venerdì 5 dicembre 2025

COME LA CHIESA AFFRONTA IL DISSENSO? / 68. NICEA. Gesù Cristo, .... nn. 111-112.


2.2. Dissenso e sinodalità

111. La mediazione interpretativa della Chiesa si manifesta negli arbitrati, in particolare di fronte ai dissensi o di fronte al bisogno di tradurre il testo sacro. Il “Concilio di Gerusalemme” in Atti 15 testimonia per la prima volta un dissenso di dottrina (il rapporto dei discepoli di Cristo provenienti dalle nazioni pagane con la Legge mosaica) e di pratica (circoncisione, idolotiti e impudicizia), che portavano conflittualità e la cui regolamentazione e soluzione, in forma di ritrovato consenso ecclesiale, sono state precedute da un esame da parte del collegio radunato degli «apostoli e anziani» (At 15,6). Viene avviato un processo: si nota anzitutto una successione di testimonianze autorizzate (Pietro, Paolo e Barnaba, Giacomo) accolte in un ascolto mutuo,[172]in seguito un appello all’autorità di Mosè, l’istituzione di messaggeri con mandato rispetto a messaggeri “senza incarico” (cf. At 15,24), e infine la redazione di uno scritto prescrittivo da consegnare ufficialmente all’assemblea di Antiochia (cf. At 15,30-31) riunita su iniziativa dei messaggeri con mandato. Tutti sono attori, dal momento che la questione è sottoposta a tutta la Chiesa di Gerusalemme (cf. At 15,12), che è presente durante lo svolgimento del discernimento ecclesiale e che è implicata nella decisione finale (cf. At 15,22).[173]Il segno di questo aspetto comunitario è che i messaggeri sono inviati in coppia (cf. At 15,27). L’essenziale per la nostra riflessione è che la Chiesa assistita dallo Spirito Santo e funzionante in maniera sinodale, appoggiandosi sul sensus fidei fidelium[174]e sull’autorità particolare degli apostoli, costituisce il mistero vivente e operante nel quale è stato elaborato lo sviluppo dottrinale a proposito della distinzione, di fronte alla Legge mosaica, tra i discepoli di Cristo provenienti dal popolo ebreo e quelli provenienti dalle nazioni. L’arbitrato di fede che riguardava l’intento universalistico di Dio, quanto all’ingresso delle nazioni nel mistero rivelato dapprima a Israele, si è operato qui nello scambio tra fides qua e fides quae, nel seno del mistero dinamico della Chiesa. 

112. Fin dai tempi che precedettero l’incarnazione del Verbo, il popolo eletto aveva dovuto trattare un problema analogo per la conservazione, ma soprattutto per la diffusione della Rivelazione nella diaspora di Israele e, al di là, tra le popolazioni che il Nuovo Testamento chiama i “proseliti” (cf. Mt 23,15; At 2,11, 6,15), o anche i “timorati di Dio” (cf. At 10,2), d’origine pagana. Si tratta della scelta fondamentale, la cui origine reale si perde tra varie leggende (Lettera di Aristea o Talmud-Soferim 1,7), che autorizzava la traduzione della Bibbia del popolo ebraico dall’ebraico al greco, e finì nella versione alessandrina della Settanta. Queste traduzioni, come più tardi il ricorso al neologismo homooúsios, avrebbero implicato molteplici arbitrati lessicali perché le verità del testo originale, concepite nel campo semantico di una lingua semitica, non andassero perdute quando il testo fu trasferito nel campo semantico di una lingua indoeuropea. 


[172] Si può pensare all’idea di una «conversazione nello Spirito Santo», cf. Francesco, «Discorso di apertura della XVI sessione del Sinodo dei Vescovi», 4 ottobre 2023: «La Chiesa, un’unica armonia di voci, ha diverse voci, suscitate dallo Spirito Santo: è così che dobbiamo concepire la Chiesa».

[173] Cf. Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 19-21.

[174] Cf. Commissione Teologica Internazionale, Il “sensus fidei” nella vita della Chiesa, 2014, 67-86.


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