Visualizzazioni totali

mercoledì 9 luglio 2025

PER CONOSCERE DIO BISOGNA CONOSCERE L'UOMO / 21 NICEA, Gesù Cristo, ... nn. 36-37.

Pr. Jérome Lejeune
e una giovane trisomica.
Per noi ogni essere umano 
è una persona.

36. In un certo senso, l’homooúsios stesso può avere una portata antropologica. Un uomo ha donato l’accesso a Dio. Beninteso, Cristo dice in maniera unica e propria: «Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9) in ragione del mistero dell’unione ipostatica. Tuttavia, questa unione unica in lui si realizza in coerenza col mistero dell’essere umano «creato a immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,27). In questo senso, e realmente, ogni essere umano riflette Dio, fa conoscere e dona accesso a Dio. Il Papa Paolo VI esprimeva questo paradosso sottolineando da una parte che «per conoscere l’uomo, l’uomo vero, l’uomo integrale, bisogna conoscere Dio», ma d’altra parte affermava anche che «per conoscere Dio, bisogna conoscere l’uomo».[49]Queste parole devono essere comprese in senso forte: non solamente ogni essere umano fa vedere l’immagine di Dio, ma non è possibile conoscere Dio senza passare per l’essere umano. Per di più, come abbiamo visto sopra (§ 22), la Chiesa farà ricorso all’espressione homooúsios per esprimere la comunità di natura del Cristo in quanto vero uomo, «nato da donna» (Gal 4,4), la Vergine Maria, con tutti gli esseri umani.[50] I due versanti di questa duplice “consustanzialità” del Figlio incarnato si rafforzano l’un l’altro per fondare in maniera profonda, efficace, la fraternità di tutti gli esseri umani. Noi siamo in certo senso fratelli e sorelle di Cristo per l’unità della medesima natura umana: «Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2,17; cf. 2,11-12). È questo legame nell’umanità che permette a Cristo, consustanziale al Padre, di coinvolgerci nella sua filiazione dal Padre, e di fare di noi dei figli di Dio, suoi fratelli e sorelle e, di conseguenza, fratelli e sorelle gli uni degli altri in un senso nuovo, radicale e indistruttibile. 

37. Il mistero dell’uomo nella sua grande dignità è ugualmente rischiarato dalla dimensione escatologica del Simbolo di Nicea. La fede nella “risurrezione dei morti”, espressa anche come “risurrezione della carne”,[51] afferma la bellezza del corpo e la bellezza di ciò che si vive nel mondo attraverso il corpo, malgrado la fragilità e i limiti umani. Essa afferma il valore di questo corpo personale e concreto che sarà risuscitato, trasfigurato, ma si manterrà numericamente identico.[52] Tale fede pone dunque una richiesta etica: se gli atti di amore vero posti nel e mediante il corpo in questa vita sono in qualche modo i primi passi della vita risorta, il rispetto del corpo implica che si viva rettamente e con purezza tutto ciò che lo riguarda. Notiamo che le cristologie che non affermano una piena umanità del Cristo rischiano di indurre una concezione della salvezza come fuga dal corpo e dal mondo, piuttosto che come piena umanizzazione dell’uomo. Ora, questo ancoraggio nel mondo e nei corpi, creati buoni e portati a compimento nella nuova creazione, è una delle caratteristiche del cristianesimo. Ritroviamo qui il legame profondo tra creazione e salvezza: tutti i tratti umani di Gesù, ricevuti da Maria, sua madre, sono delle buone notizie e invitano ogni essere umano a prendere in considerazione ciò che fa della sua umanità concreta una buona notizia. 


[49] Paolo VI, «Allocuzione finale del Concilio Vaticano II», 7 dicembre 1965, § 8.

[50] Cf. Concilio di Calcedonia, DH 301.

[51] Cf. il Simbolo degli Apostoli.

[52] Cf. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, IV, 81.


Nessun commento:

Posta un commento