giovedì 17 luglio 2025

AMARE LA PROPRIA MISERIA. DEVO AMARE IL MIO PECCATO? / 17 LUGLIO 2025.



Qualcuno ieri sera è rimasto colpito dalla mia frase: “Riconoscere la propria miseria non è ancora umiltà ma solo verità. Umiltà è amare la propria miseria”. Ha suscitato anche dubbi: dovrei amare il mio peccato? ma il peccato allontana da Dio! Chiaramente. Ma il riconoscere di essere peccatori avvicina a Dio. San Francesco di Sales citato nel libricino aureo “L’arte di trarre profitto dei nostri peccati” (J. Tissot. Ed Chirico, Napoli) scrive a santa Maria Francesca di Chantal scandalizzata di sé stessa e le dice: “Non solo potete andare con fiducia verso Dio, ma se uno non si riconosce peccatore dalla punta dei capelli all’estremità delle unghie dei piedi, non può avere veramente fiducia in Dio!” Cioè non può avere fede! Ora non è né la virtù o la forza né la debolezza o il peccato che salvano, ma la fede (Atti 3,12.16). E sentire di non potercela mai fare da soli può aiutare ad appoggiarsi totalmente a Dio.

Questa posizione, condivisa dalla Chiesa tutta e commentata da molti santi, trova nella Scrittura la sua radice. S. Paolo racconta così ai Corinzi il suo conflitto interiore: 

“Bisogna vantarsi? Ma ciò non conviene! … Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte". (2 Corinzi 12, 1.7-10). 

È un chiaro invito ad amare la propria debolezza e umiliazione anche quella procurata dal peccato. Diamo qualche esempio dall’insegnamento dei santi.


Padre Pio scrive: 1. Il Signore ci fa conoscere chi siamo un poco per volta. In verità mi sembra inconcepibile come uno, che ha intelligenza e coscienza, possa insuperbirsi.

2. Vi dico, inoltre, di amare la vostra abiezione; ed amare la propria abiezione consiste in questo, o figliuole, se voi siete umili, tranquille, dolci, confidenti nel tempo dell'oscurità e dell'impotenza, se voi, dico, non vi inquietate, non vi angustiate, se non vi turbate per tutto questo, ma di buon cuore, non dico già allegramente, ma dico francamente e costantemente abbracciate queste croci e state in queste tenebre, così facendo amerete la vostra abiezione, perché che cosa è l'essere abietto se non l'essere oscuro e impotente?

3. Domandiamo anche noi al nostro caro Gesù l'umiltà, la fiducia e la fede della nostra cara santa Chiara; come lei preghiamo Gesù fervorosamente, abbandonandoci a lui, distaccandoci da questo menzognero apparato del mondo ove tutto è follia e vanità, tutto passa, solo Dio resta all'anima, se avrà saputo bene amarlo.

4. Vi è qualche differenza fra la virtù dell'umiltà e dell'abiezione, perché l'umiltà è la ricognizione della propria abiezione; ora il grado sublime dell'umiltà è il non solamente riconoscere la propria abiezione, ma amarla; questo dunque è ciò a che vi ho esortato. (Pensieri di San Pio - Devoti di Padre Pio)


L’UMILTA’ CI FA AMARE L’ABIEZIONE

Procedo oltre, Filotea, e ti dico di amare l’abiezione sempre e in tutto. Ma, mi chiederai, che cosa vuol dire amare la propria abiezione? In latino abiezione vuol dire umiltà e umiltà vuol dire abiezione; di modo che, quando la Madonna nel suo Cantico dice che, poiché il Signore ha visto l’umiltà della sua serva, tutte le generazioni la chiameranno beata, vuol dire che il Signore, con bontà, ha guardato la sua abiezione, la sua meschinità, la sua bassezza, per colmarla di grazia e di favori. C’è tuttavia differenza tra la virtù dell’umiltà e l’abiezione; l’abiezione è la pochezza, la bassezza e la meschinità che alberga in noi, senza che ci pensiamo; la virtù dell’umiltà invece, è la conoscenza veritiera e l’ammissione della nostra abiezione.

L’apice dell’umiltà così intesa consiste non soltanto nel riconoscere la nostra abiezione, ma nell’amarla ed esserne contenti; non per mancanza di coraggio o di generosità, ma per esaltare maggiormente la Maestà divina e dare al prossimo una stima maggiore che a noi stessi.  (S. Francesco di Sales. La Filotea: Parte III) 


E santa Teresina scrive questa bellissima preghiera: «Voi…, o Signore, conoscete la mia debolezza: ogni mattino prendo la risoluzione di praticare l'umiltà e alla sera riconosco che ho commesso ancora ripetuti falli di orgoglio. A tale vista sono tentata di scoraggiamento; ma capisco, anche lo scoraggiamento è effetto d'orgoglio. Voglio quindi, mio Dio, fondare la mia speranza su voi solo: giacché tutto potete, degnatevi di far nascere nell'anima mia la virtù che desidero. Per ottenere questa grazia dall'infinita vostra misericordia, vi ripeterò spesso: “Gesù, mite ed umile di cuore, fate il mio cuore simile al vostro!”» (16 luglio 1897). (L'umiltà secondo santa Teresina di Lisieux).



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