3.2. L’immensità della vocazione umana all’Amore divino
34. Tutto ciò che precede non può non avere conseguenze sulla visione cristiana dell’essere umano. Anche egli è rivelato nella grandezza sovrabbondante della sua vocazione come homo semper major. Il Simbolo di Nicea non comprende un articolo antropologico in senso stretto ma l’essere umano, nella sua vocazione alla filiazione divina in Gesù, potrebbe essere descritto come oggetto della fede. Conformemente alle Sacre Scritture, la sua vera identità è rivelata dal mistero di Cristo e dal mistero della salvezza come mistero in senso stretto, analogo a quello di Dio e di Cristo, benché essi lo superino incomparabilmente.
35. Questo grande mistero è anzitutto legato a quello del Dio trinitario e di Cristo. La rivelazione della paternità di Dio è la rivelazione del mistero della paternità tout court: «Io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra» (Ef 3,14). La rivelazione del Figlio Unico, in particolare nel Vangelo di Giovanni, è la manifestazione della filiazione in senso proprio, che scaturisce ontologicamente dalla Prima Generazione e proviene dal mistero stesso della Trinità. In una sorta di inversione del rapporto di analogia, sono la paternità e la filiazione trinitarie che illuminano e purificano la paternità, la maternità, la filiazione e la fraternità umane, culturalmente situate e segnate dal peccato. La paternità divina manifesta innanzitutto che la filiazione è la caratteristica più profonda dell’essere umano: che è un dono donato a se stesso da Dio Padre ed è chiamato a riceversi da Dio e, in Lui, dagli altri e dal mondo creato che lo circonda per diventare sempre più se stesso. Per questa ragione, la sua identità e la sua vocazione sono rivelate in modo speciale nel Cristo, Figlio incarnato, “uomo perfetto” che, «nella rivelazione del mistero del Padre e del suo amore, manifesta pienamente l’uomo a se stesso e gli svela la sublimità della sua vocazione».[47] D’altra parte, gli esseri umani sono anche chiamati a partecipare del mistero della paternità, essendo padri e madri carnali e spirituali. A immagine della paternità divina, le paternità e maternità umane implicano il dono di sé, una piena uguaglianza tra genitori e figli, tra coloro che donano e coloro che ricevono, ma anche una differenza e una tàxis tra di loro. Infine, non vi è antropologia realmente cristiana che non sia pneumatologica. Solo lo Spirito “che dona la vita” umanizza interamente l’essere umano, lo rende figlio e figlia, padre e madre. Analogicamente, si può senza dubbio parlare di una forma di co-spirazione dello Spirito, o d’ispirazione congiunta,[48]poiché i nostri atti e le nostre parole più feconde sono tali nella misura della cooperazione che offrono allo Spirito, il quale attraverso di loro consola, rialza e guida. Così, la verità e il senso della paternità, della filiazione e della fecondità umane devono essere rivelate, perché non sono soltanto realtà naturali o culturali ma una partecipazione al modo di essere del Dio trinitario. Esse non possono venir comprese in profondità senza la Rivelazione e, allo stesso modo, non possono essere esercitate senza la grazia. Ecco un’altra buona notizia da riscoprire oggi a partire da Nicea.
[47] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past., Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, 22.
[48] Cf. Giovanni della Croce, Cantico spirituale A 38, 3-7; B 39, 2-7, trad. it. del Carmelo di Legnano, Paoline, Milano 1991, pp. 400-404.
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