venerdì 13 giugno 2025

SANT'ANTONIO "ARCA DEL TESTAMENTO", COSA SIGNIFICA? / Memoria di sant'Antonio di Padova, 13 giugno 2025.

Sant'Antonio predica seduto
sul noce a Camposampiero


Sant’Antonio fu chiamato “Doctor Evangelicus” da Pio XII proclamandolo Dottore della Chiesa nel 1949, e “Arca del Testamento” «peritissimo esegeta», «esimio teologo» dal Papa Gregorio IX quando predicò a lui e ai cardinali. Quattro anni più tardi, canonizzandolo, ricorderà quei giorni di quaresima: «personalmente sperimentammo la santità e l'ammirevole vita di lui, quando ebbe a dimorare con grande lode presso di noi.» 

San Francesco aveva intuito che la “santa umiltà” di Cristo, il suo farsi servo, erano fondamentali nel Cristianesimo e da mettere in evidenza nella Chiesa del suo tempo, diventata Chiesa di potere. Ma la minorità, il rifuggire ogni clericalismo nell’Ordine e il rimanere “Ciascuno …. nella condizione in cui era quando fu chiamato”  (1 Corinzi 7, 20) avevano due inconvenienti: la lotta contro le eresie, l’istruire il popolo nella propria fede, necessitavano, oltre all’esempio della vita, che ci siano dei frati con solide base dottrinali. Poi, l’affluire di vocazioni giovani, se non venivano formate, rischiava di impedire a ragazzi di esprimere legittimamente le loro potenzialità che potevano essere utili per la Chiesa e l’Ordine stesso. Cosicché Antonio già sacerdote e la cui notevole conoscenza della Scrittura non aveva impedito, anzi, aveva aiutato il suo progresso spirituale, convinse san Francesco a formare teologicamente i suoi frati. San Francesco approvò l’iniziativa con quella frase famosa e piena di saggezza: «A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute. Mi piace che tu insegni teologia ai nostri fratelli, a condizione però che, a causa di tale studio, non si spenga in esso lo spirito di santa orazione e devozione, com'è prescritto nella regola.». La fondazione del primo studentato teologico francescano avvenne nel 1223 a Bologna. 

Anche se si creò in parte ciò che temeva san Francesco, cioè la perdita della semplicità primitiva, una certa divisione tra frati chierici e laici, l’Ordine, giustamente, non tornò mai indietro sull’esigenza della formazione scritturale e dottrinale dei suoi frati. D’altronde questa esigenza si ripropone continuamente nella Chiesa: fu specialmente sottolineata nei decreti del Concilio di Trento e, per  noi napoletani, illustrata e messa in pratica da san Vincenzo Romano. Fu riproposta con forza dal Concilio Vaticano II che chiese di aprire ai fedeli con maggiore abbondanza i tesori della divina Scrittura, sia nella Liturgia che nella lettura personale e la formazione comunitaria. 

Purtroppo dobbiamo riconoscere che, nonostante inviti e richiami, la Parola di Dio non è ancora frequentata a sufficienza da molti credenti. La Domenica della Parola istituita da Papa Francesco, esprime la convinzione che c’è ancora assoluto bisogno di crescere in questa direzione attuando il desiderio del Concilio che, nella Costituzione Sacrosanctum Concilium, ha voluto che la «mensa della Parola» aprisse abbondantemente ai fedeli i tesori della Scrittura.

Si dice che la gente preferisce altre cose, che “tanto non capisce”, che basta essere semplici, che se vuoi riempire la Chiesa è meglio fare processioni o altre attività... ecc. Il problema non è di vietare di esprimere la fede con la festa o la devozione, ma di essere fedeli alla Scrittura, al programma di Gesù, di Paolo e degli altri Apostoli, di essere fedeli alle decisioni dei Concili riuniti nello Spirito Santo. Il problema di fondo è di sapere se vogliamo essere cristiani e formare dei cristiani, o di fare girare le nostre attività. 


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