Rubo al giornale La Croix un articolo che mi è stato mandato dalla Francia e ve lo propongo in una mia traduzione italiana perché è molto utile dissipare il clima di confusione che c'è attorno a noi sulla tragedia della guerra. Confusione che troppo spesso è solo emotiva ma anche aggressiva (guerrafondaia!) con giudizi pesanti e anche insulti per chi non è schierato con me, e mantiene uno spirito di mormorazione su tutto e tutti senza il necessario sforzo di riflessione e di comprensione.
Guerra giusta, l'equivoco Giornale LA CROIX / 31 MARZO 2025 Marie Grand, Professoressa di Filosofia e direttrice del Collège Supérieur a Lyon.
Il concetto di "guerra giusta" ha cattiva fama e spesso i cristiani rimproverano sé stessi per averlo teorizzato (in particolare attraverso Sant'Agostino o San Tommaso). Non dovrebbero. Perché di fronte alla guerra ci sono solo tre possibilità: il pacifismo, il “realismo” e la dottrina della "guerra giusta". E quest'ultima opzione è ben lungi dall'essere la più assurda.
Il pacifista rifiuta la guerra per principio, perché la giudica immorale. Sulla carta l'idea è ottima, ma nella realtà le cose si complicano. Il rifiuto incondizionato di qualsiasi conflitto armato può avere gravi conseguenze morali; rifiutandosi di uccidere, a volte si lascia altri uccidere. Ricordiamo che Gandhi, pur non essendo violento, non era né antimilitarista né pacifista.
Per il “realista” la guerra è amorale e obbedisce solo a giustificazioni politiche. Sul campo di battaglia tutto è lecito, perché non esistono conflitti più giusti di altri. Pacifismo e realismo si accordano su un punto: la guerra sfugge a qualsiasi valutazione morale. Nulla permette di distinguere nettamente tra la violenza russa e quella ucraina, né considerare l'una come aggressione illegittima e l'altra come resistenza legittima.
La dottrina della "guerra giusta" è stata inventata per evitare questa situazione di stallo e poter giudicare la guerra. Perché se la guerra è sempre un male, ci sono tuttavia ragioni (e modi) migliori e peggiori di sprofondare in questo male quando ci si è ridotti ad esso. Ciò ci costringe a concepire qualcosa di difficile, vale a dire la possibilità di un’ “etica della violenza”.
I primi ad affrontare questo problema furono i cristiani. Perché, a differenza dei pagani che valorizzavano l'eroismo guerriero, i cristiani consideravano la guerra un male. Ma molto rapidamente dovettero risolvere l'aporia in cui questo pacifismo li aveva gettati, soprattutto quando la loro religione divenne la religione di Stato. Il loro pensiero nasce da questa tensione.
Ma capiamolo bene: la "guerra giusta", o meglio, la "giusta guerra", non è una guerra che rende la giustizia, ma che si combatte solo sotto il suo sguardo. In questo caso, giustizia si riferisce all'esigenza di distinguere tra le ragioni (jus ad bellum) ma anche i modi (jus in bello) di condurre una guerra. Comanda che la guerra sia sempre difensiva, condotta da un'autorità legittima, concepita come ultima ricorso, che abbia ragionevoli possibilità di successo e che i benefici attesi superino i danni causati. Richiede inoltre di limitare le distruzioni, di distinguere tra combattenti e non combattenti e di proporzionare la risposta all'attacco e di utilizzare solo armi autorizzate.
Qualcuno dirà che nella nebbia della guerra le ragioni sono sempre indecifrabili e che conta solo il modo in cui avvengono. È un dibattito. Ma notiamo che tutti questi criteri sono restrittivi. Escludono la guerra di aggressione, di conquista, la guerra privata, il terrorismo, l'uso di determinate armi, ecc. Contrariamente a quanto si ripete (e a quanto i cristiani hanno finito per credere), l'edificio teorico della "guerra giusta", affinato nel corso di diversi secoli da eminenti teologi e filosofi, non è stato concepito per disinibire l'uso della violenza, ma per limitarla. Ha inoltre ispirato il diritto internazionale e la creazione di istituzioni rispettabili (Corte marziale, Corte penale internazionale, Corte internazionale di giustizia).
Da dove nasce quindi il malinteso? Probabilmente perché confondiamo la "guerra giusta" con la "guerra santa" o con la "guerra con pretese morali". Queste guerre obbediscono a una logica completamente diversa. Ponendo fini virtuosi ai conflitti (conversione a Cristo o alla democrazia), disinibiscono la violenza. La "guerra giusta" non pretende di instaurare la Gerusalemme celeste sulla terra, ma solo di preservarci dall'inferno.
È ovvio che la guerra non si impedisce solo con il "si vis pacem, para bellum", con la deterrenza o "dissuasione" come dicono i francesi: "sei armato e bellicoso, ma anch'io sono armato e non ti conviene attaccarmi, ti faresti troppo male". Va prevenuta anche costruendo legami di giustizia e di bene reciproco. Impegniamoci totalmente in questo senso sapendo che "la pace costa", ma vale la pena perché il costo della guerra è infinitamente più elevato. La guerra di aggressione non è mai razionale. Ma purtroppo, non sempre le cose vanno nel senso della ragione. Fondamentalmente credo che, oltre la paranoia della paura del nemico, sono la sete di potere, i progetti di potere, che alimentano i meccanismi della guerra, di cui poi, si rimane prigionieri. In ogni caso la riflessione sulla guerra giusta è necessaria. Ecco il link di un altro articolo che presenta citazioni del Magistero recente: Etica, guerra giusta e difesa armata in Ucraina. La versione di D'Ambrosio - Formiche.net
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