiamo, infine, resistere alla rassegnazione e alla stanchezza perché
quando si cammina è naturale che ci si stanchi». «I fattori che rendono
insignificanti gli adulti e gli anziani, le istituzioni e la tradizione
rinchiudono i giovani in un presente senza via d’uscita, in una intelligenza
ridotta a competenza tecnologica, in una informazione ridotta a indottrinamento
da notizie ridotte a titoli e a immagini, in un tempo senza speranza, nella
condizione di servi del faraone senza speranza di terra promessa».
«Dieci anni di crisi che hanno visto un arretramento dello Stato e la
delega al volontariato hanno inciso sulla cultura. E' nata una sorta di
sfiducia nelle comunità e un atteggiamento rancoroso, ostile non solo verso i
poveri, e in particolare i migranti, ma anche verso chi li aiuta. Questo
atteggiamento non ha riguardato solo chi aveva posizioni di chiusura ma anche
gli operatori e i volontari. La difficoltà a rispondere ai bisogni ha generato
questa sfiducia. La Caritas deve cogliere questa sfida e far vincere alle
comunità la paura di perdere il benessere raggiunto e difenderlo dai nuovi che
arrivano: un sfida enorme, visto il successo dei populismi», ha osservato
Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.
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