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sabato 2 agosto 2025

COMUNIONE IN CRISTO, NEL GREMBO DELLA COMUNIONE TRINITARIA / 42 NICEA. Gesù Cristo, ... n. 75.



75. Questa conoscenza e questa comunione inaudite e autentiche di e con Dio operano anche una comunione salvifica coi fratelli e le sorelle in umanità, amati da Dio, poiché l’evento Gesù Cristo è inseparabilmente comunione con Dio e con ogni essere umano. La fede della Chiesa apostolica testimonia questa comunione in Cristo e mediante Cristo, nel grembo della comunione trinitaria:

Colui che era fin da principio, colui che noi abbiamo sentito, colui che abbiamo veduto con i nostri occhi, colui che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato, cioè il Verbo della vita [...], lo annunziamo a voi, affinché anche voi abbiate comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. E noi scriviamo queste cose perché la nostra gioia sia piena (1Gv 1,1.3-4).

SULLA CROCE GESÙ È ALL' "ALTEZZA" DI DIO, CHE È AMORE / 41. NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 73-74.


73. Se Gesù ci fa vedere il Padre, tutto in lui è accesso al Padre. Cristo, nella sua umanità fragile e vulnerabile, è l’espressione vera di Dio Padre: vedere lui, è vedere il Padre (cf. Gv 14,9).[115]Ne deriva che Dio non si è dapprima nascosto sul Golgota nell’impotenza del Crocifisso per poi manifestarsi, il mattino di Pasqua, di persona, infine onnipotente. Al contrario, l’amore di Gesù Cristo che si lascia crocifiggere e che, soffrendo la morte fisica, discende fino al luogo in cui il peccatore è prigioniero del peccato (lo šəʾôl ossia gli inferi), è la rivelazione dell’amore del Dio trinitario che non opera mediante la forza, ma che è proprio così più forte della morte e del peccato. È appunto davanti alla croce che Marco fa dire al centurione pagano: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39). Come affermava Papa Benedetto XVI nel suo libro su Gesù:

La Croce è la vera “altezza”. È l’altezza dell’amore “fino alla fine” (Gv 13,1); sulla croce Gesù è all’“altezza” di Dio, che è Amore. Lì si può “conoscerlo”, si può riconoscere l’“Io Sono”. Il roveto ardente è la Croce. La suprema pretesa di rivelazione, l’“Io Sono” e la Croce di Gesù sono inseparabili.[116] 

IL FIGLIO UNIGENITO LO HA RIVELATO / 40. NICEA. Gesù Cristo, ... n. 72.

Da tanto tempo sono con voi
e tu non mi hai conosciuto Filippo?


1. L’evento Cristo: «Dio nessuno l’ha mai visto. Il Figlio unigenito lo ha rivelato» (Gv 1,18)

1.1. Il Cristo, Verbo Incarnato, rivela il Padre 

72. Il Simbolo di Nicea è l’espressione, la formulazione in parole, di un accesso inaudito, garantito e pienamente salvifico a Dio, offerto dall’evento Gesù Cristo. Nell’incarnazione, vita, passione, risurrezione e ascensione al Cielo del Verbo consustanziale al Padre, testimoniata nelle Sacre Scritture e nella fede della Chiesa apostolica, il Dio semper major offre, di sua propria iniziativa, una conoscenza e un accesso a Se stesso che solo lui può donare, e che sono al di là di ciò che l’uomo può immaginare e anche sperare.[113]In effetti, il Nuovo Testamento trasmette alla Chiesa di tutti i tempi, nel corso dei secoli, la testimonianza che Gesù ha donato di Se stesso e che il Padre, nella luce e nella potenza dello Spirito Santo, ha confermato una volta per tutte[114]nella Pasqua della morte, risurrezione e ascensione al cielo del Figlio fatto carne, dell’effusione pentecostale dello Spirito, nella pienezza dei tempi, “propter nos et propter nostram salutem”. In tal modo, se è vero che «Dio nessuno lo ha mai visto», la fede della Chiesa attesta che Gesù, «Figlio unico del Padre, lo ha rivelato» (Gv 1,18; cf. Gv 3,16.18 e 1Gv 4,9). Questa testimonianza si riassume nella risposta che Gesù diede all’apostolo Filippo, che gli domandava: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gesù gli risponde:

EVENTO DI SAPIENZA ED ECCLESIALE / 39. NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 70-71




Capitolo 3

Nicea come evento teologico e come evento ecclesiale

70. Celebrare Nicea, significa cogliere come il Concilio resta nuovo, di quella novità escatologica inaugurata il mattino di Pasqua, che continua a rinnovare la Chiesa anche 1700 anni dopo l’evento di Nicea. In effetti si tratta di un evento in senso forte, di una svolta che si inscrive nella trama della storia con i suoi concatenamenti, ma ne è ugualmente un punto di concentrazione, che introduce una reale novità ed esercita un’influenza decisiva su ciò che segue. A seconda delle lingue, il termine “evento” rinvia a ciò che avviene, l’ad-ventus (avènement, avent, avvenimento), o ancora a ciò che proviene da (évènement, event), alla produzione di un fatto (acontecimiento) o all’apparizione di qualcosa di nuovo (Ereignis). Così, Nicea è l’espressione di una svolta che avviene, proviene, si produce, si mostra nel pensiero umano, indotta dalla Rivelazione del Dio uno e trino in Gesù, che feconda lo spirito umano donandogli contenuti nuovi e nuove capacità. È un “evento di Sapienza”. Allo stesso modo Nicea, che sarà qualificato subito dopo come primo Concilio Ecumenico, è ugualmente l’espressione di una svolta nel modo in cui la Chiesa si struttura e veglia sulla sua unità e sulla verità della sua dottrina mediante la stessa confessione di fede: è un “evento ecclesiale”. Evidentemente, in entrambi i casi, la novità si appoggia su un processo previo, su una realtà data, quella stessa che questa novità trasforma. L’evento di Sapienza presuppone la cultura umana, l’assume, per così dire, per purificarla e trasfigurarla. L’evento ecclesiale si appoggia sulla precedente evoluzione delle strutture della Chiesa dei primi secoli, a loro volta appoggiata sull’eredità ebraica e greco-romana.  

CRISTO È FORMA DEL PADRE, NOI FORMA E IMMAGINE DI CRISTO / 38 NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 67-69

Psychomachia di Prudenzio


67. Ilario ha appreso il canto degli inni durante il suo esilio e l’ha introdotto in Gallia; Ambrogio confessa ugualmente d’aver adottato il “costume dell’Oriente”, durante i duri conflitti con gli ariani a Milano nel 386-87. Il Figlio è «sempre Figlio, come il Padre è sempre Padre. Altrimenti, come il Padre potrebbe portare tale nome se non avesse un Figlio?», sottolinea Ilario nell’inno Ante saecula qui manens, dove espone la «duplice nascita del Figlio, nato dal Padre, per il Padre che non conosce nascita, e nato dalla Vergine Maria, per il mondo». 

IL CANTO COME CATECHESI PREGATA / 37 NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 65-66.

S. Efrem il Siro,
Diacono e Dottore.

5. La teologia negli inni 

65. Gli inni, infine, sono un luogo di espressione della fede di Nicea che ha trovato posto nella vita del credente e che è stata influenzata da Nicea. Così numerosi inni terminano con la dossologia trinitaria. Peraltro, il confronto con l’eresia ariana ha giocato un ruolo importante nello sviluppo della poesia cristiana. È anzitutto in Oriente che sono stati composti inni e canti,[103]che volevano rispondere ai poemi di propaganda dei gruppi eterodossi. Quanto all’Occidente, si può perfino dire che il suo contributo teologico più importante nel IV secolo è consistito nella composizione degli inni. 

venerdì 1 agosto 2025

LA SPERANZA SI ESPRIME NELLA PREGHIERA / 36. NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 63-64.

Monaci certosini recitano la
dossologia alla fine del salmo.



63. La correttezza nella preghiera possiede un’implicazione soteriologica. È Gregorio di Nissa a lanciare l’avvertimento più incisivo: la speranza del credente è più di una morale nel senso attuale del termine, ma si esprime anche nella preghiera. La speranza è rivolta verso la divinizzazione operata da Dio: se «la prima grande speranza non è più presente presso coloro che si lasciano coinvolgere in un errore di dottrina», ciò ha per conseguenza «che non c’è alcun vantaggio a comportarsi correttamente col sostegno dei comandamenti». E Gregorio prosegue:

PREGHIAMO COME SIAMO STATI BATTEZZATI / 35. NICEA. Gesù Cristo, .... nn. 61-62.


S. Giovanni in Fonte,
il Battistero più antico
di Europa, Napoli.


61. I difensori di Nicea hanno affermato invece che la pratica della preghiera doveva sì corrispondere alla fede, ma che questa corrispondeva a sua volta al battesimo. Ora, la formula battesimale manifesta l’uguaglianza in dignità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ne risulta che la preghiera – che sia personale o liturgica – può e deve ugualmente rivolgersi al Figlio. Anche se i niceni non hanno rigettato l’antica formula dossologica, ma ne hanno difeso il senso ortodosso,[95]essi hanno preferito altre formulazioni e preposizioni: “tō Patri, kai…kai”, “tō Patri, dia… sun”, che sono ugualmente attestate nella tradizione biblica e liturgica.[96]Basilio si riferisce in tal senso, tra l’altro, all’inno molto antico “Phōs hilăron” * (forse del II secolo), nel quale il Padre, il Figlio e lo Spirito sono oggetto di un canto di adorazione.[97] 

LA QUESTIONE DELLA PREGHIERA AL FIGLIO / 34 NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 59-60.

Cristo consegna la Legge a Pietro
Battistero di s. Giovanni in Fonte, 
Napoli.

4. La preghiera al Figlio e le dossologie  

59. La fede di Nicea serve da regola per la preghiera personale e liturgica[90]e quest’ultima è segnata da Nicea. Benché l’“invocazione del nome del Signore (Gesù)” sia già attestata negli scritti del Nuovo Testamento[91]e benché soprattutto gli inni a Cristo[92]testimonino l’offerta di lode e di adorazione, la preghiera al Figlio diventa oggetto di controversia nella crisi ariana.

60. Nel rimando a certi testi di Origene,[93]alcuni ariani del IV secolo, ma anche alcuni seguaci di Origene dei secoli V e VII, si oppongono particolarmente alla preghiera liturgica al Figlio. Gli ariani avevano interesse a mettere in evidenza i passaggi delle Scritture che mostravano Gesù stesso in preghiera, al fine di sottolineare la sua inferiorità in rapporto al Padre. In combinazione con la concezione (apollinarista), ugualmente diffusa presso gli ariani, secondo la quale il Logos prende il posto dell’anima di Gesù, la subordinazione del Logos al Padre sembrava così provata. Per essi, quindi, la preghiera rivolta al Figlio era inappropriata. A favore del loro punto di vista, gli ariani argomentavano utilizzando la formulazione tradizionale della dossologia, che riveste una grande importanza, particolarmente nelle liturgie orientali: «Gloria e adorazione al Padre per (dia / per) il Figlio nello (en / in) Spirito Santo».[94] La differenza delle preposizioni veniva invocata come prova di una differenza essenziale delle persone. Gli ariani cercavano di ricorrere alla liturgia – riconosciuta come istanza di testimonianza della fede della Chiesa – per provare ciò che essi consideravano in tal modo teologicamente giustificato. 

SE GESÙ NON È DIO NON PUOI ESSERE SALVATO / 33. NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 57-58.



57. Così, nelle sue catechesi, Giovanni Crisostomo spiega la fede battesimale validamente formulata a Nicea,[86]e distingue la retta fede non soltanto rispetto alla dottrina omea, ma anche nei confronti della dottrina sabelliana: i cristiani credono in un Dio che è “una essenza, tre ipostasi”. Agostino argomenta in maniera simile nelle istruzioni dei candidati al battesimo.[87]L’Oratio catechetica magna di Gregorio di Nissa, le cui parti più voluminose sono dedicate al Verbo di Dio eterno e incarnato, può essere considerata come il capolavoro di una catechesi chiaramente destinata a coloro che dovrebbero diffonderla, cioè i vescovi e i catechisti. A tema non c’è solo la relazione tra il Figlio-Parola e il Padre (cap. 1.3.4.), ma anche il significato dell’incarnazione in quanto azione redentrice (cap. 5). Gregorio vuole far comprendere che la nascita e la morte non sono qualcosa di indegno di Dio o di incompatibile con la sua perfezione (cap. 9 e 10), e spiega l’incarnazione col motivo dell’amore di Dio per gli uomini. Ma insiste soprattutto sul fatto che il battesimo cristiano è compiuto nella “Trinità increata”, cioè nelle tre Persone coeterne. È solo così che il battesimo conferisce la vita eterna e immortale: «Poiché chi si sottomette a qualche essere creato (e cioè se pensa che il Figlio e lo Spirito Santo sono creati) non si accorge che ripone in quello, e non in Dio, la propria speranza di salvezza».[88] 

APPROFONDIMENTO NELLA PREDICAZIONE E NELLE CATECHESI / 32. NICEA. Gesù Cristo, ... n. 56.



3. Approfondimento nella predicazione e nelle catechesi 

56. I Padri d’Oriente e d’Occidente non si accontentavano di argomentare con l’aiuto dei trattati teologici, ma illustravano ugualmente la fede nicena nelle prediche destinate al popolo, al fine di premunire i fedeli contro le interpretazioni errate, generalmente designate col termine “ariano” – anche se gli “homei”d’Occidente all’epoca di Agostino si distinguevano nettamente dai “neo-ariani” d’Oriente nelle loro argomentazioni. La concezione teologica secondo la quale il Figlio non è “Dio vero da Dio vero”, ma solo la creatura più eminente del Padre e non è coeterno col Padre, è stata riconosciuta dai Padri come una minaccia persistente e combattuta anche indipendentemente dalla presenza di avversari concreti. Il prologo del Vangelo di Giovanni offriva in proposito l’occasione di spiegare la relazione tra Padre e Figlio ovvero tra “Dio” e la sua “Parola”, in modo conforme alla confessione di Nicea.[83]Cromazio di Aquileia (ordinato vescovo nel 387/388, morto nel 407), ad esempio, trasmette ai suoi fedeli la fede nicena senza utilizzare la terminologia tecnica.[84] Perfino i Padri della Chiesa che nutrivano un certo scetticismo di principio riguardo alle “dispute teologiche”, presero una posizione molto chiara contro “l’empietà ariana” (“asebeia”, “impietas”): gli Ariani non comprendono “la generazione eterna del Figlio”, né “l’uguaglianza-eternità originale” del Padre e del Figlio.[85]Essi si sbagliano anche sul monoteismo, accettando una seconda divinità subordinata. Il loro culto è quindi perverso ed erroneo. 

"NOI" CREDIAMO / 31. NICEA. Gesù Cristo, ... n. 54.



54. Ugualmente, è a motivo del suo statuto di confessione di fede e precisamente di fede apostolica, e non in quanto definizione o insegnamento, che il Simbolo di Nicea è considerato nel periodo successivo (almeno fino alla fine del V secolo) come la prova decisiva dell’ortodossia.[78] Per questo è utilizzato come testo base nei concili successivi. Così, Efeso e Calcedonia si vogliono interpreti del Simbolo niceno: essi sottolineano il loro accordo con Nicea e si oppongono alle prese di posizione dissidenti rispetto a Nicea. Quando la Confessione di fede di Nicea-Costantinopoli è stata letta al Concilio di Calcedonia, i vescovi riuniti hanno esclamato: «Ecco la nostra fede. É in questa fede che siamo stati battezzati, è in questa fede che noi battezziamo! Il papa Leone crede così, Cirillo credeva così».[79] Notiamo che la professione di fede può essere espressa al singolare – “io credo” – ma che spesso è al plurale: “noi crediamo”; allo stesso modo, la preghiera del Signore è al plurale: “Padre nostro…”. La mia fede, radicalmente personale e singolare, si inscrive altrettanto radicalmente in quella della Chiesa, intesa come comunità di fede. Il Simbolo di Nicea e l’originale greco del Simbolo di Nicea-Costantinopoli si aprono col plurale “noi crediamo”, «per testimoniare che in questo “Noiˮ, tutte le Chiese erano in comunione, e che tutti i cristiani professavano la stessa fede».[80] 

NON ESPOSIZIONE TEORICA MA CONFESSIONE DI FEDE BATTESIMALE / 30. NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 52-53

Professione di fede
nella parrocchia di
s. Castrese, Marano


2. Il Simbolo di Nicea come confessione di fede

52. Non soltanto la confessione di fede di Nicea è espressione della fede battesimale ma è possibile che provenga direttamente da un Simbolo battesimale della Chiesa di Cesarea in Palestina (se si dà credito a ciò che dice Eusebio).[75] Sarebbero state fatte tre aggiunte: “…cioè della sostanza del Padre”, “generato, non creato”, e “consustanziale al Padre (homooúsios)”. In questo modo, è stabilito con una impressionante chiarezza che colui che “ha preso carne per noi uomini... e ha sofferto” è Dio, homooúsion tō Patri. Eppure, pur essendo “da la sostanza del Padre” (ek tēs ousias tou Patros), Egli è distinto dal Padre nella misura in cui è suo Figlio. Grazie a lui, che «si è fatto uomo per la nostra salvezza», noi sappiamo che cosa significa il fatto che il Dio trinitario «è amore» (1Gv 4,16). Queste aggiunte sono essenziali e dicono l’originalità propria e l’apporto determinante di Nicea, ma conviene allo stesso tempo sottolineare senza posa che il Simbolo in quanto simbolo di fede si radica in modo originale nel contesto liturgico, che è il suo ambito vitale e dunque il contesto nel quale riceve tutto il suo senso. Non si tratta certo di un’esposizione teorica ma di un atto di celebrazione battesimale, che si arricchisce dal resto della liturgia e a sua volta la illumina. I nostri contemporanei possono avere talvolta l’impressione che il credo sia un’esposizione molto teorica proprio perché ne ignorano il radicamento liturgico e battesimale.  

IL BATTESIMO SENZA FEDE NON HA VALORE / 29. NICEA. Gesù Cristo, ... n. 51.

Battesimi di giovani e adulti
 in forte crescita in Francia


51. Detto questo, per Atanasio e per i Padri Cappadoci, non si tratta semplicemente di pronunciare la formula trinitaria, ma il battesimo presuppone la fede nella divinità di Gesù Cristo. Così, l’insegnamento della retta fede è necessario e fa parte della pratica conforme al battesimo. Atanasio cita come fondamento la formulazione del comando in Mt 28,19: «Andate... insegnate... e battezzate».[72]Per questo Atanasio – come Basilio e Gregorio di Nissa[73]– negano ogni efficacia al battesimo ariano, perché coloro che considerano il Figlio come una creatura non hanno una giusta concezione di Dio Padre: colui che non riconosce il Figlio non comprende nemmeno il Padre e non “possiede” il Padre, dal momento che il Padre non ha mai cominciato ad essere Padre.[74]