venerdì 1 agosto 2025

NON ESPOSIZIONE TEORICA MA CONFESSIONE DI FEDE BATTESIMALE / 30. NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 52-53

Professione di fede
nella parrocchia di
s. Castrese, Marano


2. Il Simbolo di Nicea come confessione di fede

52. Non soltanto la confessione di fede di Nicea è espressione della fede battesimale ma è possibile che provenga direttamente da un Simbolo battesimale della Chiesa di Cesarea in Palestina (se si dà credito a ciò che dice Eusebio).[75] Sarebbero state fatte tre aggiunte: “…cioè della sostanza del Padre”, “generato, non creato”, e “consustanziale al Padre (homooúsios)”. In questo modo, è stabilito con una impressionante chiarezza che colui che “ha preso carne per noi uomini... e ha sofferto” è Dio, homooúsion tō Patri. Eppure, pur essendo “da la sostanza del Padre” (ek tēs ousias tou Patros), Egli è distinto dal Padre nella misura in cui è suo Figlio. Grazie a lui, che «si è fatto uomo per la nostra salvezza», noi sappiamo che cosa significa il fatto che il Dio trinitario «è amore» (1Gv 4,16). Queste aggiunte sono essenziali e dicono l’originalità propria e l’apporto determinante di Nicea, ma conviene allo stesso tempo sottolineare senza posa che il Simbolo in quanto simbolo di fede si radica in modo originale nel contesto liturgico, che è il suo ambito vitale e dunque il contesto nel quale riceve tutto il suo senso. Non si tratta certo di un’esposizione teorica ma di un atto di celebrazione battesimale, che si arricchisce dal resto della liturgia e a sua volta la illumina. I nostri contemporanei possono avere talvolta l’impressione che il credo sia un’esposizione molto teorica proprio perché ne ignorano il radicamento liturgico e battesimale.  

 53. In tal senso, la fede di Nicea resta e si propone come un “symbolon” (“ekthesis”, “pistis”), cioè una confessione di fede. Essa può distinguersi da un’interpretazione o da una definizione teologica tecnica più precisa, che mira a proteggere la fede (“oros”, “definitio”), come l’ha proposta ad esempio il Concilio di Calcedonia. In quanto Simbolo, la Confessione di Nicea è una formulazione positiva e un’esplicitazione della fede biblica.[76]Non pretende di offrire una nuova definizione, ma piuttosto un’evocazione della fede degli apostoli: «Questa fede, il Cristo l’ha donata, gli apostoli l’hanno annunciata, i Padri di tutta la nostra Oikoumenē riuniti a Nicea l’hanno trasmessa (paradosis)».[77] 

[75] Cf. Atanasio, De decretis Nicaenae synodi, 33-1 – 33-7, trad. it. di E. Cattaneo, Atanasio, Il credo di Nicea, Città Nuova, Roma 2001, pp. 127-128.

[76] Cf. Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore Costanzo 16, trad. it. di L. Longobardo, Città Nuova, Roma 1997, pp. 62-63; Ilario difende Nicea dal rimprovero di non essere conforme alle Scritture: secondo lui, le nuove malattie esigono la composizione di nuovi rimedi. Allo stesso modo anche l’espressione “innascibile”, che era un cavallo di battaglia di Ario, Aezio ed Eunomio, non è di per sé un termine biblico per designare il Padre: «Tu stabilisci che il Figlio è simile al Padre [similem Patri Filium]. Ma i Vangeli non lo proclamano: perché non respingi anche questa espressione?».

[77] Atanasio, Epistula ad Afros episcopos, 1,1.3, trad. it. in A. Gallico, Teodoreto di Cirro, Storia ecclesiastica I 8,7-16, Città Nuova, Roma 2000, pp. 87-89; il credo di Nicea è “sufficiente”. Cf. Atanasio, Epistula ad Epictetum, 1 (Werke I/1, p. 705s.).


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