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mercoledì 24 gennaio 2024

LA CRISTIANITÀ È FINITA, MA NON IL CRISTIANESIMO. INNOVIAMO! / Il Discorso del Papa.



In un precedente post (
La Gioia del Vangelo: LA CRISTIANITÀ È FINITA. È TEMPO DI PRENDERNE COSCIENZA / Domenica della Parola di Dio, 21 gennaio 2024.) ho citato a memoria Papa Francesco sul fatto che la Cristianità è finita. Qualcuno ha compreso che il Papa avesse detto che il Cristianesimo è ormai finito. Sarebbe assurdo. Il regime di Cristianità non è il Cristianesimo ma il modo di viverlo quando il popolo e il suo governo riconoscono il Cristianesimo come fondamento comune della società. Ma ringrazio questo amico e altri per le loro osservazioni perché permette di precisare per tutti, anzi, di approfondire questa constatazione fondamentale: il regime di Cristianità sul quale si appoggiava e modellava l’azione della Chiesa è finito, per cui è indispensabile CAMBIARE se non vogliamo che la nostra presenza diventi irrilevante. Nel Discorso alla Curia Romana per gli auguri di Natale 2019, Papa Francesco ha spiegato molto bene i criteri per affrontare le sfide di oggi INNOVANDO, trovando soluzioni nuove , e anche le difficoltà per un processo di rinnovamento, e le tentazioni di ripiegamento sul passato e/o di irrigidimento.

Ecco dunque parte del discorso del Papa pronunciato il 21 dicembre 2019 con in grassetto alcune frasi centrali.


DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

ALLA CURIA ROMANA PER GLI AUGURI DI NATALE

Sabato, 21 dicembre 2019

Nell’incontro odierno vorrei soffermarmi sul … cuore della riforma, ossia del primo e più importante compito della Chiesa: l’evangelizzazione. San Paolo VI affermò: «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare»[13]. Evangelii nuntiandi, che anche oggi continua ad essere il documento pastorale più importante del dopo Concilio, è attuale. In realtà, l’obiettivo dell’attuale riforma è che «le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato all’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. …

Quando queste prime due Congregazioni (per la Dottrina della Fede e per l’Evangelizzazione dei popoli;NdR) furono istituite si era in un’epoca nella quale era più semplice distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra. Adesso questa situazione non esiste più. Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale. Nelle grandi città abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati[14]. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica. 

Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata. Ciò fu sottolineato da Benedetto XVI quando, indicendo l’Anno della Fede (2012), scrisse: «Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone»[15]. E per questo fu istituito nel 2010 il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, per «promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo»[16].... 

La percezione che il cambiamento di epoca ponga seri interrogativi riguardo all’identità della nostra fede non è giunta, a dire il vero, all’improvviso[17]. In tale quadro s’inserirà pure l’espressione “nuova evangelizzazione” adottata da San Giovanni Paolo II, il quale nell’Enciclica Redemptoris missio scrisse: «Oggi la Chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l’annuncio di Cristo» (n. 30). C’è bisogno di una nuova evangelizzazione, o rievangelizzazione (cfr n. 33). …

Il Vangelo riporta sempre la Chiesa alla logica dell’incarnazione, a Cristo che ha assunto la nostra storia, la storia di ognuno di noi. Questo ci ricorda il Natale. L’umanità, allora, è la cifra distintiva con cui leggere la riforma. L’umanità chiama, interpella e provoca, cioè chiama a uscire fuori e a non temere il cambiamento. …

si tratta dunque di grandi sfide e di necessari equilibri, molte volte non facili da realizzare, per il semplice fatto che, nella tensione tra un passato glorioso e un futuro creativo e in movimento, si trova il presente in cui ci sono persone che necessariamente hanno bisogno di tempo per maturare; ci sono circostanze storiche da gestire nella quotidianità, perché durante la riforma il mondo e gli eventi non si fermano; ci sono questioni giuridiche e istituzionali che vanno risolte gradualmente, senza formule magiche o scorciatoie.

C’è, infine, la dimensione del tempo e c’è l’errore umano …  Legata a questo difficile processo storico, c’è sempre la tentazione di ripiegarsi sul passato (anche usando formulazioni nuove), perché più rassicurante, conosciuto e, sicuramente, meno conflittuale. Anche questo, però, fa parte del processo e del rischio di avviare cambiamenti significativi[19].

Qui occorre mettere in guardia dalla tentazione di assumere l’atteggiamento della rigidità. La rigidità che nasce dalla paura del cambiamento e finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune, facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio. Ricordiamo sempre che dietro ogni rigidità giace qualche squilibrio. La rigidità e lo squilibrio si alimentano a vicenda in un circolo vizioso. E oggi questa tentazione della rigidità è diventata tanto attuale.  … 

Il Cardinale Martini, nell’ultima intervista a pochi giorni della sua morte, disse parole che devono farci interrogare: «La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. [...] Solo l’amore vince la stanchezza»[20].

Il Natale è la festa dell’amore di Dio per noi. L’amore divino che ispira, dirige e corregge il cambiamento e sconfigge la paura umana di lasciare il “sicuro” per rilanciarci nel “mistero”.

Buon Natale a tutti!


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