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Santa Giovanna d'Arco. |
CAPITOLO QUINTO: COMBATTIMENTO, VIGILANZA E
DISCERNIMENTO
158. La vita
cristiana è un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per
resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è
molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince
nella nostra vita.
Il combattimento
e la vigilanza
159. Non si
tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana,
che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia.
Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie
inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le
gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il
principe del male. Gesù stesso festeggia le nostre vittorie. Si rallegrava
quando i suoi discepoli riuscivano a progredire nell’annuncio del Vangelo,
superando l’opposizione del Maligno, ed esultava: «Vedevo Satana cadere dal
cielo come una folgore» (Lc 10,18).
Qualcosa di
più di un mito
160. Non
ammetteremo l’esistenza del diavolo se ci ostiniamo a guardare la vita solo con
criteri empirici e senza una prospettiva soprannaturale. Proprio la convinzione
che questo potere maligno è in mezzo a noi, è ciò che ci permette di capire
perché a volte il male ha tanta forza distruttiva. È vero che gli autori biblici
avevano un bagaglio concettuale limitato per esprimere alcune realtà e che ai
tempi di Gesù si poteva confondere, ad esempio, un’epilessia con la possessione
demoniaca. Tuttavia, questo non deve portarci a semplificare troppo la realtà
affermando che tutti i casi narrati nei vangeli erano malattie psichiche e che
in definitiva il demonio non esiste o non agisce. La sua presenza si trova
nella prima pagina delle Scritture, che terminano con la vittoria di Dio sul
demonio.[120] Di
fatto, quando Gesù ci ha lasciato il “Padre Nostro” ha voluto che terminiamo
chiedendo al Padre che ci liberi dal Maligno. L’espressione che lì si utilizza
non si riferisce al male in astratto e la sua traduzione più precisa è «il
Maligno». Indica un essere personale che ci tormenta. Gesù ci ha insegnato a
chiedere ogni giorno questa liberazione perché il suo potere non ci domini.
161. Non
pensiamo dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o
un’idea.[121] Tale
inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più
esposti. Lui non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la
tristezza, con l’invidia, con i vizi. E così, mentre riduciamo le difese, lui
ne approfitta per distruggere la nostra vita, le nostre famiglie e le nostre
comunità, perché «come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1
Pt 5,8).
162. La
Parola di Dio ci invita esplicitamente a «resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6,11)
e a fermare «tutte le frecce infuocate del maligno» (Ef 6,16). Non
sono parole poetiche, perché anche il nostro cammino verso la santità è una
lotta costante. Chi non voglia riconoscerlo si vedrà esposto al fallimento o alla
mediocrità. Per il combattimento abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà:
la fede che si esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la
celebrazione della Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione
sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l’impegno missionario.
Se ci trascuriamo ci sedurranno facilmente le false promesse del male, perché,
come diceva il santo sacerdote Brochero: «Che importa che Lucifero prometta di
liberarvi e anzi vi getti in mezzo a tutti i suoi beni, se sono beni
ingannevoli, se sono beni avvelenati?».[122]
163. In
questo cammino, lo sviluppo del bene, la maturazione spirituale e la crescita
dell’amore sono il miglior contrappeso nei confronti del male. Nessuno resiste
se sceglie di indugiare in un punto morto, se si accontenta di poco, se smette
di sognare di offrire al Signore una dedizione più bella. Peggio ancora se cade
in un senso di sconfitta, perché «chi comincia senza fiducia ha perso in
anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. […] Il trionfo
cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di
vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del
male».[123]
La
corruzione spirituale
164. Il
cammino della santità è una fonte di pace e di gioia che lo Spirito ci dona, ma
nello stesso tempo richiede che stiamo con “le lampade accese” (cfr Lc 12,35)
e rimaniamo attenti: «Astenetevi da ogni specie di male» (1 Ts 5,22);
«vegliate» (cfr Mc 13,35; Mt24,42); non
addormentiamoci (cfr 1 Ts 5,6). Perché coloro che non si
accorgono di commettere gravi mancanze contro la Legge di Dio possono lasciarsi
andare ad una specie di stordimento o torpore. Dato che non trovano niente di
grave da rimproverarsi, non avvertono quella tiepidezza che a poco a poco si va
impossessando della loro vita spirituale e finiscono per logorarsi e
corrompersi.
165. La
corruzione spirituale è peggiore della caduta di un peccatore, perché si tratta
di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito:
l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità,
poiché «anche Satana si maschera da angelo della luce» (2 Cor 11,14).
Così terminò i suoi giorni Salomone, mentre il gran peccatore Davide seppe
superare la sua miseria. In un passo Gesù ci ha avvertito circa questa
tentazione insidiosa che ci fa scivolare verso la corruzione: parla di una
persona liberata dal demonio che, pensando che la sua vita fosse ormai pulita,
finì posseduta da altri sette spiriti maligni (cfr Lc11,24-26). Un
altro testo biblico usa un’immagine forte: «Il cane è tornato al suo vomito» (2
Pt 2,22; cfr Pro 26,11).
Il
discernimento
166. Come
sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del
mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo è il discernimento, che non
richiede solo una buona capacità di ragionare e di senso comune, è anche un
dono che bisogna chiedere. Se lo chiediamo con fiducia allo Spirito Santo, e
allo stesso tempo ci sforziamo di coltivarlo con la preghiera, la riflessione,
la lettura e il buon consiglio, sicuramente potremo crescere in questa capacità
spirituale.
Un bisogno
urgente
167. Al
giorno d’oggi l’attitudine al discernimento è diventata particolarmente
necessaria. Infatti la vita attuale offre enormi possibilità di azione e di
distrazione e il mondo le presenta come se fossero tutte valide e buone. Tutti,
ma specialmente i giovani, sono esposti a uno zapping costante.
È possibile navigare su due o tre schermi simultaneamente e interagire nello
stesso tempo in diversi scenari virtuali. Senza la sapienza del discernimento
possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del
momento.
168. Questo
risulta particolarmente importante quando compare una novità nella propria
vita, e dunque bisogna discernere se sia il vino nuovo che viene da Dio o una
novità ingannatrice dello spirito del mondo o dello spirito del diavolo. In
altre occasioni succede il contrario, perché le forze del male ci inducono a
non cambiare, a lasciare le cose come stanno, a scegliere l’immobilismo e la
rigidità, e allora impediamo che agisca il soffio dello Spirito. Siamo liberi,
con la libertà di Gesù, ma Egli ci chiama a esaminare quello che c’è dentro di
noi – desideri, angustie, timori, attese – e quello che accade fuori di noi – i
“segni dei tempi” – per riconoscere le vie della libertà piena: «Vagliate ogni
cosa e tenete ciò che è buono» (1 Ts 5,21).
Sempre alla
luce del Signore
169. Il
discernimento è necessario non solo in momenti straordinari, o quando bisogna
risolvere problemi gravi, oppure quando si deve prendere una decisione
cruciale. È uno strumento di lotta per seguire meglio il Signore. Ci serve
sempre: per essere capaci di riconoscere i tempi di Dio e la sua grazia, per
non sprecare le ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a
crescere. Molte volte questo si gioca nelle piccole cose, in ciò che sembra
irrilevante, perché la magnanimità si rivela nelle cose semplici e quotidiane.[124] Si
tratta di non avere limiti per la grandezza, per il meglio e il più bello, ma
nello stesso tempo di concentrarsi sul piccolo, sull’impegno di oggi. Pertanto
chiedo a tutti i cristiani di non tralasciare di fare ogni giorno, in dialogo
con il Signore che ci ama, un sincero esame di coscienza. Al tempo stesso, il
discernimento ci conduce a riconoscere i mezzi concreti che il Signore
predispone nel suo misterioso piano di amore, perché non ci fermiamo solo alle
buone intenzioni.
Un dono
soprannaturale
170. È vero
che il discernimento spirituale non esclude gli apporti delle sapienze umane,
esistenziali, psicologiche, sociologiche o morali. Però le trascende. E neppure
gli bastano le sagge norme della Chiesa. Ricordiamo sempre che il discernimento
è una grazia. Anche se include la ragione e la prudenza, le supera, perché si
tratta di intravedere il mistero del progetto unico e irripetibile che Dio ha
per ciascuno e che si realizza in mezzo ai più svariati contesti e limiti. Non
è in gioco solo un benessere temporale, né la soddisfazione di fare qualcosa di
utile, e nemmeno il desiderio di avere la coscienza tranquilla. È in gioco il
senso della mia vita davanti al Padre che mi conosce e mi ama, quello vero, per
il quale io possa dare la mia esistenza, e che nessuno conosce meglio di Lui.
Il discernimento, insomma, conduce alla fonte stessa della vita che non muore,
cioè «che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo»
(Gv 17,3). Non richiede capacità speciali né è riservato ai più
intelligenti e istruiti, e il Padre si manifesta con piacere agli umili
(cfr Mt 11,25).
171. Anche
se il Signore ci parla in modi assai diversi durante il nostro lavoro,
attraverso gli altri e in ogni momento, non è possibile prescindere dal
silenzio della preghiera prolungata per percepire meglio quel linguaggio, per
interpretare il significato reale delle ispirazioni che pensiamo di aver
ricevuto, per calmare le ansie e ricomporre l’insieme della propria esistenza
alla luce di Dio. Così possiamo permettere la nascita di quella nuova sintesi
che scaturisce dalla vita illuminata dallo Spirito.
Parla,
Signore
172.
Tuttavia potrebbe capitare che nella preghiera stessa evitiamo di disporci al
confronto con la libertà dello Spirito, che agisce come vuole. Occorre
ricordare che il discernimento orante richiede di partire da una disposizione
ad ascoltare: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella
in nuovi modi. Solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di
rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini,
ai propri schemi. Così è realmente disponibile ad accogliere una chiamata che
rompe le sue sicurezze ma che lo porta a una vita migliore, perché non basta
che tutto vada bene, che tutto sia tranquillo. Può essere che Dio ci stia
offrendo qualcosa di più, e nella nostra pigra distrazione non lo riconosciamo.
173. Tale
atteggiamento di ascolto implica, naturalmente, obbedienza al Vangelo come
ultimo criterio, ma anche al Magistero che lo custodisce, cercando di trovare
nel tesoro della Chiesa ciò che può essere più fecondo per l’oggi della
salvezza. Non si tratta di applicare ricette o di ripetere il passato, poiché
le medesime soluzioni non sono valide in tutte le circostanze e quello che era
utile in un contesto può non esserlo in un altro. Il discernimento degli
spiriti ci libera dalla rigidità, che non ha spazio davanti al perenne oggi del
Risorto. Unicamente lo Spirito sa penetrare nelle pieghe più oscure della
realtà e tenere conto di tutte le sue sfumature, perché emerga con altra luce
la novità del Vangelo.
La logica
del dono e della croce
174. Una
condizione essenziale per il progresso nel discernimento è educarsi alla
pazienza di Dio e ai suoi tempi, che non sono mai i nostri. Lui non fa
“scendere fuoco sopra gli infedeli” (cfr Lc 9,54), né permette
agli zelanti di “raccogliere la zizzania” che cresce insieme al grano
(cfr Mt 13,29). Inoltre si richiede generosità, perché «si è
più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Non si fa
discernimento per scoprire cos’altro possiamo ricavare da questa vita, ma per
riconoscere come possiamo compiere meglio la missione che ci è stata affidata
nel Battesimo, e ciò implica essere disposti a rinunce fino a dare tutto.
Infatti, la felicità è paradossale e ci regala le migliori esperienze quando
accettiamo quella logica misteriosa che non è di questo mondo. Come diceva san
Bonaventura riferendosi alla croce: «Questa è la nostra logica».[125] Se
uno assume questa dinamica, allora non lascia anestetizzare la propria
coscienza e si apre generosamente al discernimento.
175. Quando
scrutiamo davanti a Dio le strade della vita, non ci sono spazi che restino
esclusi. In tutti gli aspetti dell’esistenza possiamo continuare a crescere e
offrire a Dio qualcosa di più, perfino in quelli nei quali sperimentiamo le
difficoltà più forti. Ma occorre chiedere allo Spirito Santo che ci liberi e
che scacci quella paura che ci porta a vietargli l’ingresso in alcuni aspetti
della nostra vita. Colui che chiede tutto dà anche tutto, e non vuole entrare
in noi per mutilare o indebolire, ma per dare pienezza. Questo ci fa vedere che
il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista,
ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere
la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli.
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